31 Marzo 2018

Siamo un popolo di lettori sadici e disperati. Analisi intorno alle recensioni su Amazon, omicidi letterari a sfondo sessuale

Se uno scrittore vi sta sugli zebedei, non c’è niente di meglio che stroncare il suo libro su Amazon, anche senza averlo letto. Non è certo una buona azione ma, a giudicare dalle badilate di scherno e ingiurie che vengono rovesciate quotidianamente su famosi scrittori, deve trattarsi di una pratica che induce a un’esplosione di piacere simile a un orgasmo. Non mi credete? Statemi a sentire.

Uno dei premi più discussi, spesso al centro di polemiche riguardo ai criteri di selezione, è certamente lo Strega. Ecco come un anonimo lettore, celandosi dietro il nick angeliedemoni, recensisce Le otto montagne di Paolo Cognetti, vincitore dello Strega 2017: “Patetico, libro scritto male, argomenti banali, storia superficiale. Se questo libro ha vinto il premio Strega vuol dire che in Italia la casta dell’editoria domina la scena. Che schifo!”.

Molti lettori, se hanno la possibilità di caricare a pallettoni la tastiera, non si fanno pregare. Laurabum bum massacra Quando tutto inizia, di Fabio Volo: “I dialoghi sono insulsi, ci sono ripetizioni di aggettivi, un lessico povero ed elementare, scambi stringati e poco significativi. Non vi è alcuna riflessione o spunto degno di nota né alcuna caratterizzazione dei personaggi a livello psicologico ed emotivo, tratteggiati solo in modo superficiale e banale”. Pat infierisce su La paranza dei bambini, di Roberto Saviano: “Un’accozzaglia di luoghi comuni e di episodi rubacchiati da qualche videogioco o serie tv fusi in un accrocchio senza una trama precisa”. Un non meglio identificato Cliente Amazon pesta duro su L’arte di essere fragili: come Leopardi può salvarti la vita, di Alessandro D’Avenia: “Il racconto è il solito oceano di banalità e piagnistei, aggravati dal fatto che si fa a spese del povero Leopardi, il quale vorrebbe far di questo libro ciò che il Vesuvio fece alle ginestre”.

Queste critiche ‘ad minchiam’ non sono recensioni ma violenze immaginarie, penetrazioni non richieste, omicidi letterari di matrice sessuale. A meno che non siano opera di scrittori invidiosi, rivelano personalità sadiche e disperatamente frustrate che agiscono con un furore masturbatorio degno di un premio Sega.

Se ne parlo, è perché ho scoperto che già nel 2012, la critica di un’anonima lettrice di Amazon ha trionfalmente esordito sulla quarta di copertina di un romanzo Einaudi, Rosa candida, della scrittrice islandese Audur Ava Olafsdottir. Ovviamente si trattava di una critica positiva. In Einaudi si sono guardati bene dal pubblicare la recensione di tale Alessandro che, dello stesso libro, dice: “Temi importanti come la morte di una persona amata e gli affetti familiari sono trattati in modo fastidiosamente superficiale senza portare da nessuna parte”.

Peccato. Un tocco di autoironia sarebbe stato salutare in un ambiente così serioso come quello editoriale.

Per concludere, mi sorgono due domande che non possono essere esaurite in poche righe, anche perché ho da fare: devo recensire un mio collega scribacchino che porta i mocassini senza calze, una cosa che davvero non sopporto.

Chiedo e lascio a voi le risposte:

1) La figura del critico tradizionale è ormai obsoleta?

2) Questi schiaffi in faccia gli scrittori, che probabilmente diranno di non leggerli ma poi li leggeranno, servono a qualcosa? Hanno un valore forse anche terapeutico, per chi li dà o li riceve?

Pensateci, io vado.

Francesco Consiglio

Gruppo MAGOG