Sei italiani su dieci non leggono. Meglio. Leggere non serve a nulla
Sempre la solita solfa. I giornali, durante le festività, non sapendo come riempire le pagine, invece di approfittarne per parlare di cose serie, ripropongono di anno in anno questioni già sentite e articoli già scritti, mutando appena qualche virgola. Negli ultimi giorni è in voga il canto funebre, su spartito fornito dall’Istat, per lamentarsi delle mancate letture degli italiani. Dati alla mano – ovviamente, nessuno parla di come sia stato condotto il sondaggio –, pare che sei italiani su dieci non leggano. L’altro tema che ritorna, più o meno ogni trimestre, insieme a questo, è quello secondo cui la maggior parte di noi non sarebbe in grado di comprendere un testo di media complessità. Il Corriere fornì recentemente anche un esempio, per chiarire cosa si intenda con questa astrusa formula di “un testo di media complessità”. Riportò un brano da La scuola cattolica di Albinati. Provai anch’io a leggerlo, per vedere se lo comprendevo ma, sinceramente, forse non arrivai alla fine perché mi addormentai prima.
Insomma, gli italiani non leggono e parte la reprimenda. Istintivamente sorrido. E quindi? Quale malsana idea anima la nostra intellighenzia per indurla a pensare che chi legge sia un uomo migliore, o più intelligente? Ma, poi, leggere cosa? Leggere Balzac rende migliori? O leggere un testo di ingegneria edile?
Personalmente, ho iniziato a divorare testi dalla prima classe elementare e non ho mai smesso. Forse preferirei addirittura farmi evirare, piuttosto che riporre i miei amati libri. Eppure, vi confesso, non sono un essere superiore a mia nonna che aveva giusto finito le elementari. Lei sarebbe morta per me; io, se dovessi vedere un bambino prossimo ad annegare, non rischierei la mia vita per la sua. Sono patologicamente egoista e narcisista. No, decisamente, non sono un grande esempio di umanità e solidarietà. Mi spiace. Ma, posso garantire, i poeti, gli scrittori, e i lettori che ho conosciuto non erano meglio di me. Gente che per una pubblicazione venderebbe la madre al demonio in persona. Al contrario, le poche anime che abbia incontrato, dotate di uno spirito di carità (amore), erano rozze e ignoranti. Non avevano la benché minima idea di chi fosse Kant. Eppure, sapevano amare e voler bene, conoscevano l’abnegazione e il sacrificio spassionato.
Ma si vorrebbe forse asserire chechi legge sia più intelligente? Per favore, non fatemi ridere! Sul piano adattivo, quelli come me, che hanno passato la vita a leggere, sono degli inetti totali. Se, per ipotesi, dovessero abbandonarmi solo in una foresta, per qualche giorno, credo che morirei prima ancora di poter dire “amen”. Non sarei in grado di farmi un archetto e delle frecce per dare la caccia agli animali, così da procurarmi il nutrimento. Tanto meno saprei dare forma a una canna da pesca, o distinguere tra i funghi commestibili e quelli velenosi. Ma, anche senza arrivare a scenari tanto estremi, rimanendo nell’ambito della civiltà, non so tirare su un muro, fare il cemento, costruire un impianto elettrico. In un universo distopico, oggi tanto di moda tra i romanzieri, diciamo una condizione alla Sulla strada di Cormac McCarthy, i predoni mi mangerebbero nel giro di due giorni. Anche perché, detto inter nos, anche se fossi armato, sono persuaso che non avrei grandi possibilità di sopravvivenza: non ho mai sparato in vita mia, se non con una pistola ad acqua, e non so tenere in mano un fucile. Credo che, dovendolo usare, finirei a terra per via della forza di rinculo dell’arma, oppure riuscirei a colpirmi un piede.
Ma restiamo alla nostra realtà quotidiana. Sì, ho letto molti romanzi, saggi, testi filosofici e via dicendo, ma ignoro del tutto la giurisprudenza, la fisica, la matematica, l’ingegneria. Non ho idea di come si costruisca un ponte. A stento comprendo quali siano i meccanismi che muovono l’autobus che prendo e non so niente in merito ai motori delle auto. Non riuscirei neppure a costruire un carro da far trainare ai buoi. E, le poche volte che ho sottoscritto un atto notarile, o firmato un contratto, a dire la verità “mi sono fidato”, perché le questioni più specifiche mi sfuggivano del tutto.
Quando cercano di farvi sentire ignobili perché non leggete, in poche parole, spesso e volentieri, vorrebbero solo arrampicarsi sulle vostre spalle, probabilmente perché sono più robuste delle loro. Il mondo dei letterati è un sistema che si autoalimenta e si autoincensa nel modo più ridicolo. Torme di topi da biblioteca si beano di citare a memoria poeti e titoli di romanzi ma, tirati via dal tavolino, la loro assenza di vigore e qualità è quasi grottesca. No, leggere romanzi non farà necessariamente di voi delle persone migliori, più intelligenti (almeno in senso pratico), o con maggiori capacità critiche verso il mondo che vi circonda. Provate a chiedere a un laureato in Lettere quale sia la sua idea per risanare l’economia italiana e vedrete che il massimo che riuscirà a tirare fuori sarà una versione in prosa dei versi di Imagine di John Lennon, qualcosa tipo: “Immagina che non esista un paradiso e nessun inferno sotto i nostri piedi, ma solo un unico cielo sopra di noi. Immagina non esistano più le nazioni e che tutti vivano in pace”. Insomma, cretinate da canzonetta per sognatori decerebrati. E non dimenticate che, di massima, chi ha studiato e letto è solo uno che ha avuto minori occasioni di confrontarsi con la vita vera, mentre è stato sottoposto per un lasso di tempo maggiore alla propaganda di regime, che è poi quella che sta alla base di scuole e università.
E in ultimo, cosa legge chi legge? Avete dato un’occhiata ai testi più venduti? Siete ancora certi che leggere sia per forza un bene? Solo per pietà, infine, non sollevo l’annosa questione del perché le donne, anche quelle colte, preferiscano l’idraulico all’intellettuale, almeno quando si va al sodo. Felice anno nuovo, care anime nobili.
Matteo Fais
Chi non legge è disumano. Tanto vale parlare con la nebbia
Abito a Riccione. Un posto che sta tra la nebbia e l’idiozia, tra il mare immoto e l’immotivata ignoranza dei riccionesi. Perché uno come me, addestrato a vivere in un borgo islandese, in una placca di ghiaccio australe con tonnellate di sirene discinte, sia capitato a Riccione, terra di beoni, beoti, beati nella loro tronfia cretineria, è un enigma agostiniano, ci vorrebbe uno Spinoza a risolverla, a randellate etiche. Ad ogni modo, io divido il mondo tra chi ha letto almeno Le memorie del sottosuolo e chi crede che Dostoevskij sia una marca di rum. A Riccione, lo capite da voi, vivo come un mentecatto, un mendicante, parlo con nessuno, la nebbia risuona le mie più livide riflessioni. Leggere non rende migliori né superiori né supereroi.
Semplicemente, leggere rende umani. Chi non legge è disumano: a questo punto, meglio passare la vita a osservare i gabbiani e le evoluzioni predatorie dei cani, sono più interessanti. I medici mi intrigano quel paio di secondi se trasudano cinismo – tutti muoiono, beati i vivi, la carne si corrompe, fa schifo – gli avvocati se essudano ambizione, gli ingegneri se sono sorretti da orgoglio a bilioni. Al di là di questo, si fottano tutti, non hanno nulla da dirmi, passo oltre. L’uomo non è interessante: mangia, caga, scopa (se gli tira). Non ha l’eleganza di un ghepardo, non ha la ferocia di una tigre, non ha il tremore di un cervo. L’unica cosa interessante che produce l’uomo è letteratura. Cioè: passare il tempo a fare una Amazzonia delle proprie interiora, a costruire castelli in aria, a spaccare in quattro il misero legno del proprio pensiero. Per questo, io non parlo con chi non legge. Chi non legge, semplicemente, non sa parlare, è un cretino su due arti, che fa bla-bla per guadagnare due soldi, che spende in ville-auto-escort, per poi passare a miglior dimora, nel marmo assertivo di una tomba, evviva, era ora. Con la gente, per strada, io voglio parlare di Eraclito e di Orazio, di Petrarca e di Leopardi, di Montaigne e di Tolstoj. Tutto il resto è niente, la nientitudine che annienta l’uomo. Tutto il resto – dall’acqua calda in casa all’ascensore, dall’automobile ai vaccini – non è progresso, è inquietudine e inquinamento. Per me l’unica cosa che conta, che resta, è la letteratura. Un sano espediente per sedersi, non fare un cazzo, non fare cazzate, e pensare, aggrovigliarsi nel linguaggio, far risuonare il proprio vuoto e gettar dentro, in questa piramidale vertigine, i propri occhi, e assaporare lo schianto delle pupille – splash, splash – e far fiorire verbi sul sole – che è sempre lo stesso da millenni – e nominare le stelle – le solite, le senza senso – e dotare di epiteti gli umani – i consueti, i già visti e stranoti. Non esiste altro, credete, chi non ha letto Le memorie del sottosuolo non è che non sia degno di vivere, non vive, ecco. Respira. Come le mosche. Respira. Attaccato al respiratore della propria vita indegna. L’unica attività pienamente umana, degna d’atto, è la lettura. Chi legge non è più intelligente, non diventa superdotato, probabilmente si fa più stronzo e sofferto – chi legge è un uomo. Tutti gli altri sono zombie. E io resto a trastullarmi con la nebbia.