29 Ottobre 2019

“Tolstoj e Dostoevskij facevano sembrare artificiali i romanzi scritti in Europa”: rileggiamo William Somerset Maugham, uno scrittore al servizio (segreto) di Sua Maestà, in Russia

Uno dei generi più bistrattati dall’editoria italica sono i diari privati degli scrittori. Capiamoci: possiamo leggerne quanti vogliamo, sia andando in libreria che in biblioteca. Il punto è un altro. Rispetto al lettore inglese del Regno Unito, quello italiano ha meno consuetudine col pensiero lento dell’ideazione, con l’annotazione quotidiana, quasi a scarico di coscienza, tipico della scrittura e del mental habit anglosassone. Peccato, perché molti scrittori sottovalutati per i loro libri si mostrano invece di grandezza inaudita nei diari privati. Uno per tutti: William Somerset Maugham.

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Nel 1917 è Maugham ha 43 anni ed è affermato al punto da venir impiegato dal Servizio di Sua Maestà per andare a spiare cosa succedeva nella novella Repubblica dei Soviet. Traduco alla data 1917 del suo diario reso pubblico nel 1949 e mai apparso in italiano (A writer’s notebook): “Sono stato indotto a interessarmi della Russia per le stesse ragioni, più o meno, che avevano i miei contemporanei. Ragione ovvia: l’invenzione. Tolstoj e Turgenev, ma soprattutto Dostoevskij, offrivano un’emozione diversa dai romanzi degli altri paesi. Facevano sembrare artificiali i romanzi scritti in Europa occidentale. La loro novità mi rese iniquo nei confronti di Thackeray, Dickens e Trollope con la loro morale convenzionale; e persino i più grandi di Francia, Balzac, Stendhal e Flaubert, al confronto sembravano formali e un tantino frigidi. La vita che questi inglesi e francesi ritraevano era familiare; e io, come altri della mia generazione, ne ero stanco. Descrivevano una società manierata. I suoi pensieri erano stati pensati troppo spesso. Le sue emozioni, anche quando stravaganti, lo erano all’interno di limiti ordinati. Era un’invenzione idonea per la società medio borghese, ben pasciuta, ben vestita, ben arredata e i suoi lettori era determinati a tenere in mente che tutto quel che leggevano era dato perché vi credessero”. Come nota di viaggio di un uomo in più serie cose affaccendato che non la letteratura, non è per niente male.

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Un’altra spulciatura nelle pagine di diario: “I fantastici anni Novanta smossero gli intelligenti dalla loro apatia, rendendoli senza requie e scontenti, ma non diede loro nulla di soddisfacente. Vecchi idoli furono scossi, ma quelli innalzati al posto loro erano di cartapesta. Gli anni Novanta parlarono molto di arte e letteratura, ma le loro opere furono come conigli giocattolo che saltano intorno per un’ora da quando li carichi e poi improvvisamente con un click si fermano stecchiti”.

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Del resto, nel diario Maugham annota caratteri trovati nelle traversate in boat negli anni Trenta: il soppalco dei suoi racconti nei Mari del Sud. A volte, anzi, anche meglio il diario delle storie inventate: c’è una nota di sette righe dove descrive un certo Melville. Realtà che si tinge di metaletteratura.

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Come è consueto nel genere diaristico, Maugham inizia da giovane a segnare pensieri e aforismi. Sono di un cinismo inaudito, se solo pensiamo che un secolo fa scrive “la vita moderna richiede la specializzazione dei sessi, di conseguenza bisogna rivedere le nostre idee sulla prostituzione”. Oppure, meno delicato: “Poeti moderni. Mi contenterei se fossero meno intelligenti a patto che avessero più sentimento. Producono piccole canzoni non da grandi dolori, bensì da sobri piaceri di gente bene istruita”.

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Maugham, per tornare alla sua statura di letterato, ha delle buone pagine dove riflette sulle mode culturali. Eccone una del 1917: “Resurrezione è un libro che deve la sua reputazione al suo autore. Lo scopo morale ha oscurato l’arte, ed è un trattato più che un romanzo. Le scene in prigione, il resoconto del viaggio della prigioniera in Siberia, danno l’impressione sfortunata di esser stati prodotti da uno sgobbone; ma Tolstoj aveva grandi doni e nemmeno qui essi scompaiono del tutto. Gli effetti di natura sono descritti con mano felice, a un tempo realistica e poetica, e riesce a darci come nessun altro nella letteratura russa i profumi della notte del villaggio, il calore del mezzogiorno e il mistero del tramonto. Il suo potere di caratterizzazione è straordinario e in Nechljudov, benché forse non abbia ritratto il carattere come desiderava, con la sua sensualità e misticismo, la sua testa arruffata, la sua timidezza e testardaggine, ha creato un tipo nel quale ogni russo può riconoscersi. Ma forse da un punto di vista tecnico il fatto più notevole del libro è la galleria immensa di caratteri subordinati, alcuni dei quali compaiono in una sola pagina, e che sono ritratti, spesso in tre o quattro righe, con una distinzione e un’individualità che ogni scrittore deve per forza rilevare come straordinaria. La maggior parte dei personaggi nelle opere di Shakespeare non sono per nulla caratterizzati: sono dei semplici nomi con un certo numero di righe da dire, e gli attori, i quali hanno spesso un istinto preciso in materia, ti diranno quali grandi sforzi richieda mettere dell’individualità in queste marionette; ma Tolstoj dà a ogni uomo una sua propria vita e carattere. Un commentatore astuto potrebbe arzigogolare sul passato e suggerire il futuro per i caratteri meglio ritratti”.

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Insomma, perché Maugham non sfonda più, nonostante le conclamate perle ripescate da Adelphi? Forse perché si è usurato, almeno davanti al pubblico italiano, con le belle edizioni Mondadori tra anni Cinquanta e Sessanta. È una risposta plausibile ma certo ve ne sono altre. Chiaramente il suo cinismo non ha pagato bene. Eccovi qui in fondo, come esortazione a riscoprire Maugham all’infinito, un “assaggio di saggio” che gli dedicò Graham Greene, altro scrittore a tempo perso.

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Nota per scassinatori. Maugham in URSS fu agente di influenza. Gli agenti di influenza sono le cose più fini e intelligenti, perdonate il gioco di parole, dell’intelligence. Se noi sapessimo chi sono oggi quelli operativi in Italia, da una parte o dall’altra, ci metteremmo a ridere o a piangere. Il comunismo URRS era un golpe, ma fatto male: e così tutti gli altri comunismi. Quello che però venne bene, a San Pietroburgo, era opera dei servizi altrui e di una certa ingenuità del potere zarista. Leggete il libretto di Malaparte sulla Tecnica del colpo di stato, ma evitate come la scarlattina quello di Luttwak, un fesso inimmaginabile. Luttwak, come Ginzburg e tutto il leftism presi per la collottola, è così banale e abborracciato al confronto di Malaparte.

Altri danni del leftism: se si capisse davvero come è fatto tuttora, all’interno, il comunismo (Sogno l’aveva capito perfettamente) non avremmo più questa influenza universitaria. Andate a vedere la tesi di Andrea Pannocchia, che si laureò a Firenze, Cesare Alfieri, con una tesi su La disinformazione sul caso Gladio, un buon lavoro che per essere realizzato ha visto, come nei videogiochi, tutti i “livelli”, uno dopo l’altro. La trovate sulla rete.

Quanto alle note di servizio di Maugham, non saranno mai messe fuori dagli inglesi, per nessuno. Sarebbe utopia, invece, se le università ci regalassero libri approfonditi sul tema “professori in servizio”. Ma è un’utopia spiacevole: l’università, in USA come da noi, serve solo a chi ci prende lo stipendio dentro. Niente è pensato per il mercato, l’utente finale, l’utile e il reale. Goethe sì che si laureava (in Legge) a sedici anni, noi dobbiamo fracassarci i cabbasisi per garantire un quid (vedere Wodehouse) agli illustri Professori. Ricordiamoci perciò di Lawrence d’Arabia: “niente è scritto”. Se solo avessimo un libro scritto da universitari su storici universitari, come Michael Grant (m. 2004) che conosceva a menadito il mondo antico e le sue monete, scavava in Turchia fino all’inizio della guerra e prima di tornare a Khartoum fingeva di fare il giornalista a Roma. Grant è stato realmente l’ultimo degli archeologi di Sua Maestà: i suoi libri su Tacito, pieni di fatterelli, sono ancora piacevoli ed esatti. Probabilmente lui era un pessimo agente segreto, ma certo dalla sua biografia verrebbe fuori una storia piacevole. Dicono che Grant fosse simpaticissimo e parlasse un buon italiano: forse era persino gradevole, ma dopo il terzo whisky.

Andrea Bianchi

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Graham Greene, Pensieri diversi su Somerset Maugham

Don Fernando è un libro inatteso per quelli che considerano Maugham in prima battuta come: adulterio in Cina, assassinio in Malesia, suicidio nei mari del Sud, e altre storie violente e colorate che hanno alzato così bene il livello delle riviste di consumo. Ma c’è un Mr Maugham più importante di questo: l’osservatore astuto, critico e umano de Lo scheletro nell’armadio, quello delle migliori storie in Ashenden, quello della prefazione alla raccolta di racconti (The Casuarina Tree). La caratteristica più evidente in questi libri e in Don Fernando è l’onestà. È emersa lentamente dal passato cinico e romantico del nostro; ci sono passaggi nei racconti asiatici e ne Il velo dipinto che Maugham deve trovare assai imbarazzanti da ricordare, ed è interessante apprendere in Don Fernando che la sua vasta conoscenza di testi spagnoli la accumulò da giovane, quando voleva materiali grezzi per un romanzo dongiovannesco che non compose mai.

Maugham non è pedante né soffre di poca immaginazione. L’onestà è una forma della sensibilità, e avete necessità di un orecchio molto sensibile per rintracciare nelle opere verbose di Calderon, come dice Maugham, “il rullo di tamburi di potenze invisibili, un rullo dal rumore sottile, mentre accade questa e quella cosa”. Si può sorridere al solo pensiero di Maugham che pratica gli esercizi spirituali di Loyola e li trova assai severi (“mi sembrava di stare per ammalarmi”), ma è questa qualità di esperienza onesta a dare al suo stile tanta vividezza. (…)

Le storie brevi di Maugham sono così note che un recensore può essere perdonato se si sofferma principalmente sulla prefazione che Maugham ha apposto alla raccolta di racconti. È un testo piacevole e per gente sensibile e tratta delle sue storie brevi, opera pregevole perché segnala un punto di vista del tutto ignoto tra gli scrittori inglesi: conosco solo Cechov come autore in grado di rappresentare con precisione di mano la comunicazione tra spirito e spirito. Invero, in anni recenti gli scrittori inglesi di storie brevi hanno seguito Maupassant invece di Cechov.

Maugham è scrittore di grande deliberazione anche quando il suo stile perde la cura (“bocca bruciante”, “nudità dell’anima”, “bocca come una ferita scarlatta”); sentiamo che non perderà mai la testa; ha un punto di vista bilanciato. (…) Anche nel suo libro personale, Catalina, l’autore non vuole comunicare più di quel che pertiene all’autorità di un autore in senso generale; diversamente da un autobiografo professionista, non ci porta con prontezza di venditore dentro la sua confidenza. La sua vita è una raccolta di materiale adatto per la drammatizzazione e lui l’ha adoperato ai fini dell’inventiva. C’è un sentiero fisso nella sua scrittura e non siamo incoraggiati a guardare l’ordito dietro la trama della sua vita: la sua vicenda in ospedale (la reputazione di Liza di Lambeth); l’agente di influenza (andare a Ashenden); il viaggiatore – ci sono molti libri. Il senso di privacy, così raro e attraente come qualità d’autore, si sprofonda nei riferimenti lasciati in bianco alle esperienze dentro il servizio segreto in Russia, poco prima della Rivoluzione, riferimenti dei quali non vi sono tracce dirette nelle sue storie.

Maugham semmai si avvicina alla confidenza nella descrizione del suo credo religioso – se siete in grado di definire come credenza l’agnosticismo, e inoltre il fatto che sul punto Maugham parla anche senza conoscere i suoi interlocutori, ebbene questo ci lascia di stucco. Ci sono segnali di confusione, contraddizioni, lampi di inibizione. Se non fosse così, non troveremmo la sorgente profonda delle sue limitazioni, giacché l’arte creativa sembra rimanere una funzione della mentalità religiosa. Maugham l’agnostico è forzato a minimizzare tutto – dolore, vizio, l’importanza dei suoi compagni sulla terra.

Non può credere in un Dio che punisce e perciò non può credere nell’importanza dell’azione umana. Non è difficile, scrive, “perdonare le persone per i loro peccati” – e suona come carità, ma potrebbe essere, banalmente, disprezzo. In un altro punto fa riferimento con comprensibile distacco agli scrittori che “con magniloquenza ti diranno se una troietta [trollop] può finire a letto con un giovane uomo, bello ma noioso”. Questo è tema vecchio come Troilo e Cressida, ma per la mente del Cinquecento cose come “uomo noioso” e “importanza del peccato” non esistevano proprio; gli scrittori creativi di quel tempo tracciavano i caratteri umani con una chiarezza che non abbiamo più eguagliato, chiarezza che ci hanno mostrato solo i Russi in anni recenti, e questo perché gli uomini rinascimentali come Shakespeare erano accesi dall’ira luminosa e dalla estrema importanza che per poco ci trasmette la guerra. Togliete agli uomini la loro importanza che li porta in paradiso o in inferno e avrete spogliato i caratteri della loro individualità: di qui alla domandona “Cosa deve fare una Donna Socialista?” il passo è breve. Non siamo riusciti a ricordare i caratteri di Maugham ma semmai il loro narratore, col suo disprezzo per la vita umana, la sua infelice onestà. (1935-8)

Graham Greene

* traduzione di Andrea Bianchi dai Collected essays

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