“Ci sfioriamo. Con cosa? Con le ali”. Rilke e Marina Cvetaeva: un dialogo assoluto
Poesia
Marilena Garis
Un po’ di spavaldo perbenismo non può che fare un gran bene all’arte. L’emblema dell’arte contemporanea, serva dell’idiozia e schiava del denaro, è il dito medio in marmo di Cattelan davanti alla Borsa di Milano. Pare il gesto del giullare di corte che sbeffeggia il re. Il quale, compiaciuto, gli paga il dovuto, con tanto di mancia. Sul sito www.thepetitionsite.com – pieno di petizioni pietosamente corrette, da “bloccate il massacro della balena antartica perpetrato dal Giappone” a “proteggete le renne della Norvegia dai treni merci” (i quali, è specificato, “ogni anno uccidono centinaia di renne”), come se pietire una petizione fosse di per sé fare qualcosa, lavarsi la coscienza nell’antro battesimale social – una tizia, Mia Merrill, ha chiesto che sia “Rimossa dal Metropolitan Museum of Art la suggestiva pittura che ritrae una ragazzina, Thérèse Dreaming”. Mia, dichiara nella petizione, è rimasta “scioccata nel vedere un dipinto che ritrae una ragazza in una posa sessualmente espressiva”, trattandosi, appunto, “di una ragazza in età prepuberale che si rilassa su una sedia con le gambe alzate e la biancheria intima in esposizione”. Il quadro in questione, Thérèse che sogna, è una delicatissima opera del 1938, che non ha niente a che fare, per dire, con la debordante carnalità di un Gustave Courbet, di Ingres, di Lucian Freud, né con la cruda ferocia di Egon Schiele (su cui si è abbattuta l’ascia censoria dei trasporti pubblici londinesi: non vogliono esporre i poster con le discinte, scandalose, magnifiche nudità del genio austriaco per promuovere una mostra che accadrà a Vienna nel 2018). Qui, il punto, in effetti, non è l’opera in sé, se sia bella o meno, ma quello che ci vede la svagata Mia: una bambina che mostra distrattamente gli slip. Se la Merrill avesse visto una puntata di Gigi la trottola, dove scintillano mutandine rosa, bianche, a pois, forse sarebbe definitivamente impazzita. Ad ogni modo, non è la prima volta che l’opera di Balthus, precocemente riconosciuta da Rainer Maria Rilke (nel mondo anglofono, per altro, sono appena state tradotte le Letters to a Young Painter di Rilke a Balthus) è accusata di pedofilia. Evidentemente, spettatori e intellettuali – Hanno Rauterberg ha accusato il pittore di “avidità pedofila” – si accorgono del genio di Balthus soltanto quando scorgono una mutandina all’aria, delle giovinette agghindate da neoadolescenti che su YouPorn si fanno massacrare da gigantesche verghe negre – eh già, nel ring della pornografia c’è una specie di silente e tacito razzismo che fa comodo a tutti – a nessuno cale, affari loro, in tutti i sensi. La bigotta redattrice della petizione, che in breve ha raggiunto le quasi 10mila adesioni desiderate, va detto, dopo aver ottenuto ciò che voleva – la ribalta sulla stampa – ha annotato, “non chiedo che il dipinto sia censurato o distrutto!” (distrutto, avete letto bene: bimba mia, prima di distruggere un Balthus ti rosoliamo a fuoco lento nel fuoco della tua ignoranza), piuttosto, chiede che il Met sigilli il quadro con un messaggio devoto: “Alcuni spettatori trovano questa opera offensiva o inquietante, data l’infatuazione artistica di Balthus per le giovani ragazze”. Peggio che bruciarlo. Sarebbe come poggiare una didascalia, ai piedi della Crocefissione di Matthias Grünewald, “il soggetto di questa opera vi può inquietare, a causa dell’ostinata e sadica perversione di Dio di farsi mettere in croce dagli uomini”. Piuttosto, il tempo profetizzato un paio di decenni fa da Harold Bloom è vicino. Metteremo al bando la Divina Commedia perché Dante fa scuoiare Maometto all’Inferno, insieme all’opera di Shakespeare, edonista, nichilista e antisemita; al contrario, esalteremo come necessarie alle sorti umane e progressive dell’umanità Piccole donne e La capanna dello zio Tom. Pure Pinocchio è inaccettabile, mostra un rapporto ambiguo tra un bimbo di legno con il naso fallico e la fata turchina. Perfino I promessi sposi, nonostante Madama Provvidenza, è uno scandalo: promuove le virtù di una donna tutta casa&chiesa. Ergo: esaltiamo il perbenismo – che è l’anticamera della trimurti ‘bello, buono, vero’ – di chi dice, con giudizio, che l’arte odierna è una clamorosa sola, una cazzata. Ma lasciamo stare le deliziose delicatezze di Balthus. L’arte, cari miei, è pura forma. Non ha niente da insegnare. Non ha nulla da moralizzare. Non serve a niente. Non è ‘giusta’; è bella. Non è ‘giudiziosa’; è inafferrabile. Non è etica, è estetica. Io mi occupo dei significanti, i significati li lascio agli insignificanti, diceva Carmelo Bene. Sia strabeato.
Davide Brullo