18 Marzo 2019

Amiamo soltanto la forma infallibile. Sul significato della parola “trasfigurazione” e sulla necessità dell’esodo quotidiano. Per essere chi siamo dobbiamo rinnegarci continuamente

Di solito riduciamo il fatto religioso a una filosofia, compiendo una contraffazione. Di fatto, pensiamo al cristianesimo cattolico come a un manuale pacificante, per offrire l’altra guancia al perbenismo e lavarcene le mani. Il cristianesimo ci è utile per sentirci bravi, buoni, giusti.

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Insomma: la storia pia di un uomo chiamato Gesù, inchiodato al legno, che perdona tutti ed espia le colpe dell’umanità ci piace, ci convince, è un segno, nel dramma, beneaugurale, un atto di eroismo concepibile. Abbiamo più problemi, presumo, nel credere che risorgeremo nella carne e che per questa fede – il crisma del cristianesimo – dobbiamo dare la vita.

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Il cristianesimo intende la carne come un segno mortale, parziale, dentro a cui, come il succo della noce, si cela la sostanza. I tre evangelisti – Marco, Matteo, Luca – ricordano la trasfigurazione come un momento di svolta: da lì l’azione di Gesù – che prima è maestro di vita, guaritore, sapiente – ha come obbiettivo Gerusalemme, cioè la morte – la città dedita a Dio è la mascella mostruosa in cui il Figlio viene dilaniato. Da quel momento, i discepoli affogano nell’abisso.

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Domenica scorsa – 17 marzo – la lettura evangelica riguardava la trasfigurazione trasfigurata nelle parole di Luca – perché le parole sono volto, fatto sfacciato, contraffazione, merito e menzogna, figura e contro-figura. All’episodio accede la primizia dei discepoli, “prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo” (Lc 9, 28). Questa ‘aristocrazia’ nel cristianesimo non può essere sottovalutata: Cristo è per tutti ma ne sceglie 12, tra i tutti, e dei 12 ne sceglie 3 per “salire sul monte a pregare” (il monte è lo spazio del pregare come il deserto è il luogo della prova: sul monte parla Dio, nel deserto si sfida il sussurro del male).

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Tre discepoli ammirano i Tre: Gesù insieme a “due venuti a parlare con lui: erano Mosè ed Elia” (Lc 9, 30). La rivelazione è il dialogo con i morti – il dialogo autentico accade sempre con i morti, che ci aggiornano sul destino.

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Mosè ed Elia – i morti – “parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9, 31). La rivelazione riguarda la morte: Dio sta morendo, Dio morirà, eccola la grande rivelazione.

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Esodo traduce exodus. Luca non dice ‘viaggio’, ‘cammino’, ‘avvenimento’. Dice esodo, exodus. Esodo vuol dire ‘via’ (odos) che è fuori (ex) dalle vie comuni, un ‘fuori pista’. Per compiere il proprio destino bisogna uscire fuori di sé. Non c’è altra via che uscire dalle vie consuete.

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La trasfigurazione accade nei momenti più drastici della missione di Gesù. Poco prima (Lc 9, 23) Gesù ha detto, con inedita violenza – una violenza che risuona raramente nelle aule colonnate delle chiese – “se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, s’incarichi della propria croce”. Seguire Gesù è un esodo, è andare al di là del giorno, del regno quotidiano – seguire Gesù significa uscire da sé, dal sé. Cioè: trasfigurarsi. Meglio: trafugarsi. Meglio ancora: trafiggersi – una sintesi tra il rinnegare e la croce.

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Poco dopo la trasfigurazione (Lc 9, 41) Gesù urla contro l’umanità perché i suoi discepoli non sono stati in grado di scacciare i demoni dal corpo di un ragazzo (cioè: di vincere il male). “Generazione di increduli e di contorti, fino a quando dovrò stare con voi e sopportarvi?”. Gesù urla contro chi ha rinnegato tutto per seguirlo. Le parole dei discepoli si contorcono come serpi, si avvitano su di sé, non hanno energia. Gesù non ha dubbi riguardo all’idiozia degli uomini.

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La trasfigurazione di Gesù accade “otto giorni dopo” (Lc 9, 28) la prefigurazione della Passione. Gregorio Palamas, sommo monaco dell’Athos, ci spiega cosa significa così: “la grandiosa visione della Luce della Trasfigurazione del Signore rappresenta il mistero dell’ottavo giorno, cioè il tempo futuro, dopo che avrà fine il mondo creato in sei giorni; rappresenta cioè il superamento dei nostri sensi, che esercitano in noi la loro energia in sei modi. Abbiamo infatti cinque sensi, ma a questi si aggiunge la parola profetica in modo sensibile, che fa diventare sei le energie della nostra sensibilità. Ora, il regno di Dio promesso a coloro che ne sono degni è superiore ai sensi e alla parola. Ecco perché, dopo che queste energie che agiscono in noi in sei modi avranno un felice compimento – compimento che dà al settimo giorno la sua ricchezza e dignità – ecco che nell’ottavo giorno, per la potenza di una energia superiore, risplende il regno di Dio”.

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L’episodio della trasfigurazione ci insegna alcune cose riguardo all’approccio a Dio. Il contrasto tra sonno e veglia, ad esempio. “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sogno, ma vegliarono e videro la gloria” (Lc 9, 32). Il mondo dei vivi è, in realtà, dei dormienti; l’uomo spirituale veglia, pattuglia la notte, non crede nell’oscurità, è una fiamma. Si accede alla gloria arsi dal timore (“Ebbero paura”, Lc 9, 34); in ogni caso, beati nell’ignoranza, aderendo a una spudorata semplicità (“ma non sapeva cosa stava dicendo”, Lc 9, 33).

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Luca dice che la trasfigurazione accade durante la preghiera – ci sono parole, dunque, in grado di cambiare le fattezze di un viso.

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Trasfigurare significa, sfacciatamente, smascherarsi – la trasfigurazione è l’opposto della mascherata. Mettendo una maschera simulo l’altro, non lo sono – decido di diventare quell’altro, non l’altro. La maschera è la festa, la danza – della trasfigurazione occorre contemplare l’abisso.

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In particolare, Luca scrive: “l’aspetto del suo volto divenne altro” (Lc 9, 29). Luca usa la parola greca èteros per intendere ‘altro’. Il viso di Gesù diventa altro, diventa l’Altro. Tutto lo sforzo del cristianesimo è diventare altro attraverso lo scontro con l’Altro. Vincere la congiura delle forme, contraffare il destino della corruzione, deformare, sformare, trasfigurare.

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Che cosa significa trasfigurare? Trapiantarsi in altro. Vedere attraverso la forma fissa – che è tale solo per occhi che non sanno vedere. Di ogni uomo, in effetti, dovremo saper vedere l’aspetto trasfigurato – quello solo è atteso, è attestabile. Il resto è il corrotto, ciò che cambia – ma noi di ognuno amiamo l’infallibile, il segno imperituro. (d.b.)

 

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