15 Giugno 2018

“Scrivere è sollevare un microscopio e accudire un bambino”: dialogo con Tracy Ryan, la Sylvia Plath australiana

Non è un abuso giornalistico. Il paragone tra Tracy Ryan e Sylvia Plath ricorre un po’ in tutti i repertori critici. Lei, classe 1964, tra i poeti più originali e riconosciuti in Australia, non si tira indietro, riconosce il debito d’ispirazione con la Plath, ma anche quello con Ted Hughes e Rainer Maria Rilke, ad esempio, e marca delle rigorose distanze. D’altronde, è poesia rigorosamente australe, sghemba all’ovvietà narrativa, quella della Ryan, che procede per densità verbali, tenta la rabdomante anomalia del quotidiano. Poesia colta, che trafigge con oracoli meridiani, condotta da quasi 25 anni – la prima raccolta, Killing Delilah, è del 1994, l’ultima, The Water Bearer, “così piena di intima intensità, di limpidezza visionaria, sintesi lirica di uno dei poeti australiani viventi più noti e premiati” (Marion May Campbell), da cui provengono le poesie che abbiamo tradotto in calce all’intervista, è pubblica quest’anno – con ostinata coerenza formale e formidabile impeto ‘etico’. L’esperienza lirica della Ryan – che ancora attende un degno riconoscimento in Italia – attraversa le tradizioni, sia per la biografia dell’autrice – nata in Australia, ha lavorato a Cambridge e ha vissuto negli Stati Uniti, in Ohio – che per la natura della sua poesia. Spifferi di Emily Dickinson e barriti di Baudelaire, infatti, s’imprimono nella sua poesia, onnivora. “Non appartengo ad alcuna scuola di pensiero”, ha detto, in una riflessione del 2001, “in senso più ampio la mia scrittura è inestricabilmente legata al mio femminismo”. Alla sua femminilità, pare, leggendo Tracy. Anarchica, inafferrabile, virile.

Ryan bookDa dove proviene la tua ispirazione poetica? Sei ispirata da un fatto, un evento storico, un elemento naturale, un’illuminazione improvvisa… Che cos’è la poesia?

Può arrivare assolutamente da qualsiasi parte: è la sensazione che prendere e sorreggere un pesante microscopio assomigli a tenere in braccio e allevare un bimbo. Deriva dal riconoscere il rumore dei passi del tuo compagno sulle scale, un rumore che distingui minuziosamente dalla camminata di chiunque altro. Più lo tengo in considerazione, più mi rendo conto che ciò accade in modo specifico attraverso ciascuno dei sensi; a volte in più percezioni contemporaneamente… La certezza fisica che, per esempio, dopo la gravidanza continui a fare più spazio del necessario o senti la mancanza del peso del bambino sul tuo fianco, sul tuo braccio. Queste cose sembrano banalità ma non lo sono, dal momento che comportano connessioni psicologiche, sociali e anche spirituali. Tutto questo, scontrandosi con il lavoro altrui – perché l’ispirazione arriva anche da altre poesie, corre attraverso il vaglio (mescolare la metafora) delle tue stesse esperienze.

Ho letto che la tua poesia è stata avvicinata ai poemi di Sylvia Plath, una poetessa molto conosciuta in Italia. Ti intimidisce questo confronto, pensi sia corretto? Quali sono i poeti che ami di più? Quali poeti – vivi o morti – hanno contribuito alla tua crescita poetica?

Come molti altri poeti, sono profondamente debitrice nei confronti del lavoro della Plath. Non penso che il mio lavoro assomigli così tanto al suo, tematicamente quasi per niente, anche se nella tecnica e nel mestiere lei è per me un grande esempio. Questo non è insolito, specialmente nella mia generazione che le succede direttamente (lei appartiene all’era dei miei genitori). Sono stata influenzata da così tanti poeti che è difficile menzionarli tutti, ma in modo cruciale da entrambi, sia dalla Plath che da Ted Hughes, quanto, allo stesso modo da Theodore Roethke; ma anche dagli australiani Judith Wright, che ho studiato a scuola, e da Dorothy Hewett. Di epoche precedenti, ho imparato da John Donne, George Herbert e poi da Gerard Manley Hopkins. Ritorno continuamente a Emily Dickinson e a Emily Brontё. Per quanto riguarda i poeti non inglesi invece, assolutamente Rainer Maria Rilke e probabilmente Baudelaire, nonostante tutti i problemi con lui!

Pensi che esista una particolarità della scrittura ‘femminile’? Cosa c’è di diverso da quella ‘maschile’?

Non penso che l’originalità o la differenza sia assoluta. Penso si tratti piuttosto di un disposizione, una tendenza o un punto di vista – ma nessuno precipita ordinatamente in un ‘campo’ piuttosto che in un altro – il ‘genere’ non è così semplice, come le persone stanno finalmente iniziando a riconoscere! (alcune persone lo hanno sempre riconosciuto). Detto questo, penso che ci siano stati elementi che la scrittura delle donne abbia evidenziato per via di una differenza storica nell’esperienza, una esperienza spesso svalutata. Intendo gli standard di giudizio in base ai quali un particolare argomento era considerato banale o personale perché allineato con l’esperienza tipicamente ‘femminile’. Queste categorie sono state messe in dubbio già da molto tempo. Io sono una femminista, ma ciò non significa che accetti qualsiasi opinione le persone associano a quella parola.

Che rapporto tra etica ed estetica? Quando scrivi, risolvi solo un problema formale o ti preoccupi anche del fatto ‘politico’, sociale, ambientale?

Penso che etica ed estetica siano inscindibili, nonostante si tenda a separarli. Tuttavia, non so con chiarezza a quale posizione etica attingere. Risolvere un problema formale è semplicemente una piccola parte della scrittura, anche se a volte risulta essere la parte più difficile. Preoccuparsi riguardo ai problemi che hai menzionato è sempre un punto fisso per me, nonostante a volte sembri più uno ‘sfondo’ piuttosto che un argomento centrale, decisivo.

Ho letto che hai vissuto in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Australia. Quali sono le caratteristiche della poesia Australiana?

La questione è troppo vasta per poter generalizzare.

Su cosa stai lavorando ora, che libro stai scrivendo?

Ho un nuovo romanzo che uscirà quest’anno e la maggior parte delle mie energie le ho impiegate in questo. Allo stesso modo in cui gli attori amano dire, enfaticamente, che sono ‘nella parte’ o ‘tra impegni’, io sono ‘in mezzo ai libri’ al momento!

*

La settima nuotata

 
Quando l’uomo con la barba bianca
l’ho confuso con una maschera la scorsa settimana
viene di nuovo, io scelgo di restare.

Senza parole, come una mezz’onda.
mi muovo, lascio a lui la parte migliore
mantenendo il passo.

Deve ricordare come sono fuggita,
in quel momento, supponendo la modestia
forse, ma così non è.

Terminato con il pigro galleggiante
la rimozione del pensiero
ora devo apparire una che nuota.

La compagnia designa perimetri
linee invisibili tracciate
pur non essendo te stesso.

Ineleganti, instabili
noi fuggiamo dalla stessa fine
come due che inaugurano l’atto del parlare

nel medesimo istante
qualcuno deve sopraffare
o l’altro soccombe.

Eppure mi basta solo
il mio naturale languore,
e anche se più giovane, la mia debolezza

per disporci in difficoltà senza sforzo.
Saremo opposti prematuramente
varcando il centro

tentando di duplicare lo spazio
ma questo è superfluo:
lui prepara una lunga bracciata

lasciando la sua scia
al largo quasi al punto da soffocarmi
insolito a questo altro ritmo

pone la sua faccia in profondità
e prepara un polmone
percorrendo l’intera lunghezza

Perfino lungo un fianco
apparentemente mio, non posso competere.
Se questa fosse una barca, sarebbe l’estremità.

*

Il Doppio Appuntamento

L’essenziale è invisibile agli occhi.
St-Exupèry, Il Piccolo Principe

Prendendo ciascuno il proprio turno per entrare
questo armadietto oscuro come se fosse
un confessionale, solo gli errori sono
oculari, ordinari e noi speriamo
veniali non mortali; comunque

il computo di questo maestro non esenta
alcun sacramento, soltanto prospettive. E scolpite
immagini: una nuova macchina in grado di scrutare
e penetrare negli occhi, alternandosi
in tre dimensioni – osserva, la mia

macchia come dovrebbe essere, consolante , lui
ti chiama dal panchetto per osservare,
restituito all’intimità: tua moglie in vesti
mai viste prima, non equivoca ma spiritosa,
tracciando il modo in cui noi, così vicini, condividiamo la perdita

di escludere il mondo – una coppia
di vecchie scarpe o pantaloni che si conservano insieme
in declino come tutto il resto – eppure ancora ne faccio tesoro
l’un l’altro e nientemeno. Guarda quella membrana
fluttuante, staccata! Dice lui, staccata, e la tua

domanda balza ansiosa ma nulla
è serio solo il mio vitreo invecchiare
insieme al resto di noi, e adesso per settimane
tu dovrai guidarmi, vai dove
ho bisogno di andare, proprio come farei se fossi tu

questa impotenza, che estende i sensi l’un l’altro,
simbiosi ossea della mia carne,
fino quando il mio nuovo sarà pronto per essere raccolto,
ed io sarò di nuovo praticante, esteriormente
focalizzata, dimostrando di condurre tutto da sola
Tracy Ryan

(le poesie sono tratte dal libro “The Water Bearer”, Fremantle Press, 2018; trad. it. dell’intervista e delle poesie di Matilde Casagrande)

*

Where does your poetic inspiration come from? You are inspired by a fact, an historical event, a natural datum, a sudden lighting… What is poetry?

It can come from absolutely anywhere: out of the sensation that picking up and supporting a heavy microscope resembles picking up and supporting a small baby. Or out of recognising your partner’s tread on the stairs as minutely distinct from anyone else’s footfall. The more I consider it, the more I realise it’s specifically happening through each of the senses; sometimes more than one sense at a time, of course. The spatial realisation that, for instance, after pregnancy, you keep making more room than you need – or missing the weight of the child on your hip, your arm. These things seem trivial but are not, since they entail psychological, social, even spiritual connections. All of it within the context of bouncing off other people’s work – because inspiration comes from other poetry too, run through the sieve (to mix the metaphor!) of your own experiences.

I have read that your poetry has been compared to Sylvia Plath’s poems, a well-known poet in Italy. Do you like this comparison, do you think it’s right? What poets do you love? Which poets — living or dead — have helped your poetic growth?

Like many other poets, I’m deeply indebted to Plath’s work. I don’t think my work resembles hers very much, thematically almost not at all, though in craft and technique she’s a huge model for me. This is not unusual, especially in my generation, since it came directly after hers (she’s of my parents’ era). I’ve been affected by too many poets to mention all, but crucially both Plath and Ted Hughes, as well as Plath’s great influence Theodore Roethke; also the Australians Judith Wright, whom I studied at school, and Dorothy Hewett. From earlier times, I’ve learned from John Donne, George Herbert, then Gerard Manley Hopkins. I return again and again to Emily Dickinson and Emily Brontë. For non-English poets, absolutely Rainer Maria Rilke and probably Baudelaire, despite all the problems with him!

Do you think there is a specificity of ‘feminine’ writing? What is different from that of the ‘males’?

I don’t think the specificity or difference is absolute. I think it can in some cases be detected as a disposition, tendency, or a way of seeing – but nobody falls neatly into one “camp” or the other – gender just isn’t that simple, as people are finally starting to recognise! (Some people always did recognise it.) Having said that, I do think there have been elements that women’s writing has highlighted because of historical difference in experience, sometimes devalued experience. I mean the standards of judgement whereby a particular subject matter was previously considered “trivial” or “personal” because it was more aligned with typically “female” experience. Those categories have been questioned a long time now. I am a feminist, but that doesn’t mean I accept every viewpoint people associate with that word.

What is the relationship, in your opinion, between ethics and aesthetics? When you write you only solve a formal problem or do you also worry about a ‘political’, social, environmental problem?

I think ethics and aesthetics are inseparable, even if we intend to separate them. Even if we don’t quite know when we have drawn on an ethical position. Solving a formal problem is just such a small part of writing, even though sometimes it feels like the hardest part. Worrying about those problems you mention is always there for me, despite sometimes seeming more of a “backdrop” rather than a front-and-centre topic.

I read that you lived in the UK, USA, Australia. What are the characteristics of Australian poetry?

It’s probably too diverse to characterise.

What are you working on now, what book are you writing?

I have a new novel coming out this year and a lot of my energies have gone into that. In the way that actors like to say, euphemistically, they are “between roles”, or “between engagements”, I’m “between books” at the moment!

 

Gruppo MAGOG