26 Aprile 2019

“Dove andiamo non so ma andiamo insieme”: discorso intorno a Rodolfo Quadrelli, il maestro dimenticato. Quest’anno compirebbe 80 anni

A Rodolfo Quadrelli. A fianco degli autori europei

La terra nostra è tutta in Hölderlin
La cui voce non ode più nessuno.
Sordi alla musica che echeggia in
Grecia e nel tragico di Unamuno.

Dei boschi sfrondati, stroncati, Péguy
Ne fece simboli di un e di un no,
Cui il poeta oppone i suoi no e i suoi ,
Sillabe di Spirito. Bernanos,

Eliot e Pound, romanzi e filastrocche,
In prosa o versi l’estrema fortezza –
D’aperta bocca: sempiterne rocche.

Di parole, tra i deserti di Camus,
Rivolta che l’inumano disprezza –
Quadrelli, accanto a loro sei tu.

*

Esemplare delle analisi quadrelliane è l’ambito erotico e sessuale, relazionale e amoroso, nel quale egli non esita a prendere delle posizioni che sono autenticamente cristiane, cattoliche, ma che paiono eterodosse rispetto alla vulgata italiana, tendenzialmente anche in tempi di modernismo spinto, eppur puntellate sul genio di grandi autori novecenteschi (Bernanos, Maritain, Unamuno, ecc.), tutti rivolti a una visione di sesso e amore nella quale non vi sia una negazione degli istinti fondamentali, vivi compresi quelli dei sensi, ma in cui essi siano però concepiti in modo sensato come chiesto da Hilaire Belloc, di cui il milanese curò un saggio sulla sessualità, e a proposito del quale scrive che “il protestantesimo non ha saputo esprimere un profano correlato alle sue forti esigenze di sacro” e per questo si è del tutto secolarizzato, capovolgendo la visione puritana, sempre più inoculata dalla protestantizzazione del Cattolicesimo, nel suo opposto, anch’esso igienista, in accordo con una prospettiva tipicamente borghese e dunque pragmatica, che separa e contrappone in quella che Adorno chiama “freddezza” – amore e sesso, sacro e profano, in una deriva – puntualmente descritta da Benedetto XVI – nella quale che esclude la continuità d’agapè. La prospettiva di Quadrelli, insomma, non è bigotta bensì ecologica, d’ecologia umana, verso quel Bene che è anche nel desiderio.

Perché come mette in evidenza Quadrelli, “per Dante il desiderio del Bene è palese anche nel desiderio sessuale, ma l’oggetto desiderato non è il Sommo Bene, semplicemente”. Se non che Dante non è, come acutamente nota Sciffo, il miglior modello per concepire la relazione erotica et amorosa a un tempo, visto il suo manicheismo nella Commedia. Gli unici amanti carnali presenti in tutto il poema si trovano infatti negli inferi, di sicuro non il punto di partenza più adeguato per ripensare cattolicamente il sesso e l’amore…

Meglio leggere gli spunti pratici di Quadrelli: “L’ossessione erotica del nostro secolo interviene per ragioni non sessuali, così come la perversione sessuale interviene quale compenso di frustrazioni: il sesso non è al suo posto”. Il suo posto migliore è a suo avviso nel matrimonio e nella famiglia, laddove non è certo questione d’igienismo e puritanesimo, e, più semplicemente, “il sesso non sostituisce nient’altro” per cui non va a costituisce un problema. Lo scrittore è un ortodosso e per questo sorprende…

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Per esempio sorprende laddove denuncia “un culto distorto della maternità e della famiglia” – sì commovente, di certo, per carità – ma squilibrato e fonte di squilibrio – in modo peculiare proprio in Italia…

Per esempio sorprende quando batte sul tasto della separazione dei figli dai padri, della necessaria spada che, al di là di tutto l’amore sciolga certi vincoli, scrivendo perfino, nella poesia La voce, del 1980:

“Papà e mamma, parole senza senso
chi ha preposto l’oggi, al sempre, all’ieri:
voci lontane che riescono e penso
all’inutile strage di sogni e desideri”

Un cattolico che canta la famiglia come una strage e i genitori come delle: “Voci lontane di un remoto ieri / […] / e che incatenano come carcerieri”! Questi versi hanno un senso svelato alla fine della poesia da cui sono tratti: “che il sempre sia domani, che l’ieri non ci sia” – in una proiezione dal padre al Padre, dal padre-tempo al Padre-Tempo Eterno, che è separazione matura ma non sradicamento, e più di tutto non lacerazione di sé, adulto-eterno, dal sé, fanciullo antico-eterno, in un “torno indietro” e un “faccio piccolo” me stesso, laddove alla fanciullezza attribuisce una saggezza ecclesiastica con la quale riuscire a sapere quale sia il senso di ciò che nel tempo è e di ciò che non vi è, l’intemporale, lo chiamava Péguy:

“Vorrei sapere infine se il bimbo non violato
che ero io, che eri tu, è morto e sotterrato,
o se palpita e freme, come l’antico vuole,
per ritornare sempre: nihil novi sub sole

È movimento tutto d’amore, verso un altro amore, e con un altro amore… L’amore più completo, per la moglie, guidata e guida allo stesso tempo… Come in A mia moglie, del 1983:

“Dove andiamo non so ma andiamo insieme:
tu guidi e sei guidata e così anch’io.
Sappiamo o non sappiamo ma ci preme
nel cuore a entrambi un semplice ignoto Iddio”

Una guida terrestre è la moglie come pure i grandi poeti a partire da quel T. S. Eliot che gli insegnò l’indimenticata lezione per cui il tempo e l’eterno sono legati, come ricorda in Rileggendo Eliot, del 1983:

“Niente oblitero, niente oblio:
la sua voce a me ragazzo
disse come andare a Dio
senza fare il vano o il pazzo”

Grandi come Eliot sono gli altri riferimenti poetici classici di Quadrelli, Shelley (le Poesie tradotte) e Pound (l’ABC del leggere). Grandi sono gli autori cui lo si più senza rischio apparentare, dai francofoni Péguy e Weil ai germanofoni Grillparzer e Guardini. Grandi sono stati gli amici, gli scrittori e gli editori con cui fu in contatto o collaborò, davvero il meglio del Novecento italofono: Scheiwiller e Prezzolini, Cederna e Rusconi, Bacchelli e Vallecchi, Pontiggia e Ceronetti, Raboni e Cattabiani, Del Noce e Plebe, Zolla e Cristina Campo, Samek Lodovici e Marcolla, Quinzio e Flaiano, e i già citati Principe e Pasolini, il quale pur senz’averlo mai potuto incontrare lo considerava un “fratello”. Grandi pure i riferimenti patrî.

*

Perché se Veneziani lo ha giustamente definito “voce più alta dell’Italia silenziosa”, Quadrelli è stato capace di scrivere, in apertura di Come si distrugge una cultura, che “l’autostrada del sole era evitabile”, e il senso è ovviamente non tanto o non soltanto (il poeta milanese non era certo un amante dei motori, pure in questo caso non solo per rispetto della natura, ma anche e soprattutto per un fatto d’ecologia umana) stradale quanto culturale e quindi antropologico, e in ogni caso egli fu una voce lombarda, figlia cioè di una civiltà nella quale la tradizione orale non è mai stata completamente separata da quella colta, e che anche per questo fino a quel momento si era salvata dalla devastazione, senza riuscire però a salvare l’Italia, che non volle ascoltarla, non accogliendo mai davvero il contributo della Lombardia, con la sua identità, il suo “controcanto” che la rende unica e per molti versi antitetica, col Veneto, alla Toscana, da cui la distinguono tra le altre cose la contrapposizione, non senza equilibrio, tra città e campagna.

Tale dialettica per Quadrelli è l’“elemento fondamentale della moralità lombarda”, assieme a un illuminismo mai del tutto materialista-progressista, a un canto intriso d’elegia che si estrinseca nei paesaggi e ben colto da Guido Piovene, nel suo Viaggio in Italia, nonché al fiore di Bonvesin de la Riva, l’umile viola contrapposta alla lezione toscana e sicula ben più superba e arrogante, che ha machiavellicamente vinto.

*

Dopo il fascismo, per abbaglio “da molti […] considerato sinonimo di tradizione”, il controcanto lombardo per Quadrelli poteva essere, come già prima e dopo il risorgimento, e a esso controcorrente, l’unica possibilità di rinascita per la cultura italofona, una vera alternativa a quello che è a suo avviso era ed è un vero e proprio totalitarismo occidentale parallelo a quello sovietico allora non di rado in auge nelle redazioni di giornali e case editrici, e che in ambito italiano era la nuova edificante letteratura, e confermante, esito di un atroce uno-due nazionalista e poi tre spurio ma a sua volta devastante, dal risorgimento al fascismo al dopoguerra – un dopoguerra tutto mutamenti, accoglienze, rinnovamenti, aperture – che altro non è stato che un vero e proprio venire a patti con tutto – reazione progressista a una fase che già era sfrenato modernismo. È così rimasta inascoltata la grande voce lombarda – “un fiume sotterraneo che soltanto con Manzoni viene interamente alla luce, e soltanto con Manzoni fa ricordare il massimo poeta toscano, Dante” – di Maggi e Parini, dei Controriformisti e degli Illuministi del Caffè, degli Scapigliati e di Porta, di Manzoni e Cattaneo, di De Marchi e Gadda, degli antinovecenteschi, di Rebora e Boine, Brera e Linati, Testori e Corti, Morselli (non un caso ma un destino, l’ha definito Quadrelli) e Noventa, e l’emiliano “milanese” Guareschi…

In questi autori si delinea una peculiare identità, per molti versi difforme dai tratti più italici: “I tratti eloquenti dell’italiano, soprattutto nella visione enfatica e deformata degli stranieri, sono tratti meridionali e ancor più centro-meridionali: purtroppo, perché per essi il privilegio della fantasia verbale e metaforica viene guastato da una malinconia tutt’altro che elegiaca e tanto meno morale, anzi rabbiosa e risentita verso Dio e verso gli uomini, e pittoresca fin nelle bestemmie. Sono i tratti machiavellici e rinascimentali dell’inganno e del ricatto, nonché della millanteria sessuale, ispirati dalla sempre latente paura di essere ingannati e ricattati”.

*

Certo, Quadrelli scriveva d’altri decenni in cui l’onda lunga del boom lasciava i suoi segni ma non era giunta ancora ai suoi esiti probabilmente finale, erosione di tutto e perfino di quella voce lombarda che resiste oggi nei pochissimi eredi di quel controcanto antico e tradizionale, tra i quali il già citato Sciffo, poeta, novellista e saggista (oltre che docente di liceo come lo stesso Quadrelli) monzese, autore tra l’altro di una lunga serie Quadrelliana, edita dai digitali ma antichi tipi del Covile, a opporsi a un ulteriore, forse ineluttabile sradicamento e disboscamento che trova i suoi campioni nelle firme lombarde di nascita ma del tutto italiane, e semmai americaniste o globaliste, ma in ogni caso mai europee: dei Galimberti e dei Giorello in ambito pseudo filosofico, dei Deotto e dei Serino (già proclamato lo scrittore italiano più americano) in ambito pseudo letterario, tutti facilmente confondibili con nichilisti d’altri natali, idem sentire e stesso nulla, seppur proposto in salse antitetiche, con i toni moraleggianti o immoralistici a seconda delle ideologie fugaci (omosessualismo o scientismo o immigrazionismo) e dei lauti stipendi di riferimento, dai Serra ai Sofri, dalle Marzano ai Ravasi, dai Saviano ai Parente, lunga teoria di desacralizzatori della vita umana, fautori della deculturazione delle masse, agenti di divulgazione della sottocultura, ovviamente al potere e di potere.

“L’Italia non è un Paese moderno, e non è detto che questa sia una disgrazia”, scriveva Quadrelli ne Il paese umiliato, nella prima metà degli anni Settanta. Questa condizione, questo non esser davvero moderni, comportava sì, a suo avviso, una sofferenza, ma essa non era necessariamente un sintomo negativo. Si trattava invece a suo parere di un segno di salute. Ma anche in questo caso non bisogna cadere nel primo e più automatico pensiero. Per cui l’Italia era e sarebbe dunque più in salute degli altri paesi davvero moderni. Perché l’Italia reca in seno una malattia molto grave. Che risiede proprio in questo suo equilibrio incerto tra la modernità e la tradizione. Il fatto è che l’Italia è “impregnata di religione” e tuttavia, o meglio proprio per questo, corre il duplice rischio, da un lato di non badare alla fede (che negli anni Settanta si è ormai protestantizzata) e dall’altro di non curare e anzi di disprezzare la dimensione civile. Se dunque sussiste tanto una chiara sintomatologia quanto degli anti corpi… Allo stesso tempo esistono forse le condizioni endemiche peggiori possibili… “Il mondo moderno è protestante e ‘civile’, non è cattolico e ‘religioso’; è fatale che in Italia gli squilibri, vuoi sociali, vuoi ecologici, siano maggiori, perché la ‘modernità’ ha prodotto qui l’effetto di un’esplosione, come sempre avviene nei Paesi colonizzati che subiscono una cultura”. Peccato che l’Italia sia e protestantizzata e incivile… C’è sì un maggior benessere economico, ma anche la dissoluzione delle comunità naturali e delle attività tradizionali, capitalismo, consumismo, inquinamento, una pseudo lotta comunista (per il teologo francese Vigo Auguste Demant, altro riferimento teorico di Quadrelli, la sola e vera lotta di classe è quella tra il contadino e le comunità industriali) e il mostro di una burocrazia tutta d’origine sabauda e meridionale, l’usura, l’orgoglio e la menzogna gesuitica legittimati quando non pure eretti a virtù.

Marco Settimini (seconda parte; la prima parte dell’omaggio a Quadrelli la leggete qui)

*In copertina: Angelo Inganni, “Veduta del Naviglio e della chiesa di San Marco in Milano”, 1835

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