06 Ottobre 2019

“La storia comincia con Naipaul che arriva a Buenos Aires per scrivere di Eva Perón…”: un racconto di Roberto Bolaño, “Saggi di Sodoma”

Successe come un capitombolo, passammo a Madrid da una collina con un tempio egiziano a una via che portava alla metro e aveva un nome sudamericano, Santiago e qualcosa, capitando in una libreria dov’erano impilati molti volumi nuovi ma messi in ordine verso il soffitto, al modo della merce antica e polverosa. Il primo di questi che sollevai erano i racconti completi di Roberto Bolaño pubblicati da Anagrama e ve n’erano cinque o sei mai trovati in italiano. Comprensibilmente, li sfogliai come un cane da tartufo mentre Andrea mi aspettava e scrutava il negoziante. Un racconto in particolare mi colpì e lo presi con una fotografia: Saggi di Sodoma era stato composto al volgere del secolo, il nostro aveva vinto un premio abbastanza importante in Sudamerica eppure, chi se lo filava? Era una storia promettente però alla fine non fu inserita in Puttane assassine. Ve li immaginate, i preziosi di Adelphi o i savi editori spagnoli, che s’inchinano davanti a uno scrittore che parla sporco? Io no. La storia è questa, se vi piace, come la tradusse dopo il viaggio a Madrid l’altro Andrea. (Andrea Bianchi)

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Saggi di Sodoma

a Celina Manzoni

Molti anni fa, prima che Naipaul ottenesse il premio Nobel, pensai di scrivere una storia che si sarebbe intitolata “Saggi di Sodoma” e il cui protagonista sarebbe stato proprio Naipaul, scrittore che, peraltro, ammiro. La storia cominciava a Buenos Aires, dove Naipaul era arrivato per scrivere un lungo reportage su Eva Perón, raccolto in un libro pubblicato in Spagna, nel 1983, dalla casa editrice Seix-Barral. Nella storia, Naipaul arrivava a Buenos Aires, credo fosse il suo secondo soggiorno in città, prendeva un taxi, e lì mi sono bloccato, il che non depone a favore della mia capacità d’inventiva. Avevo in testa altre scene che non riuscii a scrivere. Soprattutto, visite in società. Naipaul nella redazione di un giornale. Naipaul nella redazione di un altro giornale. Naipaul a casa di uno scrittore impegnato. Naipaul a casa di una scrittrice dell’alta borghesia. Naipaul che fa telefonate, torna tardi al suo hotel, insonne, prende appunti, rigoroso. Naipaul che osserva le persone. Seduto su una sedia al tavolo in un noto caffè, attento a non perdere neanche una parola. Naipaul a casa di Borges. Naipaul che torna in Inghilterra e rivede i suoi appunti. L’osservazione, breve ma non senza interesse, di una serie di eventi: l’elezione dell’uomo di Peron, il ritorno di Peron, l’elezione di Peron, i primi segni dello scontro all’interno del peronismo, i gruppi armati di destra, i montoneros, la morte di Peron, la presidenza della vedova, l’ineffabile Lopez Rega, l’atteggiamento dell’esercito, la recrudescenza dello scontro tra l’ala destra e l’ala sinistra del peronismo, il colpo di stato, la guerra sporca, le stragi. Potrei sbagliarmi nell’ordine. Forse Naipaul chiude la sua cronaca prima del colpo di stato, probabilmente pubblicò il testo prima che si conoscesse il numero dei desaparecidos, prima che fosse confermata l’entità del male.

Nella mia storia, Naipaul camminava semplicemente per le strade di Buenos Aires e, in qualche modo, avvertiva l’inferno che si addensava sulla città. In questo senso, la sua cronaca era una profezia modesta, minore, che non raggiungeva i livelli di Abaddon el exterminador di Sabato, ma che, guardandola con buona volontà, apparteneva alla stessa Famiglia, la Famiglia delle opere nichiliste e bloccate dall’orrore. Quando dico “bloccate dall’orrore” non lo dico in senso peggiorativo ma letterale. Penso ai bambini che rimangono immobili davanti all’assalto di un orrore imprevisto, incapaci persino di chiudere gli occhi. Penso alle ragazze che subiscono un attacco di cuore e muoiono prima che lo stupratore finisca il suo atto. Alcuni artisti della scrittura sono come quei bambini e bambine. Nella mia storia, nonostante se stesso, Naipaul era così. Aveva gli occhi aperti e la lucidità che di solito lo caratterizza. Aveva qualcosa che gli spagnoli chiamano “latte cattivo” e che serve da antidoto per combattere gli assalti della canaglia sentimentale. Però captava anche, o le sue antenne captavano, l’elettricità statica dell’inferno nelle notti per strada di Buenos Aires. Il problema era che non sapeva come decifrare quel linguaggio e questo è qualcosa che di solito confonde alcuni scrittori, alcuni artisti della scrittura.

La visione che Naipaul ha dell’Argentina non potrebbe essere meno lusinghiera. Col passare dei giorni il paese, e non solo la città, gli diventa più sgradito, più insopportabile. Si direbbe che ad ogni nuova persona che conosce, ad ogni visita che fa, si accresce il suo disagio per il luogo in cui si trova. Nella mia storia, mi pare, Naipaul s’incontrava con Bioy al tennis club dove Bioy soleva andare non per giocare a tennis ma per prendere un vermut e chiacchierare con gli amici e prendere il sole, e sia Bioy che gli amici di Bioy e il club di tennis sembravano a Naipaul un monumento vivente alla stupidità umana, una performance della cretinizzazione di un intero paese. La stessa impressione ricavava dai suoi contatti con giornalisti o politici o sindacalisti. Di notte, mentre dormiva dopo ogni giornata estenuante, Naipaul sognava con Buenos Aires e con la pampa, in effetti sognava con l’Argentina, con tutta l’Argentina, e i sogni inevitabilmente si trasformavano in incubi. Non è che gli argentini siano eccezionalmente apprezzati nel resto dell’America Latina, ma posso assicurarvi che nessuno scrittore latinoamericano ha scritto pagine di critica demolitrice più dure di quelle che Naipaul ha scritto. Neanche i cileni hanno scritto nulla di simile. Una volta, mentre chiacchieravo con Rodrigo Fresan, gli chiesi cosa ne pensasse del testo di Naipaul. Fresan, che conosce la letteratura inglese come nessun altro, ricordava a malapena la cronaca di Naipaul, anche se è tra i suoi autori preferiti. Per farla breve, Naipaul ascolta e trascrive le sue impressioni e, soprattutto, cammina per Buenos Aires. E all’improvviso, senza che il lettore della sua cronaca sia preparato, si mette a parlare di sodomia. La sodomia come usanza argentina. Una pratica che non si limita alle relazioni omosessuali, infatti ora che ci penso non ricordo che Naipaul menzionasse l’omosessualità. Parla di relazioni eterosessuali. Ci s’immagini Naipaul seduto sulla sedia più anonima del bar (o di un emporio, se preferite) ascoltando le conversazioni dei giornalisti, che per prima cosa parlano di politica, il paese si muove con sicurezza e allegria verso il precipizio, e poi, per alleggerire l’umore, di vicende sentimentali, conquiste, amanti. Quelle amanti senza volto, senza eccezione, ricorda Naipaul, ad un certo punto sono state sodomizzate. L’hanno preso nel culo, scrive. Di una cosa che in Europa, riflette, causerebbe vergogna o almeno un silenzio discreto, nei bar di Buenos Aires si parla apertamente come di un segno di virilità, di possesso completo, perché se non l’hai messo nel culo alla tua amante o alla tua ragazza o a tua moglie, non l’hai posseduta davvero. E così, come la violenza e l’incoscienza in politica lo terrorizzano, la pratica sessuale di “prenderlo nel culo”, che implica, secondo Naipaul, una certa componente di violenza, può solo causargli repulsione e disprezzo.

Un disprezzo per gli argentini che cresce man mano che il testo procede. Naturalmente, nessuno si salva da questo costume nefando, o meglio una persona sì, una sola, che cita, che senza l’enfasi di Naipaul rifiuta anch’essa la sodomia. Gli altri, in misura maggiore o minore, l’accettano e la praticano o l’hanno praticata, il che conduce Naipaul a concludere che l’Argentina è un paese testardamente machista (un machismo che vela una scena di sangue e di morte) e che Peron, in quell’inferno di uomini senza freni, è il supermacho, ed Evita è la femmina posseduta, totalmente posseduta.

Qualunque società civile, pensa Naipaul, condannerebbe questa pratica sessuale in quanto aberrante e vessatoria, tranne l’Argentina. Nel suo testo, o forse nel mio racconto, la vertigine che coglie Naipaul si fa sempre maggiore. Le sue passeggiate diventano interminabili vagabondaggi di un sonnambulo. Il suo stomaco si indebolisce. Si direbbe che la sola presenza fisica di questi argentini che incontra e che parlano con lui gli produca una nausea che riesce a stento a contenere. Cerca spiegazioni. Quella che gli sembra la più logica è ricondurre la passione nefanda all’origine degli argentini, terra di emigranti i cui nonni erano poveri contadini di Spagna e Italia. I contadini spagnoli e italiani, di costumi barbari, portano nella pampa non solo la loro miseria ma anche le loro pratiche sessuali, tra cui la sodomia. Questa spiegazione sembra soddisfarlo. Anzi, è tanto ovvia che la prende per buona senza starci troppo a ragionare. Ricordo che rimasi un po’ sorpreso quando lessi il paragrafo in cui Naipaul espone quella che crede sia l’origine delle abitudini sodomitiche argentine. La spiegazione, oltre che inconsistente, mancava di basi storiche o sociali. Che ne sapeva Naipaul dei costumi sessuali dei braccianti e dei terroni spagnoli e italiani degli ultimi cinquant’anni del diciannovesimo secolo e dei i primi venticinque anni del ventesimo? Forse, nelle sue scorribande per i bar di Corrientes a tarda notte, avrà sentito un giornalista sportivo raccontare le prodezze sessuali di suo nonno o bisnonno, che si scopava le pecore nelle notti di Sicilia o delle Asturie. Può darsi.

Nella mia storia Naipaul chiude gli occhi e, in effetti, s’immagina un pastorello del sud che fotte una pecora o una capra. Dopo, il pastorello accarezza la capra e si addormenta. Sotto la luna il pastorello sogna: vede se stesso, molti anni dopo, con molti più chili e centimetri addosso, con grandi baffi, sposato e con numerosi figli, i maschi che lavorano nel campo, con il gregge che è cresciuto (o diminuito), le femmine che lavorano a casa o in giardino, sottoposte alle sue carezze vogliose e a quelle dei  fratelli, e sua moglie, regina e schiava, sodomizzata ogni notte, che lo prende nel culo, scena perfetta che corrisponde più ai desideri erotico-bucolici di un pornografo Francese dell’ottocento che alla cruda realtà che ha la faccia di un cane castrato. Non dico che la sodomia non sia praticata negli onesti matrimoni contadini di Sicilia e di Valencia, ma non con l’assiduità di un’usanza destinata a sopravvivere oltre i mari. Se i migranti di Naipaul fossero venuti dalla Grecia, chissà, potremmo anche crederci. Magari con un generale Peronidis l’Argentina ci avrebbe guadagnato. Non tanto, solo un po’, ma sarebbe già qualcosa. Ah! se gli argentini parlassero demotico. Un demotico Porteño, influenzato dal gergo del Pireo e di Salonicco. Con un gaucho Fierrescopulos, felice copia di Ulisse, e un Hernandikis macedone che aggiusta a martellate il letto di Procuste. Ma, nel bene o nel male, l’Argentina è quello che è e viene da dove viene, cioè, sappiatelo, da tutto il mondo tranne che da Parigi. (1999-2000)

Roberto Bolaño

* traduzione di Andrea Giovannini

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