31 Agosto 2019

Per vedere Shakespeare bisogna andare York, dove Amleto è un highlander e innaffiano la tua voglia teatrale di birra a cascate

“Two beers or not two beers, this is the question”. Nessun refuso, nonostante le birre a cascata che si possono portare senza limiti in platea durante gli spettacoli teatrali che la perfida Albione organizza lungo la sua schiena gibbosa. Sulla t-shirt di un attore impegnato in un “Romeo e Giulietta” in versione bonsai – un quarto d’ora secco – messo in scena nello spazio antistante allo “Shakespeare Rose Theatre” di York, questo moderno dubbio amletic-alcolico (con tanto di firma del poeta: William “Shakesbeer”) ha attirato gli sguardi divertiti del pubblico, impegnato ad alternare l’attenzione tra la mise en scene del testo “veronese” e il sapore di un cheesburger innaffiato da una pinta (o due).

*

Di fronte alla fatidica pinta il nostro eroe non ha alcun problema in merito all’Essere o al Non essere…

Il dubbio era già stato sciolto prima di partire per lo Yorkshire. “Hamlet” in lingua, tre ore abbondanti in inglese del Cinque-Seicento e rigorosamente all’aperto: palco coperto, pubblico con il cielo sopra alla testa, avvolto in felpe, maglioncini, sciarpe e pantaloni lunghi. A York, la sera, si arriva senza troppi patemi a 12-14 gradi centigradi: una temperatura che richiede e ammette birre da sorseggiare durante la maratona bardesca.

*

“Made glorious summer by this sun of York”. È il “Richard III”, che non è in programma nel cartellone di quest’anno ma è un ricordo scritto sul petto di una t-shirt che ho provveduto ad acquistare: il viaggio e la memoria, in questo modo, non svaniscono dopo una notte o due di stelle e di respiri della brughiera settentrionale.

*

Questo “Hamlet” firmato dalla compagnia dello “Shakespeare’s Rose Theatre” è un capolavoro. La storia è stra-nota, così come il celebre monologo sull’essere o non essere. Nuovissimi invece – ed è questo il piede di porco utilizzato per scardinare i quattro secoli circa che si interpongono tra la “prima” (il testo venne pubblicato nel 1603) e la replica dell’estate 2019 – è l’energia e il pathos degli attori, capaci di trattenere gli occhi del pubblico incollati al palco per oltre tre ore senza un accenno di sbadiglio.

*

Amleto è un highlander. O meglio, l’attore che interpreta il protagonista è una macchina da guerra. Alto, forte vocalmente, bello come lo sono solo gli eroi perdenti del Bardo, senza mai un inciampo, dirige l’orchestra e la pletora dei personaggi di contorno con l’eleganza di un fantino: frusta, si muove, lotta, tace, si rannicchia e per poi far deflagrare milioni di shrapnel di parole avvolte e lanciate all’impazzata tra il dubbio e il rimorso.

*

Sul fondale, nella parte più alta, un violino. In Inghilterra la musica si suona sempre da vivo, senza basi pre-registrate. Anche le note sono spettacolo, appartengono a ciò che si vede: sono parole sublimate che hanno superato il limite dell’idioma, e si rivolgono all’universo-mondo come un soffio freddo, un vento del Nord, un assolo indelebile.

*

“A ghost resembling the recently deceased King, Old Hamlet, is seen by guards at the Danish royal palace. Horatio decides his friend Prince Hamlet, the late King’s son, must be told. Claudius, the new King, has recently married his brother’s widow, Queen Gertrude, Hamlet’s mother. King Claudius conducts affairs of state involving the warlike actions of Norwegian Prince Fortinbras. Counsellor Polonius allows his son Laertes to leave the court, but the King and Queen insist Hamlet must stay and criticise his melancholy mood. Horatio tells Hamlet about the Ghost…”.

*

Amleto, alla fine, muore. Muore come muoiono i martiri, gli eroi affascinanti, con Fortebraccio, principe di Norvegia, che rende omaggio alla salma concedendogli gli onori di un funerale militare. Ma i cinque minuti di applausi hanno riscaldato il suo corpo, gli hanno dato una nuova vita. Una vita pronta per andare in scena un’altra volta, e un’altra volta ancora, e ancora un’altra volta.

*

Benvenuto allo “Shakespeare’s Rose Theatre”

Lo “Shakespeare’s Rose Theatre” è una struttura temporanea senza aria condizionata o riscaldamento. Ce ne siamo accorti, io e Laura: fa freddo. Ma non tanto per rinunciare a una seconda serata: danno “Twelfth Night”, che in italiano è nei fatti “La dodicesima notte”, una commedia frizzante e divertente. Apericena scespiriana: qui a York hanno messo su il “Villaggio di Shakespeare” dove tutte le persone, anche quelle che non hanno preso i biglietti per lo spettacolo, possono mangiare, bere e vedere per due ore alcune riduzioni delle opere del Maestro. Ci sono bambini, coppie di tutte le età, distese di bicchieri di birre e vino, scarpe sporche di segatura, cerate, guanti, cappelli, galosce, cani, sogni, sorrisi, famiglie, arte.

*

Amleto è relegato a una parte secondaria, e ci sta: la compagnia è in scena per un mese abbondante con quattro spettacoli (gli altri due sono “La tempesta” ed “Enrico V”) e l’occasione di vedere un testo poco esplorato ci fa rinunciare a una serata al pub a bere birra a cascata. O perlomeno, a berne di meno: decido di fare l’inglese e porto sulla scalinata del boccascena la mia pinta. La spazzolo in poco più di un minuto mentre la scritta “Illyria” mi fa da sfondo e una ragazza spatacca con il cellulare.

*

“La dodicesima notte” riporta al mondo immaginario e bellissimo di Federico Fellini, con gli attori che entrano in scena ballando in platea assieme al pubblico: il metateatro, l’Hinkfuss di Luigi Pirandello, il gioco dei palchi molteplici e moltiplicati di Anton Giulio Bragaglia, il carosello e “Il Bagaglino” sono già stati scritti nel 1600 da un ragazzo di Stratford upon Avon. Il resto, tre ore e una manciata di minuti con intervallo, sono un viaggio nell’avanspettacolo inciso nella mente del pubblico. Un testo contemporaneo, frizzante, recitato con rara maestria dagli attori. Una “dodicesima notte” di stelle, luminose come le parole del Poeta.

Alessandro Carli

Gruppo MAGOG