03 Giugno 2020

“Il pioniere della rivolta assoluta”. Povero Marchese de Sade, ormai lo leggono in pochissimi. Una nota intorno al compleanno di uno scrittore pericoloso

Il Marchese de Sade, divino per capovolgimento semantico, ha compiuto 280 anni – ormai lo si legge con compianto diletto, senza tremarne, i suoi intenti disattesi da tempo. Nato a Parigi il 2 giugno del 1740 nel palazzo dei Condé, da angelica famiglia – tra i suoi avi risulta, pare, la Laura che fece imbizzarrire e sbizzarrire il Petrarca – fu libertino – com’erano un po’ tutti, quelli che potevano, lì – e sfrenato. Si eccitava menando, aveva capito che si gode soffrendo, che il grande amatore (cioè, l’uomo di mondo) infligge, se è buono, un altrettanto grande dolore. Torturava le prostitute, aveva gusti esagerati, accontentava le madame parigine che gradivano le sue esuberanze. Come si sa, il ventre della prigione – da Vincennes alla Bastiglia, da Saint-Lazare al manicomio di Charenton – partorì uno scrittore di genio. Donatien-Alphonse-François de Sade divenne, semplicemente, Sade, fustigatore dei perbenismi, idolatra della libertà totale, paladino della natura contro la cultura – ma il piacere, soprattutto, è un fatto ‘culturale’ –, esegeta del sesso come passepartout anarcoide, narcotico alla banalità. Messi al mondo per scherzo, dobbiamo sbalordirlo con brutalità. La legge, per Sade, distrae dal vero, cioè dalla mera ricerca del piacere: l’unica spiritualità è nella foga carnale, nella perversione di tutti i sensi. Sade fa coincidere – in opposizione a ogni religione, per lui mortificante, castrante – il verbo con la carne, nel corpo, nella nudità manifesta e martoriata, cadono tutte le finzioni. Il corpo va massacrato, lacerato, vilipeso per giungere nell’aldilà del sangue, l’unico sospiro d’angelo è il singulto dell’amata stravolta. Finì, l’agile Marchese, privo dell’uso degli arti, usurati dalla prigionia, massacrato di stomaco, alienato dalle febbri, il 2 dicembre del 1814. Anelava la Repubblica dei piaceri, l’aristocrazia della sensualità; alcuni lo pensano il grande innovatore dello spirito, l’uomo che ha annichilito ogni restrizione, per altri era un pazzo, un mitomane, un porco; nella sua libreria trovarono una copia del Don Chisciotte, i libri di Rousseau e di Voltaire, quelli di Restif de la Bretonne. Oggi, mi pare, lo si legge distrattamente (il ‘Meridiano’ Mondadori è vecchio di decenni), Le 120 giornate di Sodoma, Justine, La filosofia del boudoir – letture ancora pericolose, ma ardue, aride per chi maneggia soft-porn – le lettere sono quasi introvabili, lo si cita per slanciarsi dal torpore borghese (per capirlo, invece, leggete questo bel saggio di Andrea Tarabbia). Un tempo, infoiati per Sade, tutti ne scrivevano, con aggettivi esorbitanti – da Murice Blanchot a Pierre Klossowski, da Georges Bataille a Roland Barthes. Non riuscendo a imitarlo, lo commentavano, elevando l’opera a meraviglia liberatoria, necessaria locuzione alla tortura, che sadici. Dissipandosi, semplicemente, Sade voleva distruggere tutto: gli fu impedito di agire con il corpo, svergognando, agì con la penna. Chiuderlo in carcere, finì per far esplodere un tributo in spine. Annientati da virale obbedienza, oggi Sade sarebbe sano antidoto. Così ne scriveva Albert Camus, in L’uomo in rivolta.

“Dalla rivolta, Sade non trae che il no assoluto. Ventisett’anni di prigione, infatti, non fanno conciliante un intelletto. Una così lunga clausura genera dei lacchè o degli uccisori, e talvolta l’uno e l’altro nello stesso uomo. Se l’animo è abbastanza forte per edificare, in seno all’ergastolo, una morale che non sia di sottomissione, si tratterà per lo più di una morale di predominio. Ogni etica della solitudine implica la potenza. Sotto quest’aspetto, nella misura in cui, trattato in modo atroce dalla società, le rispose in atroce modo, Sade è esemplare. Lo scrittore, nonostante qualche grido felice e le lodi sconsiderate dei nostri contemporanei, è secondario. È ammirato oggi, con tanta ingenuità, per ragioni con le quali non ha a che vedere la letteratura. Si esalta in lui il filosofo in ceppi, e il primo teorico della rivolta assoluta. Poteva esserlo infatti. In fondo alle prigioni, il sogno è senza limiti, né la realtà frena. L’intelletto in catene perde in lucidità quanto guadagna in furore. Sade ha conosciuto una sola logica, quella dei sentimenti. Non ha fondato una filosofia, ha inseguito il sogno mostruoso di un perseguitato… La rivendicazione esasperata della libertà ha condotto Sade nell’impero della servitù; la sua sete smisurata di una vita ormai irraggiungibile si è placata, di furore in furore, in un sogno di distruzione universale”.

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