Ci sono poeti che restano ciò che sono. Un pericolo. Questo è il caso di Alejandra Pizarnik, poetessa dalla potenza formidabile, una specie di Sylvia Plath argentina – per capirci, con brutale faciloneria. Nata a Buenos Aires nel 1936, una puntata, nei Sessanta, a Parigi – dove traduce tanto, da Artaud a Bonnefoy, si fa intima di Julio Cortázar e amica di Cristina Campo, con cui scambia lettere d’incendio – si suicida a 36 anni. Questa vita dove i versi sono lame sulle vene, ne segna la fama postuma. Pubblicata un po’ in clandestinità in Italia – gli dèi gratifichino i piccoli, grandi editori dei poeti: leggiamo la Pizarnik grazie a Crocetti, La figlia dell’insonnia, 2015, e a LietoColle che l’anno scorso ha stampato la Poesia completa (per quanto incompiuta) della poetessa argentina – la situazione non è migliore nel paese natale. “Siamo di fronte a una specie di diaspora: non esiste l’opera completa della Pizarnik”, ha detto Evelyn Galiazo, ricercatrice di documenti letterari, prof all’Università di Buenos Aires
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Qualcosa sta cambiando. La notizia l’ha data, con scintillio di dati, il Clarin. “Alejandra Pizarnik: un poeta indimenticabile ritorna a noi grazie a documenti finora sconosciuti”. In sostanza, grazie anche al lavoro della Galiazo, la sorella di Alejandra, Myriam Pizarnik de Nesis, ha donato alla Biblioteca Nacional di Buenos Aires una mole di documenti che dovranno illuminare il ‘cantiere’ poetico della poetessa.
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“E allora si accende la macchina del tempo. E si compie il viaggio. Alejandra in qualche modo è lì. Nelle macchie di caffè lasciate sulle pagine che ha voluto custodire per qualche motivo. Ci sono disegnini che le regalavano e anche un grande ritratto che qualcuno le fece su foglio da disegno o lo schizzo di un gattino in un pezzo di carta ritagliata. Ci sono lettere, originali scritti a macchina e cose corrette a mano, quasi sempre con inchiostro di vari colori… A volte è così, punk, disordinata, strappa le pagine dei libri per riscattare qualcosa; altre volte è metodica, mette i sottotitoli alle cose con nastro adesivo. C’è l’originale scritto a macchina dell’intervista che fece a Marguerite Duras e che fu pubblicata nel 1968. Ci sono testi usciti sulla rivista Sur e le bozze delle traduzioni di Evghenij Evtushenko. Niente ha un ordine apparente e in quella pila c’è lei. La sua voce. Il suo passaggio per il mondo… Tra i libri della sua biblioteca c’è molta poesia, il surrealismo francese, filosofia, libri di Sartre, Saffo, tutto Proust, Simone de Beauvoir, Flaubert e libri di grammatica francese, ma anche il Fausto di Estanislao del Campo e il Chisciotte. Ovviamente, ci sono anche letture più mondane. Il cuore è un cacciatore solitario di Carson McCullers, qualcosa di Khalil Gibran, Henry Miller e persino un Martín Fierro di quando andava a scuola con alcune annotazioni di lei e di Myriam. Con insulti”. Così Daniela Pasik sul Clarin.
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I poeti vanno sondati, snidati, come piccole divinità, perché anche il frammento singolo di una lettera è qualcosa di singolare, l’abbrivio di una teologia della gioia e della disperazione. Speriamo che qualcuno s’avventi presto in questa mole di documenti. Intanto, pubblichiamo una lettera di Julio Cortázar ad Alejandra. L’ultima lettera. Da Parigi – è settembre e un anno dopo, la poetessa si suicida.
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Parigi, 9 settembre 1971
Mia cara, la tua lettera di luglio mi è arrivata a settembre, spero che nel frattempo tu sia già rientrata a casa. Siamo stati negli stessi ospedali, anche se per motivi diversi; il mio è del tutto banale, un incidente d’auto che è stato sul punto di.
Ma tu, tu, ti rendi davvero conto di tutto quello che mi scrivi? Sì, certo che te ne rendi conto e tuttavia non ti accetto così, non ti voglio così, io ti voglio viva, testarda, e renditi conto che ti sto parlando del linguaggio dell’affetto e della fiducia – e tutto ciò, cazzo, è dalla parte della vita e non della morte.
Voglio un’altra tua lettera, presto, una tua lettera. Anche quella parte sei tu, lo so, ma non è tutto e oltretutto non è la parte migliore di te. Uscire da quella porta è falso nel tuo caso, mi dispiace come se si trattasse di me. Il potere poetico è tuo, lo sai, lo sanno tutti quelli che ti leggono; non viviamo più i tempi in cui quel potere era l’antagonista di fronte alla vita e questa era il carnefice del poeta. Oggi, i carnefici uccidono altri, non i poeti, ormai non ci resta neanche questo privilegio imperiale, carissima. Io ti reclamo, non umiltà, non ossequio, ma legame, con questo che ci avviluppa tutti, chiamala luce o César Vallejo o cinema giapponese: un braccio di ferro sulla terra, allegre o triste, ma non un silenzio di rinuncia volontaria. Ti accetto solamente viva, ti voglio solamente Alejandra.
Scrivimi, cazzo, e scusa il tono ma non sai la voglia che ho di abbassarti le mutandine (rosa o verdi?) e darti una di quelle sculacciate che ti dicono ‘ti voglio’ ad ogni frustata.
Julio
*La traduzione dei testi dallo spagnolo è di Mercedes Ariza.