06 Dicembre 2018

“Se sei intelligente ti danno del fascista, d’altronde le editor sono tutte donne e a me piacciono le Femen”: intervista scorretta a Paolo Bianchi

Paolo, hai tradotto un libro di Drieu La Rochelle, uno degli autori che più ha accostato amore e guerra, il darsi sotto le armi, nelle trincee, e con le donne, nelle alcove, e poi non potersi più riprendere. In Donne smarrite, uomini ribelli una delle riflessioni più forti riguarda il fatto che ci sia guerra, e politica, in amore, ora più che mai, tanto che l’ideologia può spezzare eros e sentimenti. Almeno questo sembra accadere nel tuo romanzo. Rimbaud diceva che un tempo uomini e donne ascoltavano i profeti. Oggi ascoltano gli uomini di stato e gli ideologhi. Ma uno scrittore si sente sempre un poco profeta. Come siamo messi?

Mi ricordo di un libro che mi colpì molto, Le milanesi di Giuseppe Marotta, dei racconti sulle donne, soprattutto emigrate, che ricordavano un po’ i film di quegli anni, Cinquanta e Sessanta, le commedie di Lattuada, Pietrangeli e Zurlini, come La visita, con Sandra Milo (storia di un incontro nato da un annuncio matrimoniale), e Io la conoscevo bene, con Stefania Sandrelli (storia di una ragazza che vuol sfondare nello spettacolo), giovani che s’inurbavano, dalla campagna di cui conservavano una certa sottomissione agli uomini, delle servette, maltrattate, ma piene d’umanità.

Nel tempo c’è stata una ribellione, e oggi abbiano l’antitesi di quelle donne, delle eredi di Simone de Beauvoir, la cui tesi è in sostanza che l’uomo è l’altro e che ci vuole una lotta contro l’altro. Il secondo sesso è questo, è un manuale di castrazione… Non voglio esser donna quindi tu non devi essere uomo. Peccato si tratti di una castrazione anche della femmina. Sono autolesioniste e eterolesioniste, contro il maschio… Il risultato ultimo è la nevrosi, una frustrazione generale.

E le donne della mia generazione, o sono frustrate perché non hanno fatto un figlio o, se ne hanno fatti sono piccoli, e loro sono già vecchie, e devono crescerli, a volte da sole, lavorando e badando ai genitori, che sono sempre più vecchi; e magari sul lavoro vedono arrivare delle ragazze che gli passano davanti con un pompino.

Il “profeta” dice che il problema più grave riguarda la mia generazione, fino alle trentenni. Le più giovani, quelle sotto i trent’anni sono meglio, perché meno ideologiche. Prendi la Ondina del mio romanzo.

Nel mio romanzo, le donne sono smarrite e gli uomini sono ribelli , ma è lei la vera ribelle. Se ne fotte, detesta l’autorità, va contro il potere, ma per lo meno paga sulla propria pelle. Non può esser conformista, è fatta così…

E neppure volendolo potrebbe esser tale.

Lei rappresenta l’antitesi della situazione in cui viviamo, anche e soprattutto nel culturame.

La mia speranza sono le donne più giovani, e poi le straniere. Le rumene, le russe, le ucraine, le cubane, e le sudamericane.

La realtà è che i bordelli ticinesi sono pieni di milanesi che, se non trovano la ragazza di meno di trent’anni, più sveglia e curiosa, vanno con gli amici alle feste con le puttane, che ormai preferiscono a un corteggiamento di donne scostanti; lì per lo meno sono sicuri di scopare, si divertono in compagnia, e non buttano via i soldi…

Vorrei non fosse così. Ma questa è la realtà…

libro bianchiDi seguito, sempre seguendo le parole di Von Clausewitz, scrivi pure che l’amore può esser la continuazione della politica con altri mezzi. Baudelaire diceva che fottere è il lirismo del popolo. Ci vuole quindi un populismo erotico, sentimentale? O meglio, non imponendo nulla, è forse auspicabile?

Assolutamente.

Per esempio le intellettuali e le giornaliste sono due delle categorie peggiori. Forse solo le magistrate possono esser peggio delle giornaliste, e le politiche. Quanto di più lontano da ogni immaginario erotico maschile, se non perverso.

C’è più spontaneità, più grazia, più dolcezza in una maestra d’asilo, in una donna che ha a che fare quotidianamente con i bambini, oppure nella cassiera di cui scrivo nel mio ultimo romanzo, o nelle straniere che fanno lavori più umili.

Pure il precedente era un titolo forte: L’intelligenza è un disturbo mentale… Ora, l’Italia è un paese che non solo ha una curva demografica in picchiata, ma che in pochi anni ha avuto un crollo del Q. I. medio che solo in Afghanistan, in Belize, in Congo e in Nigeria. Certo, si tratta di un Q. I. logico e non emotivo, ma ti chiedo, io che non sono un sostenitore del cuore contro la testa, né della testa contro il cuore, non è che il Q. I. affettivo sta pure peggio?

Ti risponderò come alle prime due domande. Brasiliane, cubane, russe, ucraine e rumene… Quand’è caduto il Muro per gli uomini italiani della mia generazione si è aperto uno spiraglio di speranza. Certo, hanno cercato di spaventarci con l’AIDS, ma fortunatamente la storia è durata poco. Quand’è caduto il muro è come se avessero preso dei bambini e avessero aperto le porte della pasticceria. Perché gli anni Ottanta sono stati edonisti, sì, ma solo per quelli che se o potevano permettere. E non valeva per tutti…

E poi d’improvviso sono arrivate le straniere: ragazze bellissime, educate, intelligenti, pratiche, disponibili, e femminili, e che in molti casi avevano letto Tolstoj. Di solito erano molto più simpatiche delle italiane… Io dico, perché una donna non dev’esser simpatica? Perché mai una donna dovrebbe essere antipatica? Perché una donna dev’essere come Simona Vinci? Perché mai una deve ragionare secondo una logica per cui ti fa un favore se concede di parlarle? Non si lamentassero se poi uno cerca le straniere…

Studi analoghi rivelano che il Q. I. degli uomini vive statisticamente di maggiori picchi e abissi di quello femminile, più nella media. Si può spiegare così il maggiore senso di ribellione maschile rispetto alle donne, che se si ribellano lo fanno in un quadro massificato: le fighe rivoltose russe, le attrici che parlano di stupri, le librerie a quota rosa, i corsi universitari femministi…? Prendo il tuo romanzo. Gli uomini ribelli pare vivano la cosa più nella sfera intima, nella piccola provocazione, nelle parole dette nelle schermaglie di coppia.

Certo, e questa ribellione dei maschi viene sentita e identificata come una pericolosa anomalia. Questo pure in ambito letterario, editoriale. La parola giusta l’hai detta, il conformismo. Così è molto più facile. Perché sbattersi a dar conto delle tue idee, se devi pubblicare un libro, quando puoi creare dei bei personaggi rassicuranti e sarai pubblicato più facilmente? Ma non bisogna istituzionalizzare la ribellione… Bisogna ribellarsi individualisticamente. Non esiste solamente la rivolta di classe. Ma molte donne piace sentirsi parte di una classe. E questa è la cosa più razzista che possa esistere… Come ho scritto nel libro, rivendicano, anche nelle parole, ma allora perché diciamo “Madre Terra” e non “Padre Terra”.

Va bene; io ci sto: voi mi date “Padre Terra”, e vi concedo tutto il resto.

Comunque a me le Pussy Riot stanno simpatiche. E le Femen ancora di più. Come quella che alle ultime elezioni è entrata a seno nudo nel seggio mentre Berlusconi votava.

Temo di essermi distratto… Ma era una Femen italiana?

No, era russa o ucraina…

Ma proposito di rivolte tramite esibizionismo, intervistando Camillo Langone per l’uscita de La vera religione spiegata alle ragazze hai detto di apprezzare le puttane e detestare le esibizioniste, che t’infastidiscono. È una questione di puro erotismo, di vecchio stile o di gusto estetico, o cos’altro?

Assolutamente. Però le Femen…

In Francia hanno scoperto che delle Femen erano escort.

Intanto le Femen non sono delle fighe di legno.

Dunque ti stanno simpatiche proprio per questo motivo…

A conoscerne…

Mi dici che sono escort… Io per una Pussy Riot o una Femen pagherei anche cinquecento, mille euro per una sveltina. Se poi è una che ha fatto qualche azione clamorosa, se è stata così coraggiosa, anche di più…

Allora sarebbe quasi come farsi pubblicare da Feltrinelli.

Meglio.

A proposito di vera religione. “Sono un uomo malato…”, nelle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, che citi più volte ne L’intelligenza è un disturbo mentale, segna l’irruzione della vera psicanalisi e insieme della vera religione nella letteratura moderna, ovvero di un tempo di crisi, di rivolgimenti, rivoluzioni, ribellioni. E mentre ben poche sono destinate a medici, analisti, terapeuti, psichiatri, una delle poche parole buone per qualcuno che non sia una donna amata, oppure per una puttana, il narratore di Donne smarrite, uomini ribelli la spende per i religiosi che fondarono gli spedali, e sempre nel tuo romanzo sulla bipolarità gli fai dire che: “La stessa scienza che cerca di spazzar via l’idea di Dio cerca adesso di salvarci dall’orrore della sua assenza. Dio, nella tua vita?

Non se n’è accorto praticamente nessuno che si tratta delle prime parole delle Memorie del sottosuolo. Ho fatto un gioco: ho trascritto tutte le traduzioni esistenti in italiano, inclusa l’ultima, quella di Paolo Nori.

Tra parentesi, poi: Dostoevskij era uno che aveva ogni genere di vizio, puttane, tradimenti, gioco d’azzardo. E doveva resistere; alla fine ha posto una resistenza con Cristo, forse perché non sapeva come altro uscirne.

Comunque sono agnostico. Non so, e non so se credo…

L’ospedale psichiatrico di cui ho scritto nel libro è quello di Melzo. C’è una chiesa, e lì uno subito si chiede chi ha costruito su tutto ciò. Mentre poco tempo fa sono stato in India, nei luoghi sacri come Benares, e sono posti di merda, pieni di fanatici, altro che mistici. Quella non è religione… Quella è una cancrena… È guerra contro l’igiene. È morbosità. È ignoranza. Non vivono bene, e poi non mi si vorrà far credere che farsi camminare addosso da una marea di topi dentro un tempio sia mistica. Se cerchi del misticismo lo trovi anche qui, nei parchetti sotto i grattacieli di Milano: bisogna averlo dentro; non andarlo a cercare. Però i mussulmani, e più di tutto l’islam arabo, gli arabi islamici, sono il peggio, e la loro religione li ha completamente annichiliti. A quel punto preferisco gli africani, che a confronto sono molto più simpatici, col loro animismo, e ridono di più.

Ma tra un induista e un islamico, alla fine preferisco un cattolico. Però, se fossi obbligato ad avere una religione sarei un calvinista. Molto più austero… E i preti si sposano.

Austerità un po’ giansenista… La pascaliana stanza in cui rifuggire il mondo, specie questo, pieno di donne confuse, e dunque starsene da soli, ai tuoi occhi apparirebbe come una resa, un pis-aller, o invece il più alto segno d’intelligenza?

Se soffri di solitudine perché hai bisogno di compagnia vuol dire che non stai bene, specie dopo i cinquanta.

Una donna non è un surrogato del gatto. E un uomo non è un surrogato del cane. Preferisco starmene da solo.

E come ho scritto nel libro, è meglio se una donna raccoglie la merda di un figlio che non quella di un cane.

La stanza allora è la solitarietà da coltivare, con soddisfazione, lo star bene da solo senza troppe rotture di palle, da parte di donne, uomini, famigliari o presunti tali. Non sentire più la solitudine.

L’amletico dubbio tra l’esser solidaire e l’esser solitaire l’aveva lanciato Victor Hugo e poi l’ha ripreso Albert Camus in un racconto…

La solitarietà è l’alternativa a ciò che esprime il personaggio di Elisa, prototipo della radical chic, ovvero la solitudine, il bisogno continuo di socializzare, e solidarizzare, il solidarismo… Che non è solidarietà. Un solidarismo verso delle persone con cui tra l’altro l’Elisa del romanzo non uscirebbe mai. Perché quel tipo di ragazza sta con un avvocato, o con l’intellettuale organico o l’ex terrorista, affascinante perché è stato in galera, però sempre di buona famiglia, colti sì ma con i soldi. Per scopare chiedono molto di più di quanto può offrire un altro tipo d’uomo, intellettuale o meno, perché fanno le poveriste ma portale in un ristorante cinque stelle, vedi se non gli piace. E io l’ho sperimentato: sulle prime protestano; ma alla fine mangiano.

L’intelligenza è un disturbo… Quella maschile è più grave?

Le femministe hanno occupato tutte le cattedre e cadreghe delle patrie lettere… Le donne e gli uomini che gli vanno dietro a ruota. Perché ci sono uomini che forse non sono femministi ma fanno finta d’esserlo. Hanno capito che il modo per pubblicare è quello… Non pensavo nemmeno di pubblicarlo questo libro. Tanto per cominciare gli editor sono quasi tutte donne… La prima obiezione che fanno è la misoginia, il rancore. E Céline non è rancoroso? Non puoi esser misogino, o creare un personaggio tale? Lo si può fare, oppure no? Cos’è, un regime in cui castrano le idee? L’intelligenza è vista come malvagità, cattiveria. Sei immediatamente etichettato come “fascista”. È come nel Novecento. In Italia bisognava scrivere dei romanzi edificanti, tipo Cuore di De Amicis. Non c’è un solo Céline. Dimmene uno…

C’era la censura. La rabbia sociale non la si poteva esprimere… E non se ne poteva scrivere. Come nella Hollywood degli anni Cinquanta. I film dovevano finire bene. Così anche nella letteratura. A parte Pavese. Ma anche lui ha cominciato con dei racconti edificati. Certo con personaggi, ragazzi malinconici e contorti… Ci ficcava un po’ di retorica. Ma poi è amaro.

I romanzi devono finire bene. I romanzi della Mazzantini come finiscono?

Non ho idea. Non li leggo.

Beh, finiscono sempre bene. E poi non puoi dire “negro”. Nel mio libro non ho potuto scriverlo. C’era due volte, ma ho dovuto levarlo. Tanto chi vuol capire capisce. Ma la parola “negro” è sulla Treccani. Però ho ottenuto di poter dire “frocio”.

Ma l’editoria italiana è questa cosa qua… Queste impiegate sono quasi tutte donne. Le editor. Fanno la censura del linguaggio…

Per questo libro ho lavorato con una editor di sinistra che però mentalmente aperta, che non voleva che le parole fossero cambiate, e infatti è fuori dai giochi che contano. Ma nelle case editrici più potenti… C’è la censura contro il linguaggio.

Quanto agli editori, Milano è l’unica grande città europea d’Italia, e quando sento “Roma” accostato a “casa editrice” sto male, nella capitale la parola data non conta nulla. Il costume è quello… È un fatto di cultura.

Quanto agli scrittori italiani contemporanei, quando li leggo non mi resta nulla. A volte, qualcuno interessante lo trovo, e lo incontro pure, e si diventa amici… Come Paolo Nori. Come Aldo Busi. Due scrittori veri.

Prendi l’ultimo Strega. L’ebrea che ci parla della sofferenza degli ebrei. Il paese sommerso nel lago per colpa dei nazisti. La ragazza con la Leica e la guerra ai franchisti. Ma ti sembra normale? Sempre le stesse cose!

E poi dobbiamo prendere lezioni su Mussolini da Scurati. Non scrive libri, occupa militarmente degli spazi sugli scaffali del le librerie… Si può leggere un romanzo di Scurati su Mussolini, se non si è letto De Felice? Oppure un romanzo di Genna sul nazismo, quando non si è letto Joachim Fest? Ma alla Feltrinelli non trovi De Felice e Fest, trovi le tartine al salmone, sono delle osterie, ora, con la gente non guarda più i libri, sta seduta e mangia. Che in realtà è meglio l’occupazione da parte delle tartine che non da certi libri.

I viventi… Forse è meglio leggere uno scrittore morto, mi viene più voglia di leggerlo. Ma queste cose le posso dire solo a te. Nessun altro riporterebbe queste cose. Si vive di minacce di querele per delle stroncature di libri. Ma di che stiamo parlando? Dov’è la libertà d’opinione?

Ma quello italiano è un popolo di gente che tiene famiglia, come diceva Longanesi. Va bene, tieni famiglia, ma allora fai un altro mestiere, l’idraulico o il piastrellista…

Sai che umiliazioni devi subire per arrivare a uno Strega. E anche se vinci nel giro di pochi anni sarai dimenticato. Ma se scrivi certe cose, non puoi essere ospite, e non ti fanno scrivere più niente. Io me lo posso permettere, economicamente, ma lo farei lo stesso, è la mia indole.

Nel libro hai scritto che diversità d’idee può essere una linfa e apre a una serie di scenari imprevisti, e mantiene vivi. Ma un uomo di lettere, un intellettuale ribelle al conformismo di cui sopra, ha bisogno di una donna simile o diversa?

La tensione è bella… Forse è pure meglio. Però l’altra persona dev’esser capace di capire un punto di vista differente. Se lo bolla come fascismo secondo la vulgata antifascista, non c’è speranza.

Un libro certamente profetico l’hai già scritto, Avere 30 anni (e vivere con la mamma)… Di anni ne sono passati parecchi e ormai questa è un a situazione diffusa e consolidata… Pure da questo punto di vista gli italiani non paiono passarsela proprio bene, non trovi?

Si tratta di un riflesso; le donne non escono se non ci sono uomini che non escono. Ho un sacco di amiche sui trentacinque, quaranta, che vivono da sole, e che sono più sveglie dei coetanei. A loro l’uomo serve anche soltanto per scopare, e a volte non è nemmeno capace di fare quella cosa. Non trovano un uomo; allora invece di un uomo magari in casa si mettono un cane.

Quanto ai trent’anni, poteva sembrare un’esagerazione. Eppure era una realtà che osservavo in prima persona. Oggi potrei parlare di cinquantenni e potrebbe apparire nuovamente un’esagerazione. Ma la dinamica è cominciata allora, e se molti trentenni di oggi sono in casa con la mamma, alcuni di quelli di allora, oggi cinquantenni, sono in una situazione analoga…

Il fatto è che gli uomini si sono richiusi su se stessi di fronte a certi comportamenti. Così le donne della mia generazione hanno scacciato i maschi dalla strada e dai bar. E pure le donne ne pagano a loro volta le conseguenze. Ma non mi va di fare il sociologo…

A pubblicarmi il libro, che come sempre faccio mandai solo a quattro o cinque case editrici, fu Valerio Riva che stava rilanciando la Bietti. Lo spunto mi venne da Il trentesimo anno di Ingeborg Bachmann. La parte tra parentesi, nel titolo, fu lo stesso riva ad aggiungerla…

Il socio di Feltrinelli che fece pubblicare Il dottor Zivago

Sì, poi diventato un fiero anticomunista… E oggi quali sono i grandi casi editoriali? Alessandro D’Avenia e Paolo Giordano?

Dai tuoi romanzi sono chiari i tuoi gusti conservatori ma non rigidi in fatto d’estetica, architettura, cibo, donne, alcol, musica… Il luogo o ambiente più erotico e il più anerotico o più antierotico? Meglio la Città Piccola o la Città Media rispetto alla Città Grande?

Una cosa certa è che mi piacciono le comodità. Per cui se un posto è scomodo non m’interessa. Immergersi con le bombole, scalare le montagne o correre le maratone, lo trovo masochismo.

Per il resto credo sia necessario togliere, limare, eliminare, fare un po’ di vuoto.

Però nei centri sociali ci sei andato davvero?

L’ho fatto veramente, ed è stato una sorta di gioco. Ma non ne potevo più, volevo solamente scappare.  Mi portavo delle letture tipo L’esorcista e mi mettevo in un angolo a leggere, tanto non era possibile parlare con nessuno. Hanno abolito la spontaneità, sono solo degli snob. Una russa che bollano d’approfittatrice, è ben più spontanea delle donne piene di pregiudizi che vanno in quei posti.

“Tutti vogliono le stesse cose. Allora pensano che siamo tutti uguali, ma invece non è così, non siamo tutti uguali”, sottolinei ne L’intelligenza è un disturbo mentale. Hai scritto di Verlaine per il volume I maledetti. Di chi scriveresti invece per un volume I ribelli?

C’è un ribelle che apprezzo molto, Marcello Baraghini, il fondatore di Stampa Alternativa e creatore della mitica collana “Millelire”. E poi Bianciardi, purtroppo un ribelle autodistruttivo. O Busi, che uno che non sottostà a nessun potentato… O Pavese.

Un romanzo d’amore, o di “disamore”, assoluto, definitivo?

La frase conclusiva di Un amore di Swann di Proust… “E dire che ho sciupato anni di vita, che volevo morire, che ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo!”. Nessuno se ne accorge ma la Ricerca è piena d’ironia.

E Un amore di Buzzati, un romanzo definitivo perché racconta l’impossibilità di viverlo.

Questo mio ultimo libro è travestito da romanzo rosa, con una speranza, che c’è e non c’è. Come se si avesse paura di dire che si tratta di un romanzo sul fatto che l’amore non esiste. Perché per me l’amore è come gli extraterrestri, non so nemmeno se esiste, né so cosa sia… Come posso parlarne e scrivere un romanzo d’amore? Anche Drieu non ci credeva… E Pavese ha scritto dei grandissimi libri a riguardo, ma non credendoci più, oppure sì, ma allo stesso tempo preferendo le puttane. Ma anche le puttane, puoi averle, sì, ma per un istante.

Dici che scrivere libri non serve a guarire e anzi inabissa. Che il mondo editoriale è ricolmo di malvagità luciferina. Che ad andare per librerie si rischia di finire nel pantano. E, ti cito, che le presentazioni dei libri sono delle dichiarazioni di velleità, che vi ci vorrebbe un provocatore, non un moderatore. Lasci anche intendere che leggere, specie i libri italiani, non sia esperienza piacevole, emozionante, gioiosa, quanto opprimente. Scrivere ti tocca farlo in Italia, in italiano, per lettori italiani, in questi anni. Dici che si tratta di una testimonianza, in primis per te stesso, di esser vivo. Urgenza? Lotta? Perversione?

Vanità…

Marco Settimini

*L’intervista a Paolo Bianchi è pubblicata in seguito a una riflessione sulla sua opera compiuta da Marco Settimini qui.

Gruppo MAGOG