29 Maggio 2020

“Shining” compie 40 anni. Benvenuti nel film più enigmatico di Stanley Kubrick, un puzzle irrisolto

Otto anni fa, il documentario di Rodney Ascher, Room 237, ha riacceso il dibattito sul film Shining di Stanley Kubrick, esaminando una serie di teorie, con i relativi elementi a sostegno, elaborate dai fan riguardo al significato della pellicola. Alcune idee sono senza dubbio persuasive, come l’ipotesi che il film sia una condanna dell’imperialismo americano, basata sul fatto che l’hotel infestato, l’Overlook, era stato costruito su un cimitero degli Indiani d’America, e una serie di altri ingredienti confermerebbero la congettura (quei barattoli di lievito marca Calumet Baking Powder sono solo una coincidenza?) Altre interpretazioni sono invece più assurde, come quella secondo cui il film sarebbe un’apologia di Kubrick del suo ruolo nel finto sbarco sulla luna (altrimenti perché Danny indosserebbe un maglione con scritto Apollo 11?).

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Lo storico assistente di Kubrick, Leon Vitali, dipinto nel documentario del 2017 Filmworker come un Igor al fianco del regista Frankenstein, schernì le interpretazioni ventilate da Room 237, ma lo scopo del documentario non era mai stato quello di far accettare al pubblico una delle teorie proposte. Il fine più profondo era quello di celebrare Shining come glorioso enigma, un film che invita a Teorie della grande unificazione senza mai affermarne totalmente alcuna. Non siamo più vicini a venirne a capo ora di quanto lo fossimo quarant’anni fa, ma come lo stesso Overlook Hotel, una qualche attrazione indefinibile ci invita a tornare in visita. Come Jack Torrance, il custode omicida interpretato da Jack Nicholson, cominciamo a sospettare di essere sempre stati lì.

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Come molte delle opere di Kubrick, soprattutto quelle della seconda parte della sua carriera, Shining fu dapprima accolto con perplessità e contrarietà, per essere successivamente riconsiderato. L’ostilità svanì man mano che il film venne riconosciuto come caposaldo del genere horror; è noto che Stephen King, autore del romanzo, tuttora non apprezzi la trasposizione cinematografica di Kubrick, tuttavia il recente adattamento del sequel Doctor Sleep è intessuto dell’iconografia del film Shining. Ma dello sconcerto non si può fare a meno, è l’elemento che rende questa pellicola così primordialmente agghiacciante e inquietante, nonché ciò che strega il cervello che cerca di decifrarlo.

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In apertura, le sequenze di impatto in cui Jack si dirige verso le montagne del Colorado sono un presagio di ciò che succederà: l’inquietante rifacimento di Wendy Carlos e Rachel Elkind della Sinfonia fantastica di Berlioz suonata su un sintetizzatore Moog, il riflesso del paesaggio sul lago placido, e, ancor più cruciale, il destabilizzante sfrecciare della telecamera. Con il supporto Steadicam che finalmente rendeva possibile combinare movimento e stabilità, Kubrick sperimentò per primo nel suo film quanto lo spostamento costante dell’inquadratura possa impressionare il pubblico. Persino le relativamente innocue scene iniziali, in cui Jack si reca al colloquio, o quando la famigliola al completo, Jack Torrance, la moglie Wendy (Shelley Duvall) e il figlio Danny (Danny Lloyd), fa il giro dell’hotel, sono un gioco del coniglio, in cui la telecamera zooma, avventandosi di testa contro il pericolo e noi abbiamo paura di non riuscire a sterzare.

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Appena i Torrance si stabiliscono all’Overlook Hotel per l’inverno e una tempesta di neve li isola dal mondo esterno, la pazzia che si impadronisce velocemente di Jack, troppo velocemente, contestarono diversi critici, inizia a intensificare tutta una strategia di disorientamento. Kubrick si prende gioco dei nomi che diamo al tempo annunciando diversi giorni della settimana, come se il tempo avesse senso nell’isolamento, ed è impossibile definire la geografia dell’Overlook, a dispetto (o per via) delle numerose sequenze in cui Danny percorre i corridoi sul triciclo. La cucina, gli appartamenti del personale, la Gold Room, i piani superiori in cui il precedente custode aveva fatto a pezzi con un’accetta la sua famiglia, la stanza del terrore 237; tutti spazi distinti, ma non si capisce in che modo collegati.

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L’umorismo di Kubrick, una delle sue qualità meno apprezzate, anche in film come Barry London o Eyes Wide Shut e Shining, è stata un’occasione propizia per giocare con il genere horror, attraverso la platealità della performance di Nicholson (“Sono il lupo cattiiiivo!”) o l’odissea del capocuoco dell’hotel (Scatman Crouthers) che risponde all’SOS psichico di Danny solo per ricevere un’accettata in pieno petto. Sebbene gli spettatori immaginino che un film horror abbia un certo contegno, Kubrick sembra fortemente determinato a opporsi a tale aspettativa; oniriche cascate di sangue intorno all’ascensore, flash degli antecedenti massacri, la derisa speranza che l’interminabile missione di salvataggio abbia un lieto fine.

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Ogni volta che si riguarda Shining si scatena una nuova ossessione, sempre diversa a seconda dello spettatore. Le vessazioni di Kubrick su Shelley Duvall, per esempio, sono state riesaminate alla luce degli abusi contro le donne nell’industria cinematografica, e la sua cruda vulnerabilità nei panni di Wendy, l’unico membro della famiglia Torrance a non essere stato posseduto, ci fa assistere a una estrema prova di recitazione di metodo. Guardando Shining durante la quarantena per il Covid-19, poi, si percepisce un inquietante eco dello stato di ansia che provoca l’isolamento, quando i giorni sono vaghi e indefiniti e un immenso hotel diventa angusto quanto un monolocale. Anche i più sani di mente ora hanno fatto conoscenza con la follia.

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Tra le teorie che girano attorno a Shining, quella più plausibile a quarant’anni di distanza, è che l’Overlook Hotel sia una metafora degli orrori perpetrati dall’élite americana, collegandosi quindi al mondo claustrale di un’altra opera di Kubrick, Eyes Wide Shut, e all’eterno scetticismo del regista riguardo il potere. Nella versione integrale del film, mentre fa il giro dell’hotel, a Jack viene detto che l’Overlook era uno “dei punti d’incontro di molti personaggi di élite”, un hotel in cui hanno alloggiato le persone più importanti, tra cui quattro presidenti, che certamente hanno preso decisioni fondamentali mentre se ne stavano lassù. Apprendere che l’hotel era stato costruito su un antico cimitero dei Nativi Americani potrebbe far temere una punizione dall’oltretomba, ma Kubrick suggerisce che tale dissacrazione sia il peccato originale, un male incorporato nelle fondamenta dell’hotel.

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“Tutti i migliori” sono stati all’Overlook Hotel, dove avete già sentito questa frase? L’hotel ha una presenza, una luccicanza, che terrorizza chi è in grado di sentirla, come il cuoco e Danny, ma soprattutto fa paura perché è immutabile e indistruttibile. Il fatto che Jack fosse già stato lì e che cerchi di ripetere all’incirca allo stesso modo l’omicidio commesso dal precedente custode è il segno della storia che continua a ripetersi. E se persone di potere hanno alloggiato in queste stanze, è proprio lì che deve accadere. La macabra verità è che ciò che è successo ai Torrance all’Overlook Hotel verrà ripulito entro la prossima stagione e diventerà un aneddoto per mettere in guardia il prossimo custode mezzo pazzo che accetterà il lavoro. Il massacro non avrà mai fine.

Scott Tobias

*L’articolo è stato pubblicato su “Guardian”; la traduzione è di Valentina Gambino

 

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