Siamo, trepidanti, in attesa di ritornare a sederci nei ristoranti, divisi dai tavoli e su i tavoli, da lastre di plexiglas, serviti e riveriti da camerieri con maschere a gas. Sederci per rimpiangere e ricordare i bei tempi in cui, seduti agli stessi tavoli, guardavamo il display dei nostri cellulari evitando sistematicamente di parlarci. Per esorcizzare, come si suol dire, quest’attesa, possiamo lasciarci ammaliare e divertire da quello che dovrebbe essere lo scopo, il vero scopo, lo scopo unico e vitale per affrontare una cena e quindi dei commensali: la fisiognomica. Nessuno meglio di Thomas Bernhard, con il suo I mangia a poco (edito da Adelphi), può raccontarci tutto questo. Nessuno, meglio del protagonista di questo libro, ha dato un significato più sublime all’atto del pranzare assieme al ristorante.
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L’io narrante è lo spettatore desolato e rassegnato di un’amicizia, con un cosiddetto uomo di pensiero, Koller. Uomo di pensiero che sta cercando, invano, di riversare sedici anni di riflessioni in un libro, un libro, appunto, di fisiognomica. Uomo di pensiero, che un giorno come un altro, anzi, in un giorno decisivo decide, durante la sua passeggiata quotidiana, di cambiar direzione: “Come faceva da varie settimane verso sera e da tre giorni regolarmente anche al mattino intorno alle sei, stava andando per motivi di studio nel Warthimsteinpark, dove, grazie alle ideali condizioni naturali esistenti per l’appunto nel Warthimsteinpark, diceva di essere nuovamente riuscito dopo molto tempo a passare, per quanto riguardasse la sua fisiognomica, da pensieri assolutamente privi di valore a pensieri utili, anzi in fondo straordinariamente proficui, e quindi a riprendere quel suo scritto che, trovandosi in uno stato di incapacità di concentrazione, aveva abbandonato oramai da moltissimo tempo, scritto dalla cui stesura dipendeva in definitiva un altro scritto, dalla stesura del quale dipendeva in effetti un altro scritto ancora, scritti che occorreva assolutamente scrivere e dai quali dipendeva la stesura, basata su questi tre scritti, di un quarto scritto sulla fisiognomica che avrebbe determinato di fatto la sua futura attività scientifica e in genere perciò la sua futura esistenza, quand’ecco che, anziché andare come d’abitudine verso il vecchio frassino lui tutto a un tratto e con mossa assolutamente repentina era andato verso la vecchia quercia e con ciò era arrivato a quelli che chiamava i mangia a poco, con i quali per diversi anni nei giorni feriali e quindi dal lunedì al venerdì aveva mangiato a poco prezzo alla Cucina pubblica Viennese e quindi alla cosiddetta Cpv”.
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Da questo momento, i mangia a poco, con i quali aveva pranzato per anni e poi aveva abbandonato e dimenticato, diventano l’ispirazione, il motivo di essere e di esistere della sua filosofia. E solo l’amico, l’unico amico rimastogli o forse mai avuto può essere lo spettatore e l’ascoltatore assieme di questo progetto. Koller ha bisogno di raccontare, sin dal primo incontro con i mangia a poco quando, appena dimesso dal
Wilhelminespital, con una protesi a una gamba, le stampelle, in seguito al morso di un cane, era entrato al Cpv: “Trovandomi ora di nuovo solo e abbandonato a me stesso, dove mai sarei potuto andare se non alla Cpv nel momento in cui mi venne fame. I mangia a poco gli avevano fatto posto in modo estremamente simpatico e in effetti estremamente premuroso e lo avevano invitato con il massimo rispetto ad accomodarsi, mettendogli subito a disposizione il miglior posto e la migliore seggiola, il cosiddetto posto-accanto alla finestra e la cosiddetta seggiola-accanto-alla- finestra. Come è naturale, non si aspettava tanta sollecitudine nei suoi riguardi, non l’aveva affatto prevista, ma i mangia poco erano così premurosi verso di me, diceva Koller, da che ero stato dimesso dal Wilhelminespital, lì nella Cpv mi trovavo di fronte a della gente e i mangia a poco erano le prime persone con le quali, una volta uscito dal Wilhelminenspital, attaccai discorso, dopo che mi ebbero permesso di prendere posto al loro tavolo, al loro tavolo riservato, fece notare Koller, a quello che allora doveva essere già da dieci anni il loro tavolo riservato. (…) Avrebbe potuto prendere posto a tutta una serie di altri tavoli, infatti, come aveva constatato subito entrando nella Cpv, c’erano molti altri posti liberi, verso il tavolo dei mangia a poco, immediatamente, e cioè ancora sulla porta, ero stato attratto dai mangia a poco, diceva Koller, io dovevo per forza andare al loro tavolo e a nessun altro, era evidente che dovevo andare a quel tavolo e nessun altro, il tavolo dei mangia a poco mi era sembrato il tavolo adatto per me in quel momento, mentre avevo avuto subito l’impressione che tutti gli altri tavoli fossero assolutamente inadatti per la situazione in cui mi trovavo in quel momento, la situazione più difficile che si possa immaginare, diceva Koller, lui avrebbe preso posto a quel tavolo e a nessun altro, aveva pensato, e con fare risoluto si era diretto verso il tavolo dei mangia a poco”. Koller si sente subito al suo posto, come se fosse stato da sempre seduto a quel tavolo, come se quel posto fosse stato da sempre il suo: “Probabilmente, diceva Koller, i mangia a poco avevano subito intuito che anche lui come loro era da annoverare fra i mangia a poco, e fin dall’inizio gli avevano fatto posto a loro tavolo accogliendolo per così dire nella loro cerchia in primo luogo soltanto per questo motivo e forse solo in secondo luogo per via della sua condizione di storpio e quindi per quello che lui Koller, chiamava un motivo sanitario. Ma certamente, diceva Koller, in un primo momento lui si era potuto sedere al loro tavolo soltanto in prova, benché avessero subito constatato che lui come loro era da annoverare fra i mangia a poco”.
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L’ amico non può far altro che ascoltare, non può che assecondare il tormento filosofico di Koller, non può che ascoltare, assecondare e lasciarsi travolgere, dalla follia di Koller: “Forse quei mangia a poco, mi venne da pensare accostandomi a lui, lo avevano già fatto diventare pazzo, ma avevo immediatamente respinto questo pensiero e in seguito mentre lui parlava dei mangia a poco, per tutto il tempo mi ero imposto di reprimere questo pensiero, benché questo pensiero in effetti non si lasciasse alla lunga reprimere. Per anni e anni comunque ero tornato ogni volta a pensare che lui da tempo ormai fosse diventato pazzo, sicché mi ero abituato anche questo pensiero. Solo per pochi minuti del resto mi era sembrato già pazzo, poi l’esatto contrario di un pazzo, e mi misi ad ascoltarlo con la massima attenzione. Fin dall’inizio, disse ora, la sua fisiognomica era stata concepita in modo tale da sembrargli oggi in tutte le sue parti completamente riferita ai mangia a poco, anzi, da essere effettivamente riferita ai mangia a poco, vale a dire Einzing, Grill, Goldschmidt e Weninger, dei quali intendeva dare una dopo l’altra delle brevi biografie, prima di occuparsi degli ulteriori singoli punti di contatto fra di loro”.
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Le pagine si dipanano tra le sublimi descrizioni dei mangia a poco, descrizioni sublimi e minuziose. Descrizioni che sono per Koller solo una premessa. La premessa della sua opera filosofica ancora da iniziare a scrivere. Il progetto di un pazzo o forse dell’unico ad aver capito tutto. Si dipanano, le pagine, anche raccontando l’amicizia. Tra il narrante e Koller. Una amicizia sofferta, tormentata, ma scolpita nell’eternità. Si dipanano le pagine come un flusso idilliaco, martellante, poetico e sublime di coscienza. Del quale Bernhard ha fatto un’arte. Arte inarrivabile.
Cosimo Mongelli