Prima dei sei anni, i bambini non ce la fanno a campare di furti, quindi: meglio farli fuori. Anzi: mangiarli, cucinarli a puntino; in umido, arrostiti, al forno, bolliti. Parola del reverendo Jonathan Swift, decano della cattedrale di St Patrick a Dublino. Sono passati quasi tre secoli, duecentonovanta anni, da quel 1729, la crisi economica affligge l’Irlanda, la miseria è ovunque. “Che cosa malinconica, per coloro che passeggiano per questa grande città o viaggiano nel nostro Paese, vedere nelle strade principali e secondarie, e sulle soglie delle casupole, branchi di donne che importunano i passanti chiedendo l’elemosina, con al seguito tre, quattro o sei marmocchi coperti di stracci”. Le prime parole del pamphlet Una modesta proposta (titolo completo: per evitare che i figli degli irlandesi indigenti siano di peso ai genitori o al Paese, facendone un beneficio per tutti), a cura di Luciana Pirè (con testo originale a fronte, edito da Marsilio) hanno gambe da gigante per camminare, oltrepassano i secoli, come fossero centimetri. La tesi curiosa e senza tempo: per sconfiggere sovrappopolazione e disoccupazione il rimedio è semplicissimo, è l’antropofagia. Si mettano in vendita i figli più grassi e, cucinati a puntino con varie ricette, contribuiranno al welfare della nazione. Ucci ucci sento odor di cristianucci, le parole del racconto di Pollicino acquistano, nel delizioso saggio del geniale autore de I viaggi di Gulliver, un registro satirico e politicamente scorretto.
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Corrosivo e vitale, Swift – che pubblica la prima volta A Modest Proposal in forma anonima a Dublino, nell’ottobre 1729 – non prescinde mai dalla corporeità, dalle sue potenzialità mai esaurite, come scrive nell’utile Introduzione Luciana Pirè. La tesi della Proposta è corroborata da molti esempi e da spietate argomentazioni a sostegno. Un primo sguardo ai commercianti: “mi assicurano che un ragazzo o una ragazza non sono merce vendibile prima di dodici anni e che, anche quando raggiungono quest’età, non rendono più di tre sterline, o al massimo tre sterline e mezza corona secondo le quotazioni del mercato”.
L’allusione al tema del cannibalismo nel nuovo mondo non è troppo velata ed è venata di riferimenti politici al partito dei Whig da cui Swift, a quel tempo, stava prendendo le distanze. “Un americano che ho conosciuto a Londra, da buon intenditore, mi ha garantito che un bambino di un anno, sano e ben nutrito, è l’alimento più delizioso, nutriente e salutare, sia in umido, arrostito, al forno o bollito: e non ho dubbi che possa rendere lo stesso ottimo servizio in fricassée o al ragoȗt”. Oltretutto i bambini non sono figli santificati da un vincolo di matrimonio, ma sono più che altro, diremmo noi oggi, figli della serva. I bambini costano e il trattatello di antropofagia infantile prevede anche sadici suggerimenti per le puerpere in allattamento: “consigliando sempre alle madri di lasciarli poppare in abbondanza nell’ultimo mese in modo che arrivino grassi e carnosi su una buona tavola”.
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Il bambino entra così nel menù: “un bambino basterà per due portate in un pranzo tra amici: se invece la famiglia è senza compagnia, ricaverà porzioni ragionevoli dal quarto anteriore o posteriore; e, lessato e condito con un po’ di pepe o sale, sarà molto appetitoso il quarto giorno, specialmente d’inverno”. Già nei Viaggi di Gulliver, si notava l’interesse squisito di Swift per i diversi tipi di carne. Il gigante legato riceveva, infatti, dai piccoli abitanti, carne di “parecchi tipi di animali”, spalle, cosce, lombi, dalla forma di montone, sapientemente cucinati. Lo studio di Swift è approfondito e contempla i mesi in cui il mercato è più florido: “la carne infantile sarà di stagione tutto l’anno, ma più abbondante in marzo, e un po’ prima e un po’ dopo questo mese. Un autore serissimo, ed eminente medico francese, ci racconta infatti che nei paesi cattolici, dove una dieta a base di pesce è ritenuta propizia alla fecondità, nascono più bambini all’incirca nove mesi dopo la Quaresima che in ogni altra stagione”. Non potranno mancare i mattatoi appositi e nemmeno i macellai pronti a lavorare la carne tenera e ancora calda.
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Un’altra riflessione nasce dall’attenta distinzione di genere nella carne: “la carne dei maschi infatti, stando a quanto un mio conoscente americano ha verificato per reiterata esperienza, è in genere stopposa e magra come quella dei nostri scolari, a causa del loro continuo movimento, e il sapore non è gradevole, sicché metterli all’ingrasso non varrebbe la spesa”. Del resto, non si muore solo sotto la fredda lama di un coltello, anzi: “è risaputo che per il freddo, la carestia, la sporcizia e i pidocchi, ne muoiono e ne marciscono ogni giorno con la rapidità che ci si può ragionevolmente aspettare”.
A maggior ragione, si ridurrebbe il numero dei Papisti che, poi, sono i più prolifici d’Irlanda. Tale abbondanza di carne ingrasserebbe anche gli osti che, con tale prelibatezza, potrebbero arricchirsi. Per non parlare dell’incoraggiamento alle nozze, alla premura delle madri verso i figli, all’amorevolezza dei mariti verso le mogli in dolce attesa (che, normalmente, le gonfiano di botte). “Gli uomini sarebbero affezionati alle mogli durante la gravidanza, come lo sono ora alle cavalle pregne dei puledri, alle mucche dei vitelli o alle scrofe in procinto di sgravarsi; e, per timore di un aborto, non le riempirebbero di pugni e calci (usanza fin troppo frequente)”. La carne in scatola – o più precisamente “manzo in barili” – darebbe avvio ad un deciso export del settore. E ridurrebbe l’import: in Irlanda indurrebbe all’acquisto di beni nazionali. Insomma una facile politica economica, a costo zero, in grado di rialzare l’Irlanda dalla genuflessione verso lo sfruttamento colonialista dei governanti britannici.
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Lo scrittore corrosivo, acclamato come patriota irlandese, ibernico – lui che non amava l’Irlanda, nato da protestanti di origine inglese, la sua modesta proposta è volta unicamente al bene comune – si mette al riparo: lui non potrà ricavare un penny dai suoi figli, il più piccolo ha già nove anni e per la moglie si è già fermato ormai l’orologio biologico. La proposta è sarcastica, indecente ma del resto lo è anche la povertà, ieri come oggi. Cinque anni prima di morire, Jonathan Swift scrive anche il testamento, lascia le sue sostanze per la creazione di un manicomio che sarà aperto nel 1757: “Saint Patrick’s Hospital”, o del dott. Swift, come si chiama ancora oggi. I matti, i visionari, si sa, non muoiono mai.
Linda Terziroli
*In copertina: Peter Paul Rubens, “Saturno”, 1636, Madrid, Museo del Prado