10 Dicembre 2018

“Suonare non è un lavoro, ma l’attitudine ad apprezzare la bellezza del mondo”: Francesco Consiglio dialoga con il violinista Alessandro Cazzato

Italia, patria della musica. Nei secoli andati non fu detta così per scherzo ma per evidenze storiche: l’invenzione della notazione musicale, la presenza di grandi compositori, l’età d’oro dell’Opera: Rossini, Donizetti, Puccini, Verdi. Nessun titolo fu più meritato. Ma in questa nostra triste contemporaneità, al di là delle buone intenzioni di qualche direttore di conservatorio, singole istituzioni o eroici docenti di scuola media che in condizioni economiche e psicologiche demotivanti si battono per trasmettere la voglia di ascoltare buona musica ogni giorno dell’anno scolastico, ho avuto l’impressione che molti musicisti si sentano stranieri al suolo, parlatori di una lingua che nessuno intende perché nessuno insegna agli italiani cosa sia la musica. Grazie a Dio, esistono individui che non si fanno contagiare dalla mediocrità ben poco aurea che tutto avvolge, e perseguono importanti carriere, con ciò contribuendo al miglioramento della considerazione dell’Italia sui palcoscenici di tutto il mondo. Uno tra loro è Alessandro Cazzato, violinista diplomato e specializzato cum laude in violino al Conservatorio ‘Niccolò Piccinni’ di Bari, sotto la guida dei Maestri Franco Mezzena e Felix Ayo. Vincitore di una borsa di studio dell’Accademia Gustav Mahler, allora presieduta da Claudio Abbado. Questo giovane virtuoso, appena trentenne, tiene abitualmente concerti nelle principali sale da concerto e festival in Italia e all’estero einsegna al Conservatorio Fausto Torrefranca di Vibo Valentia e al Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato i cd “Riscritture per violino solo(Geminiani, Ysaye, De Lillo, Di Iorio, Freidlin, Oliveira)” e “Felice Giardini, Six Duos for Two Violin Op. 2”. Laureato anche in Lettere, ha scritto vari saggi sui rapporti tra Musica e Letteratura.

Voglio cominciare l’intervista con una bellissima frase dello scrittore Giovanni Papini: “Il violinista arriva realmente alla suprema grandezza quando non è più lui che suona il violino ma quando l’arco strappa dall’anima sua, e non dalle corde, le note più imploranti e desolate”. Da semplice appassionato, se dovessi associare una parola a questo suono, perdonami il déjà entendu, non potrebbe essere che ‘struggente’,derivazione delicata e romantica del latino destruere,che per me rappresenta lo sciogliersi del cuore mentre ascolto l’Adagio in sol minore di Remo Giazotto. Dal punto di vista dell’interprete, mi chiedo se l’esecuzione di un brano necessiti di immedesimazione con i sentimenti di chi lo ha scritto o sia invece preferibile mantenere uno stato di imperturbabilità interiore.

Innanzitutto, per me la musica non è la pagina scritta dal compositore ma è ‘nella’ pagina. Da interprete del repertorio non solo classico ma anche contemporaneo, devo riconoscere alla tecnica il suo ruolo di vero e proprio atto creativo nell’ambito violinistico, in quanto libera da vincoli fisici il nostro potenziale espressivo. Il gusto personale poi ci permette di riversare in ogni pagina musicale non solo la nostra storia e il nostro bagaglio emotivo ma anche la nostra cultura. La sensibilità dell’interprete non può essere solo individuale e non può essere esclusivamente immedesimazione con i sentimenti del compositore, ma deve essere universale; in questo senso, l’interpretazione si presenta più libera, sincera e coerente.

Mi piacerebbe che qualcuno scrivesse un atlante delle emozioni suscitate dal suono dei singoli strumenti. Il contrabbasso, per esempio, a me stimola la calma del ron ron di un gatto a cui si liscia il pelo. E il violino?

Ci dimentichiamo troppo spesso che la ‘memoria emotiva’ – riferita a quelle emozioni che sono suscitate in noi in un determinato momento dell’apprendimento – è la più forte che possediamo. Un ‘atlante delle emozioni’ è un’iniziativa lodevole soprattutto in prospettiva didattica: si può rafforzare l’apprendimento di quelle sequenze motorie utili alla performance violinistica fin dai primi anni di studio, grazie al coinvolgimento diretto delle emozioni e alla loro funzione di catalizzatore della memoria. In ambito poetico, il tentativo di rinforzare la connessione tra parola poetica ed emozione è stato sperimentato, proprio grazie alla forza evocativa del suono musicale, dal simbolismo francese: si pensi all’incipit della Chanson d’automnedi Paul Verlaine in cui si vuole imitare consapevolmente il timbro del violino:“Les sanglots longs / des violons / de l’automne / blessent mon coeur / d’une langueur / monotone” (I singhiozzi lunghi / dei violini / d’autunno /mi feriscono il cuore / con languore / monotono).

Di Paganini si diceva che la sua straordinaria bravura fosse dovuta a un patto con il diavolo. Secondo l’occultista Eliphas Levi, non vi è strumento di magia più potente della voce umana (e del canto soprattutto, donde la parola incanto), ma il suono del violino può aumentarne la potenza. Howard Phillips Lovecraft, uno tra i maggiori scrittori horror di tutti i tempi, scrisse un racconto intitolato “La musica di Erich Zann” in cui narra la storia di uno studente ossessionato dalle strane e inquietanti melodie di un suo vicino di casa, un suonatore di viola che dà al suo strumento una sonorità mai udita prima e a tratti ne cava una sorta distruggente e spaventoso latrato notturno. Come si spiega questo mitico legame tra strumenti ad arco e mondo dell’occulto?

È sicuramente un affascinante connubio quello tra violino e mondo dell’occulto,alimentato, in particolar modo, dalla affascinante figura di Niccolò Paganini. Già bersaglio delle irriverenti caricature ottocentesche di Johann Peter Lyser, Paganini era ritratto spesso con dettagli diabolici con unatale somiglianza da suscitare riso e spavento, e sembrava appartenere al sulfureo regno delle ombre con la sua faccia pallida e cadaverica. La similitudine con il demoniaco – frequente nei discorsi su Paganini – non manca nelle parole del poeta Heinrich Heine: “Paganini si presentò in concerto e sembrava uscito dal mondo delle tenebre, con l’abito nero di gala d’un taglio così deforme e spaventoso come è prescritto dall’etichetta infernale alla corte di Proserpina”. In fin dei conti, la tecnica violinistica trascende così tanto dal senso comune – e implica il coinvolgimento di moltissime aree sensoriali, motorie e corticali, forse più di ogni altra attività umana – da sembrare un vero e proprio patto con il diavolo.

Ambrose Bierce, uno degli autori più dissacranti e controversi della letteratura americana, ha scritto un Dizionario deldiavolo ricco di definizioni caustiche, ciniche e argute. Alla voce ‘Violino’,scrive: «Strumento per infastidire le orecchie umane con la frizione esercitata da una coda di cavallo sulle viscere di un gatto». Evidentemente, Bierce ebbe la sfortuna di frequentare pessimi suonatori, poiché è noto che il violino, tra tutti gli strumenti, è quello meno indulgente con il tocco dei mediocri. In un libro di Guido Cimoso, Principi elementari di musica, pubblicato nel 1828, trovo scritto: «Quanti sono i giovani che, per la difficoltà del violino, appena intrapresa la carriera di volerlo studiare,continuano? Ah sì! Prendono lo strumento e lo precipitano giù per le scale, o lo gettano per la finestra. Simil fatto non succede certamente in quelli che si pongono all’applicazione del fortepiano». Perché un giovane dovrebbe scegliere uno strumento così difficile e che richiede troppa diligenza per essere ben suonato?

Innanzitutto, studiare il violino insegna disciplina e pazienza. Se i bambini mettessero ogni giorno da parte un po’ di ore per praticare il violino, allora saprebbero gestire meglio il tempo ed essere pazienti con i loro progressi. Non sottovaluterei anche un altro fattore molto importante per il mondo moderno: imparare a suonare il violino costruisce forti e durature relazioni interpersonali tra membri di orchestre o di ensemble, combattendo la solitudine di un mondo sempre più tecno-centrico. Suonare uno strumento musicale non è un semplice lavoro ma attitudine ad apprezzare la bellezza del mondo che ci circonda.

Da qualche anno la tua attività di concertista si intreccia sempre più fittamente a quella di narratore e saggista. In un libro del 2016, La lanterna magica, hai scritto dei rapporti tra musica e letteratura, indagandone le reciproche influenze declinate attraverso le forme letterarie del racconto, della poesia e del mito. Tra i molti argomenti trattati, mi hanno incuriosito le riflessioni estetico-musicali di Giacomo Leopardi, i cui rapporti con la musica sono un tema ancora poco studiato e però finemente trattato nello Zibaldone, quando il poeta afferma che a differenza delle diverse arti imitatrici della natura da cui si trae il sentimento, solo la musica “non imita, e non esprime che lo stesso sentimento in persona ch’ella trae da sé stessa e non dalla natura”. Possiamo dunque affermare, senza essere tacciati di ingenuità o vanagloria, che la musica è la più perfetta delle arti?

Per Leopardi, il piacere provocato dalla musica ha una genesi sensistico/materiale, ovvero parte da una sensazione di piacere prima fisico che intellettuale. Bisogna ammettere che tutti i filosofi romantici assegnano alla musica una posizione di rilievo e, anche se non sempre la pongono alla sommità della gerarchia, il più delle volte le attribuiscono speciali privilegi: nella visione romantica tedesca la musica è “lingua originale della natura” (Schlegel), sa esprimere la“pura interiorità” (Hegel) e persino “l’Unbedingte, l’infinito, l’illimi­tato”(Novalis), “schiude all’uomo un regno ignoto” (Hoffmann). Le recenti ricerche in ambito neurologico hanno dimostrato come ascoltare la musica, produrla o insegnarla, siano tra gli atti che mettono in azione il maggior numero di aree del cervello, a testimonianza di un coinvolgimento totale dell’individuo dal punto di vista intellettivo, emotivo, motorio.

Nel tuo repertorio si nota la predilezione per una ricerca musicale atta ad esplorare l’interazione tra il violino e l’elettronica. In un mondo, quello della musica c.d. colta, che è spesso tacciato di essere polveroso e reazionario, questa tua scelta è stata pensata come una sorta di sprone per tutti gli esecutori, o si tratta di pura e semplice passione?

Negli ultimi anni mi sono dedicato con passione e interesse alle possibili interazioni tra violino ed elettronica, sia essa realizzata su supporto fisso (tape)che realizzata in riproduzione live. In quest’ultimo approccio ripongo la mia predilezione, perché apre possibilità inaspettate e allarga il concetto stesso di opera musicale. Realizzare una performance di musica cosiddetta ‘mista’(violino e elettronica in tempo reale) rimane oggi per me un’operazione sostanzialmente legata al concetto di Musica da Camera, in cui si innesta un dialogo continuo tra il proprio strumento e tutta una serie di interazioni e feed-back con i suoni elettroacustici,in cui la componente di innovazione e sperimentazione gioca un ruolo di assoluta protagonista.

Infine, la più classica e inevitabile delle domande: progetti per il futuro?

Un posto di assoluto rilievo tra i miei progetti futuri è occupato dal progetto ‘Duo Archimie’, con la bravissima violinista Sharon Tomaselli, che ci vedrà impegnati nella promozione di un nostro Cd per l’etichetta ‘Tactus’ (in uscita ad inizio 2019, con repertorio barocco per due violini in prima registrazione assoluta), nella realizzazione di concerti in Italia e all’estero (UK, Grecia, Turchia) e nella riscoperta del repertorio italiano inedito per due violini, sia antico che moderno. Inoltre,mi propongo di valorizzare i miei studenti del Conservatorio con nuovi progetti musicali e attività performative.

Francesco Consiglio

Gruppo MAGOG