17 Marzo 2021

“Sull’arma si cade, ma non si cede”. Manuela Diliberto dialoga con Serena La Scola, la pittrice che dipinge “come un uomo”

Palermo, estate 2018, ancora lontani dalla pandemia. La incontriamo in uno studio improvvisato nel Bed and Breakfast di Cristina, vicino casa di mia madre. Fuori ci sono 37 gradi. Lei arriva sorridente in compagnia della deliziosa figlia e mentre la saluto noto che il trucco le scivola impercettibilmente dagli occhi, ma in un modo tutto suo, grazioso, quasi avesse voluto renderli più autentici e appassionati. Durante l’intervista parla con irruenza ed entusiasmo, come se si tenesse tutto dentro da fin troppo tempo e fosse giunto il momento di raccontarlo. Inserita da Vittorio Sgarbi nella III edizione de I Mille di Sgarbi – Lo Stato dell’Arte Contemporanea in Italia del luglio del 2020, per la scelta coraggiosa di dedicarsi interamente alla pittura ha pagato il prezzo che le donne pagano in ogni parte del mondo: quello di avere tutti contro.

1. Come ti chiami, e perché i tuoi genitori hanno scelto proprio questo nome?

Serena La Scola – Mi chiamo Rosaria Serena. I miei genitori hanno scelto Rosaria perché era il nome della nonna e per tradizione si usava così. Però non mi hanno mai chiamato Rosaria, ma Serena, anzi, Serenella. Un’ambiguità che si è riprodotta anche per la mia data di nascita. Io sono nata nel privato l’11 giugno e nel pubblico il 26 giugno. Perché aspettare quindici giorni per dichiararmi? Non l’ho mai capito! (E ride).

M.D. – Serenella e Rosaria, nata in due giorni diversi (ridiamo insieme). Ma tu ti senti Serena, comunque…

S.L. – Mi sento Serena

M.D. – Anche per le scelte che hai fatto?

S.L. – Anche per le scelte che ho fatto…

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2. Se non ti chiamassi in questo modo, che nome sceglieresti se potessi prenderlo in prestito ad un personaggio storico o reale del passato o del presente?

Serena La Scola – (Risponde tutto d’un fiato ancor prima che finisca di leggere la domanda, appena ne afferra il senso). Frida!

M.D. – (Rido). Vabbé, non c’è bisogno che spieghi.

S.L. – No, non occorre: Frida.

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3. Sai che questa intervista anticipa il mio prossimo progetto letterario in cui sono intervistate persone note o sconosciute che avrebbero potuto condurre una vita comoda e vivere con tranquillità e facendo finta di nulla, ma che han deciso di sobbarcarsi rischi, disagi di ogni genere ed il biasimo della famiglia, degli amici e\o della società, per aver compiuto scelte “scomode”. Tu, secondo te, perché sei seduta su questa sedia e stai per essere intervistata?

Serena La Scola – Perché ho fatto scelte scomode (risponde ridendo)… Banale risposta. Le scelte scomode sono state tante e hanno portato spesso a grossi conflitti interiori che avevano anche a che fare con i miei figli. Io ho ripreso gli studi all’accademia di Belle Arti mentre lavoravo e loro erano ancora piccoli, anche se verso la preadolescenza, un momento delicato. Ad un certo punto mi sono ritrovata a fare i conti con la mia vita. Avevo 36 anni, una famiglia solida, una situazione comunque di benessere e stabilità, un posto da insegnante nella scuola pubblica. Ciononostante continuavo a dirmi: “Voglio riprendere gli studi di storia dell’arte. Voglio dipingere. È una follia, ma è ciò che sento. Che faccio, salto? …O rimango? E se rimango, rimarrà anche questo senso di incompiutezza che mi porterò dietro per sempre?”. Adesso tu immagina l’equilibrio di una famiglia, un figlio e una figlia ancora bambini, e la mamma che un bel giorno, di punto in bianco, dice al papà: “Io mi riscrivo all’Accademia”. Mio marito mi guarda e dice: “Ti riscrivi? Ma per fare che? Il lavoro ce l’hai!”. Non sai i miei dubbi… In una situazione confortevole in cui comunque non mi mancava nulla. Non c’era un obbligo, una necessità di acquisire con sacrifici un titolo di studi per poi poter lavorare, perché lavoravo già! Probabilmente c’era un senso di incompiutezza e di rabbia interiore per una scelta che non avevo potuto fare, che non mi era stata concessa. Io piccolina dicevo: “Ma io voglio fare le Belle Arti!” E tutti: “No, non portate ‘sta ragazzina al liceo artistico… c’è un ambiente là…”. Che poi mia madre già a sedici anni era una campionessa di scherma, andava a Roma a fare i campionati, faceva palla a volo, era una donna bellissima, molto sensibile e romantica, molto colta, ed era stata abituata ad una totale indipendenza! 

M.D. – E allora perché non ti ha permesso di studiare subito Belle Arti?

S.L. – Perché mio padre era … (ride) diciamo il cuginetto piccolo di Hitler! (Ride ancora). Infatti mio padre e mia madre poi si sono separati…

M.D. – Ah, ecco!

S.L. – Era l’epilogo naturale, purtroppo. Io stessa le dicevo: “Mamma, tutto ha un limite!”. E questa è ancora un’altra traccia di dolore che rimane, comunque, anche se per motivi legittimi… Crescendo l’ho portato con me questo grande dolore segreto. E’ difficile da rivelare, come si fa? Quindi, poi, casa, marito, figli, benessere in ambito domestico, professionale, economico. Va tutto bene. Allora perché devo andare a rompere quest’equilibrio? Perché poi, nei fatti, di questo si trattava…

M.D. – Ma alla fine tuo marito ti appoggiava?

S.L. – Mio marito mi ha appoggiato, anche se ancora oggi dice una frase… ed io me la ricordo sempre: “Io non capirò mai le tue scelte, però non farò mai nulla per contrastarle”. Quindi non per appoggiarle.

M.D. – Certo che se le capisse pure! (Ridiamo insieme).

S.L. – …Se le capisse pure sarebbe il top! Quasi troppo scontato… (E ride, con questa bella risata allegra, scanzonata, trascinante, proprio sua). Anche se devo dire che poi dietro le quinte mi aiuta. Fra l’altro è un tipo molto pragmatico, niente a che fare con l’arte: lavora in un campo molto diverso dal mio. Allora l’unico modo in cui mi aiuta è, per esempio, quando comincio a prendere le misure per una tela e gli dico: “Fammi i telai!”, e lui partecipa, li fa. Poi il resto lo faccio io, ma lui pragmaticamente partecipa (sorride).

Manuela Diliberto insieme a Serena La Scola; photo Cristina Dogliani

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4. Ne L’Arte della guerra, scritta fra il 1519 e il 1520, Machiavelli diceva che “Gli uomini che vogliono fare una cosa, debbono prima con ogni industria prepararsi per essere, venendo l’Occasione, apparecchiati a soddisfare a quello che si hanno presupposto di operare”. Nelle piccole cose, o ancor più nelle grandi, è sufficiente impegnarsi con ogni industria, con grande zelo, tenacia e ostinazione, o si ha anche bisogno dell’Occasione?

Serena La Scola – Credo che siano entrambe le cose. La preparazione è sicuramente una parte fondamentale, perché se tu davanti all’occasione non sei preparato, probabilmente la perdi. (Parla in un modo schietto, franco, senza orpelli, guardandoti sempre dritto negli occhi). Indubbiamente poi c’è quel quid, l’occasione, che può essere un incontro, uno sguardo…

M.D. – Ma se l’incontro, lo sguardo, l’occasione si presentano e non li riconosciamo come tali… Possiamo anche essere preparati ma non li vediamo neanche passare!

S.L. – Di fatti la preparazione è importante perché ti dà la possibilità di avere uno sguardo che va oltre, che riconosce.

M.D. – È vero…

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5. A cosa pensi, cosa provi nei momenti più duri quando hai tutti contro e le critiche si abbattono numerose? A quale forza ti sei aggrappata?

Serena La Scola – In questi giorni cercavo dei documenti e mi son venute fra le mani delle righe che avevo scritto in passato in un momento molto doloroso e sconfortante. Riflettevo proprio sul come, adolescente, mi aggrappassi a qualunque cosa per non soccombere. Era l’età in cui si va alla ricerca del consenso: se tutti ti danno contro, ti metti subito in discussione ponendoti mille domande. Poi mi è venuta in mente anche una frase che lessi a 9 anni, quando partecipai alla riunione dei reduci con mio padre che era appartenuto alla Divisione Acqui trucidata dai nazisti a Cefalonia (Eccidio di Cefalonia, 1943). Il cappellano, con cui si ritrovavano ogni anno, regalò a mio padre un libro ed io, aprendolo, lessi: “Sull’arma si cade, ma non si cede”. Curiosa chiesi “Ma che vuol dire sull’arma si cade, ma non si cede?” Il cappellano mi guardò e mi disse: “Nella vita incontrerai dolori, dispiaceri… e ti abbatteranno. Cadrai, ma poi dovrai alzare la testa. Se strisci, dopo rialzati! Sapessi, noi a Cefalonia… Eppure abbiamo continuato!”. Mi ha aperto una porta! (Mi guarda con stupore quasi gioioso). Mi sono detta: “Ma se ce l’hanno fatta loro? Questi avevano le bombe dei tedeschi, i proiettili, strisciavano per terra…”.

M.D. – Ma tu la forza per continuare a strisciare a terra, da dove la prendi? Cioé, se dovessi descriverla con un’immagine, tu che sei prittrice, come la dipingeresti questa forza?

S.L. – (Riflette). Spesso nei miei quadri io metto una spirale. Una delle mie passioni è l’alchimia (ride), il cercare di trovare attraverso diverse frasi quella che è la pietra filosofale, cioé la parte conchiusa della nostra vita e, sicuramente, un percorso in crescita. Ho letto in testi di alchimia del 1600 – prima ancora quindi della scoperta della forma del DNA – che la spirale rappresentava già a quell’epoca l’immagine dell’evoluzione della vita. La mia forza la identifico nella spirale, in un moto circolare che si espande e si evolve e non passa mai da uno stesso punto.

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6. Cosa fa la differenza fra il decidere di intraprendere la via più tortuosa e, invece, il far finta di niente?

Serena La Scola – È una sfida (ride).

M.D. – Ma tu potresti mai far finta di niente? (Le chiedo quasi a stuzzicarla, certa della risposta).

S.L. – Nooo! (Risponde immediatamente e in modo perentorio. Rido). Spesso, quando ho i quadri sulla testa, letteralmente (ride), e corro, mi sento dire: “Ma chi te lo fa fare?!”.

M.D. – E tu che rispondi?

S.L. – “Non lo so chi me lo fa fare, so che devo farlo!”.

M.D. – Ed è veramente tortuosa questa strada difficile?

S.L. – Molto (risponde come se in quella sola parola avesse compresso tutte le sofferenze, i sacrifici quotidiani e gli ostacoli). Soprattutto se l’artista è una donna. Non è cambiato granché nei rapporti (aggiunge un po’ avvilita)… Anni fa, qui a Palermo, venni invitata a partecipare con altri artisti ad una mostra in onore di Trento Longaretti. La sera, a cena, cominciando a parlare con lui del più e del meno – lui non sapeva quali fossero i miei dipinti – mi disse: “Ci sono alla mostra due o tre dipinti in cui mi riconosco, molto belli, ma non ho letto il nome dell’artista; uno era con il fondo buio e c’era una donna vista di spalle…”, e comincia a descriverlo. Io prendo il catalogo. “Maestro, era questo?”. Lui mi guarda stupito: “Ma come hai fatto a capirlo?”. “Ma perché è il mio!” (e ride come se rivivesse quel momento). Così mi volle rincontrare da lui a Bergamo, nel suo atelier. Non lo dimenticherò mai: dopo aver guardato alcuni dei miei acquerelli, disse: “Scusami se te lo dico, ma come fai?! Tu dipingi come un uomo!” (e ride). E me lo sono domandata: dipingo davvero come un uomo? Ma che vuol dire esattamente dipingere “come un uomo”? È come quando mi dicono che sono una donna forte, come se si riconoscesse in me più la parte maschile che quella femminile… come se la mia forza (ammesso che ne abbia), la mia sicurezza, la mia risolutezza, in quanto tali, dovessero essere “maschili” e io me ne fossi appropriata!

M.D. – Qual è il principale ostacolo per un’artista donna?

S.L. – Ma penso l’etichetta della figura angelicata che sta a custodire il focolare domestico. Ancor oggi, nonostante le battaglie, quando c’è in te qualcosa che svia, si diversifica da questo stereotipo – che tu sia una musicista, una scrittrice o una violinista – sei una pazza scatenata. Se invece la stessa cosa la fa un uomo, (sussurra) ha le palle.

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7. Una grande pena, una grande apprensione o una grande paura, possono giustificare la defezione da una scelta che in determinate circostanze può rivelarsi fatale sia per se stessi che per la collettività? Fino a che punto ci possiamo scusare quando a pagare per la nostra inerzia è anche qualcun altro?

Serena La Scola – La domanda è complessa e la risposta lo è altrettanto. Per diciotto anni ho insegnato ad Altofonte (comune in provincia di Palermo), all’epoca terra di frontiera. Ricordo che lo stesso anno dell’assassinio di Falcone e Borsellino, a settembre, cominciammo a organizzare iniziative in memoria delle stragi. Mi pare verso natale, mentre uscivo da scuola con una collega, qualcuno incontrandoci per strada disse: “Lei è la maestra Serena?” (dice, imitando l’accento del luogo). E continuò: “Ma faciviti i maistri!” (“Ma fate le maestre!”)… Il messaggio era chiaro: pensate a insegnare e lasciate perdere le altre cose che non vi riguardano. Ricordo anche i preparativi per “Sono sereno quando…”, il concorso bandito dalla nostra scuola in onore di Giuseppe Di Matteo (il bambino sciolto nell’acido dalla mafia). Dovevamo accogliere delle personalità che venivano da fuori e si doveva pulire, per un minimo di decoro, l’atrio della scuola. Nessuno fra i bidelli disse apertamente “no”, ma ad uno ad uno, con scuse diverse, disertarono.

M.D. – Ma perché si rifiutarono?

S.L. – Diciamo che non l’ho capito… (Ci guardiamo, ma sappiamo invece benissimo entrambe “perché”). Io ricordo solo che insieme ad una collega e ad uno dei collaboratori avanzammo allora una richiesta: “Ci date un paio di stivali? Ci date un tubo dell’acqua? (Ride) Ci dite dove sono i detersivi?”.

M.D. – Quindi non si possono scusare!

S.L. – No. (Risponde risoluta). Nel pomeriggio mi incontrò un ragazzino. “Maestra, ma è diventata bidella?”, “Sì, gioia!” (E ride dell’ironia). Alla fine con stivaloni e tubo ci siamo date da fare, perché non si può permettere all’indifferenza o al desiderio di quiete di accompagnarti per tutta la vita, di spingerti a credere che la realtà intorno a te non esista! Non puoi prescindere da essa, perché ci vivi! E se non la vivi quell’esperienza, finirai con il domandarti: “Ma perché non l’ho fatto? Ma io chi sono? E perché sto a questo mondo?”. La mia vita, nonostante i tanti dolori, è sempre stata segnata dal “Sì, io vado avanti”. A volte le spalle ti si curvano, poi ti dai un’aggiustatina…

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8. Un mio conoscente conserva ben in mostra fra i suoi libri, nella libreria del suo salone, una copia di Mein Kampf. Davanti al mio stupore e alle mie domande ha spiegato seraficamente che si tratta dell’omaggio che i suoi genitori ricevettero il giorno del loro matrimonio in Germania, negli anni 30, come si usava fare per le coppie di giovani sposi, e che per lui non si tratta che di un caro ricordo di famiglia, e niente di più. Pensi che la sua spiegazione e la sua scelta siano comprensibili e legittime?

Serena La Scola – Posso dire ciò che penso io, chiaramente? No, non lo sono. Se dovessi tenere questo libro con me, dovrei spiegarlo sempre, perché la nostra visibilità, l’immagine, è ciò che cogli immediatamente di qualcuno o di qualcosa… io ci lavoro con l’immagine. Quando vedo qualcosa, questo momento visivo è già un momento di comunicazione. A meno che l’oggetto in questione non sia accompagnato da una spiegazione immediata, non andrebbe esposto. Io non lo esporrei! Esporre qualcosa è un modo di presentarsi. E se non spiego un libro come quello, la sua esposizione diverrebbe in sé una celebrazione.

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9. Se non fossi te ma fossi un’altra persona e ti incontrassi e avessi occasione di conoscerti un po’, con che parole descriveresti Serena? Che descrizione ne daresti?

Serena La Scola – (Riflette a lungo). Eh… direi testarda, volitiva e… in cammino. Cioé, io mi vedo così…

M.D. – Bello! Testarda, volitiva e in cammino… E chi ti ferma a te! (Ridiamo).

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10. Se non fossi Serena La Scola, chi vorresti essere?

Serena La Scola – Mi propongo di leggere prossimamente saggi sulla figura di Ipazia che ancora non conosco come vorrei. Mi affascina moltissimo! In lei rivedo la donna che mi piacerebbe essere.

M.D. – Perché è testarda, volitiva e in cammino?

S.L. – (Annuisce subito senza cogliere subito l’allusione, poi si interrompe e mi guarda sorpresa ridendo). Sì!

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Domanda Personale. Cosa direbbe la pittrice di oggi alla ragazzina di tredici anni cui il padre negò l’iscrizione alle Belle Arti?

Serena La Scola – Non mollare! Continua a credere in quello che fai prendendo in prestito la frase del cappellano della Divisione Acqui. La inviterei ad andare avanti sempre, tenendo da un lato i colori e dall’altro i libri.

M.D. – E che cosa credi penserebbe invece la ragazzina di tredici anni della donna che è diventata oggi?

S.L. – (Riflette). Non la riconoscerebbe. Ero una ragazzina timidissima, amata dai professori ma incapace di parlare il dialetto che a casa non si parlava e, quindi, di socializzare con i compagni. Mi ero creata tutto un mondo fantastico. È stato un processo lento riappropriarsi del reale. La donna di oggi la stupirebbe tantissimo!

*In copertina: Serena La Scola, pittrice siciliana e docente di pittura, in un ritratto fotografico di Cristina Dogliani. 

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