30 Gennaio 2020

“Teoricamente, sono un fantasma. Lo yiddish è una Siberia letteraria: ma è meglio scrivere in una lingua morta che adattarsi alle leggi del mercato editoriale”. Un articolo memorabile di Isaac B. Singer

Per quel che mi riguarda, Isaac B. Singer è uno degli scrittori più esilaranti e straordinari del secolo scorso. Mescola cinismo e meraviglioso in quantità essenziali, distillando letteratura superiore, superba. Carnale e stellare allo stesso tempo, ha scritto libri magnetici come “Satana a Goray” e “Il mago di Lublino”. Eccellente narratore di storie, i “Racconti” di Singer sono radunati, dal 1998, in un ‘Meridiano’ Mondadori. Provocatorio, audace – Singer titilla le pudenda e stimola lo spirito – I.B. ha ottenuto il Nobel per la letteratura nel 1978. Nato in Polonia nel 1902, dai tardi anni Trenta si trasferisce negli Stati Uniti, ma sceglie comunque di scrivere in lingua yiddish. La sua scelta, ribadita più volte, è oggetto di questo intervento, pubblicato la prima volta nel 1965 su “Forverts” e riprodotto, ora, nel volume collettivo “How Yiddish Changed America and how America Changed Yiddish”. (d.b.)

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Una volta ho detto che uno scrittore yiddish è come un fantasma: può guardare senza essere visto. Forse è per questo che amo scrivere storie di fantasmi. Lo scrittore yiddish non è soltanto una minoranza, ma è una minoranza nella minoranza. È un paradosso per la sua stessa gente. Teoricamente, uno scrittore yiddish è morto. Si muove come un fantasma, come un cadavere che ignori la propria morte.

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Quando dico di cosa mi occupo, di solito la gente alza le spalle. Non penso sia un insulto quando mi chiedono: “Ma… esiste ancora lo yiddish?”. Quando vengo solennemente informato che scrivo in una lingua morta, rispondo che in verità pratico due lingue morte. Quarant’anni fa, l’ebraico che utilizzavo era considerata una lingua morta. In effetti, ho studiato anche l’aramaico, un’altra lingua morta. Tutte queste lingue morte mi hanno dato una lezione incomparabile: quando si parla di lingue la differenza tra la vita e la morte è infine trascurabile.

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Credo che lo scrittore yiddish abbia a sua disposizione più argomenti di ogni scrittore che adotti un’altra lingua. Molti scrittori hanno raggiunto la grandezza contribuendo a formare la lingua che praticavano. Puskin, Dante, Shakespeare, hanno creato il russo, l’italiano, l’inglese moderni. Lo yiddish moderno ha solo qualche anno più di me, ha attraversato così tanti cambiamenti che i libri scritti in questa lingua al principio del secolo sono già obsoleti. Lo yiddish manca di una ortografia standardizzata. Il primo dizionario e la prima enciclopedia yiddish si stanno compilando ora. Questa tardiva maturazione ha dei vantaggi inattesi. Scegliendo di scrivere in yiddish, in effetti, stai creando una lingua. Lo yiddish è una Siberia letteraria, una terra vergine. La vita ebraica, in Russia, in Polonia, in Israele, in ogni lato del mondo, a causa della sua dispersione e disperazione, è una miniera letteraria inesauribile. Lo yiddish è forse la sola lingua che i potenti non abbiano mai parlato. Sono poche le parole in yiddish che indicano armi, armamenti, caccie.

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Tra le nazioni del mondo, la vita dell’ebreo è stata e resta un’avventura unica. Siamo le uniche persone al mondo che, dopo essere state cacciate dalla propria terra, hanno conservato la propria identità per duemila anni. Siamo le uniche persone al mondo che sono tornate nella terra da cui sono state esiliate duemila anni fa. Abbiamo conservato la nostra cultura originale per un periodo lunghissimo. La storia dell’ebreo è incredibile. La sua stessa esistenza è un’eccezione alle leggi che governano gruppi e culture.

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In effetti, sono nato con la sensazione di far parte di un’avventura improbabile. Mio nonno paterno era un cabbalista, quello materno un filosofo; mio padre era un chassid, mia mamma era contro i chassid, mia sorella era isterica e mio fratello un ribelle che prima di diventare scrittore cercò di farsi strada come artista. L’intera famiglia pensava che passato, presente e futuro fossero coagulati nello stesso istante. Mio padre raccontava i miracoli compiuti da rabbini di fama. Mia madre confutava quei racconti, pur essendo posseduta da un’insolita curiosità verso il soprannaturale. Mia sorella pareva invasa da uno spirito. Mio fratello, che avrebbe dovuto essere il razionalista di casa, capì con inquietante chiarezza la bizzarra irrealtà della vita ebraica in Polonia. Ciò che mi stupisce più di ogni altra cosa è vedere un ebreo che non sia sconcertato dal suo essere al mondo. In realtà, tutti gli uomini dovrebbero meravigliarsi ed essere trafitti dallo stupore. Cos’è l’umanità se non una incredibile avventura su questa terra, nel cosmo?

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Per me, il fine della letteratura in generale, e di quella yiddish in particolare, è registrare le perplessità dello spirito. Con mio rammarico, trovo poco senso di meraviglia nella letteratura mondiale, quasi per nulla nella letteratura yiddish. Con poche eccezioni, la letteratura yiddish moderna predica il positivismo. Si trincera in problematiche che a me paiono assurde. È indifferente alle arcane profondità dell’ebraismo, al suo sottosuolo.

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Gli scrittori non hanno garanzie sul numero dei loro lettori e sul futuro della lingua in cui scrivono. Chissà cosa accadrà a queste parole, a questa frase tra cinquecento anni… Forse la lingua parlata oggi sarà, allora, del tutto superflua. Non è la lingua che dona immortalità allo scrittore. Accade il contrario: i grandi scrittori non fanno estinguere la loro lingua.

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A causa della grande richiesta di narrativa da parte del sistema editoriale e della cronica assenza di talenti genuini, i giornalisti mascherati e gli pseudo-letterati stanno prendendo il posto dell’artista, quasi ovunque, in tutti i grandi paesi civili. La scrittura narrativa sta diventando un’arte dimenticata. L’epoca della barbarie letteraria e dell’amnesia culturale è iniziata. Il potere inquietante del cliché, l’inquinamento della produzione di massa spingeranno gli scrittori creativi all’angolo, fino a scomunicare l’autore che rifiuta di adattarsi ai capricci del vasto pubblico e dell’editoria di mercato. È già successo alla poesia, accadrà al romanzo. La letteratura americana è già divisa tra un ristretto numero di bestseller e una troppo vasta serie di libri che restano nell’oscurità. Spero che lo yiddish non venga viziato da questi criteri. Quanto a me, mi sono abituato a essere un fantasma.

Isaac B. Singer

Gruppo MAGOG