12 dicembre 1969: Nero ananas inizia con il botto, quello di Piazza Fontana. Da dove nasce l’esigenza di raccontare la storia quegli anni?
Quando inizio a scrivere una “cosa”, che sia un racconto breve o un romanzo lungo, non ho mai ben chiari i motivi per cui lo faccio. Si tratta più di un’energia quasi fisica che si mette in moto dentro di me e che mi spinge a prendere una strada che ignoro se si fermerà dopo quindici minuti, quindici mesi o quindici anni. Le motivazioni raccontabili le metto a fuoco via via, spesso a lavoro finito. In questo caso credo si sia trattato della confluenza di un elemento privato e di uno pubblico. Nel 1969 avevo otto anni e percepii distintamente che era accaduto qualcosa di inaudito. Lo vidi dalle facce dei miei genitori, da cosa si diceva in casa, dal tono di voce dei giornalisti in televisione, dalle prime pagine dei giornali. Ogni generazione ha, purtroppo, la tragedia che segna il passaggio a un’età più adulta e più cupa, quella fu la nostra, la mia. Quel botto però andò ben al di là di un evento generazionale. Segnò l’inizio di un periodo di sconvolgimenti politici e civili che furono un vero e proprio cambio di scenario nella nostra storia. Oltretutto, nonostante i tanti processi e il tanto tempo trascorso, è stato così denso il fumo di quella bomba (e di quelle successive) da impedire, nonostante tutto il tempo trascorso, di vederci chiaro. Così, devo aver pensato, entrare dentro quel fumo, quella nebbia, con gli strumenti della letteratura, della narrazione, poteva servirmi a conoscere qualcosa di più, e a farlo conoscere a chi avrebbe letto il libro, se mai fossi riuscito a finirlo.
Il romanzo ha avuto una lunga gestazione e un percorso complesso prima di vedere la fine e l’uscita per Voland. Quali sono stati i dubbi e perché è stato difficile scriverlo?
Sì, è stato difficile. Lungo, appassionante e difficile. Come una di quelle storie d’amore che a un certo punto devono finire, ma che ti ricorderai per tutta la vita. Intanto, la documentazione. Reperire e leggere (o guardare nel caso di filmati) tutto il materiale uscito su quegli anni: gli articoli dei quotidiani e dei periodici dell’epoca, libri, rinvii a giudizio, sentenze-ordinanze, ricostruzioni giornalistiche, interviste, memoriali. Ho iniziato a lavorarci più o meno nel 2002 e per un po’ di tempo ho fatto solo quello: leggere, segnare le cose che mi sembravano importanti, metterle in relazione tra loro. Difficoltà nella difficoltà: continuavano a uscire nuovi libri, nuove interviste, sarei potuto andare avanti all’infinito. A un certo punto mi dissi: basta, tu non vuoi scrivere il saggio dei saggi, ma un romanzo. Quello che hai letto è più che sufficiente. Ora comincia a organizzarlo. E qui nacque la seconda difficoltà: inventare una struttura, un modo di raccontare questa storia che mettesse insieme tutti i piani narrativi (da quelli pubblici a quelli privati) e tutti gli eventi di cui era composta, senza creare un guazzabuglio inestricabile per il lettore. Da qui la scelta di alternare la prima, la seconda, la terza persona, e altre caratteristiche stilistiche usate nel testo. Infine la scrittura: il punto decisivo. C’era un’alternanza di punti di vista e di registri (dal ragazzino a un capo di governo, da un terrorista glaciale a un anarchico sbandato, ecc.) da rendere al meglio. Terminare un capitolo del ragazzino e immergermi nel buio mondo di un uomo che decide di usare bombe per scopi politici, per esempio, non era facile, e a volte mi obbligava a lunghe pause per trovare in me il respiro necessario al nuovo tratto di cammino. Tutto questo ha fatto sì che il processo di stesura sia durato una quindicina d’anni. Per fortuna nelle pause ho scritto e pubblicato un altro po’ di libri…
Nero ananas è un romanzo corale: molti personaggi sono realmente esistiti, quasi tutti riconducibili all’eversione di destra di quegli anni, un’area composita nella quale convivevano molte anime. Spicca su tutti il ragazzino la cui sorella sparisce di casa, quasi ingoiata dal mistero degli eventi che stanno accadendo. Durante una vacanza si trova catapultato nei moti di Reggio Calabria (altro episodio sconosciuto e dimenticato) e li vive come un’avventura, “una cosa bellissima”. È la perdita dell’innocenza, che da personale si fa collettiva: quanta consapevolezza abbiamo del modo in cui quegli anni hanno inciso nella nostra storia? Il tuo romanzo, così vibrante nella scrittura, ci vuole riportare agli interrogativi senza risposte di quegli anni, pagati da centinaia di innocenti?
Io credo alla letteratura come forma di conoscenza. Abbiamo tante forme di conoscenza (di noi stessi e del mondo) a nostra disposizione: la scienza, la filosofia, la storia. Anche, in un certo senso, le religioni. Quando leggo un libro di narrativa, riesco ad appassionarmi solo se, al di là della vicenda che mi sta raccontando, riesce a farmi intravedere un pezzettino in più di me stesso e del mondo. Con Nero ananas io non avevo l’intenzione di dare risposte ai tanti interrogativi rimasti aperti riguardo a quegli anni. Volevo raccontare da dentro alcuni dei personaggi che li hanno navigati, far emergere le loro vite non attraverso gli eventi, ma attraverso le pulsioni, i ragionamenti, le allucinazioni, gli errori, le ipocrisie, le follie che hanno portato a quegli eventi. Volevo esprimere la vita di quegli anni, con tutte le sue contraddizioni. Che forse può essere uno specchio, deformato quanto si vuole, per capire un millimetro di più chi siamo e cosa abbiamo intorno. Credo, alla fine, di aver proposto con questo libro più domande che risposte. E la cosa, mi sa, non mi dispiace.
Daniela Grandinetti
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La Lettura: Nero ananas insegue sin dalle prime pagine, non è un romanzo confezionato per compiacere il lettore, di quelli che si dimenticano il giorno dopo, è scritto con una variabilità di registri confacenti ai numerosi attori delle vicende. Un mosaico di voci e fatti che una volta saltato per aria vi costringerà a star lì a rimettere insieme i pezzi, proprio come la (S)toria, la nostra, alla base della narrazione. Raccontata mirabilmente.
L’autore: È nato nel 1961 a Firenze, dove vive. Ha esordito nel 1995 con la raccolta di racconti Male ai piedi. Il suo primo romanzo, Io e mio fratello (E/O, 1999), è stato tradotto anche in Germania e Ungheria. Sono seguiti Luce profuga (E/O, 2001), A rotta di collo (E/O, 2002), Fuori tempo (Rizzoli, 2004), Ali di sabbia (Alet, 2007), Il sonnambulo (Gaffi, 2014) e Il carteggio Bellosguardo (Italo Svevo Edizioni, 2017). Per Voland ha pubblicato Lo stesso vento nel 2016 e Nero ananas nel 2019, con il quale è stato selezionato tra i dodici candidati del Premio Strega.
*In copertina: la Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana a Milano, dopo l’esplosione del 12 dicembre 1969