02 Aprile 2020

“Lasciando nel buio, come traccia, il terribile barlume della gioia”. Robert Penn Warren, il poeta che ha fatto la storia

Quell’uomo mi pareva un totem – certo, sapeva sorridere e le fotografie lo celebrano a torso nudo, pur nella marea dell’età. Se secondo Seamus Heaney il poeta deve maneggiare la penna come una vanga, beh, Robert Penn Warren, di altra generazione – nasce nel 1905 –, usava l’aratro. Come fanno gli antichi, nel continente oceanico, ha usato l’aratro per perimetrare la città, per dare orientamento, tra le stelle e il guaito del futuro, al cospetto delle foreste, alla Storia.

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Per quel che conta – così ci togliamo di torno le onorificenze –, Robert Penn Warren è il solo americano ad avere ottenuto il Pulitzer per il romanzo (nel 1947) e per la poesia (nel 1958 e nel 1979); è stato Poet Laureate nel biennio 1944-45 e in quello 1986-87 (altro record). Dai suoi romanzi hanno tratto una manciata di film: il più noto è Tutti gli uomini del re (1949), che si è preso tre Oscar (compreso ‘Miglior film’; nel 2006 è stato rifatto da Steven Zaillian con cast di lusso – Sean Penn, Jude Law, Anthony Hopkins, Kate Winslet – ma scarso successo); è l’unico libro che ancora trovate in commercio (Feltrinelli, 2014), ma non è, parer mio, il più bello. Un tempo RPW, titano della letteratura americana contemporanea, infiammava l’editoria nostra. Una mitragliata di titoli (tutti, a questo punto, da riproporre): Alle porte del cielo, Il cavaliere della notte, Nel vortice del tempo, Il circo in soffitta, La banda degli angeli (da cui il film di Raoul Walsh con Clark Gable, nel 1957), La caverna, Adam o della guerra civile. Naturalmente, le poesie sono scomparse quasi subito, ed è un delitto perché RPW è anzitutto poeta, tra i grandi, che coagula capacità narrativa, impeto etico, visione storica. La raccolta stampata da Einaudi nel 1971, Racconto del tempo e altre poesie, è di granitica bellezza. Introdotto da un fitto saggio di Sergio Perosa, che raccoglie il giudizio in ginocchio di Robert Lowell (“l’opera di Warren sembra avvicinarsi alla forza di quegli scrittori che gli si sono sempre sentiti aleggiare alle spalle, i geni poetici della prosa come Melville e Faulkner; nel suo caso, è il genio narrativo espresso in versi che sorprende”), si rischia il tragicomico quando del suo “ultimo poemetto, Audubon: A Vision”, pieno di “bellezza e fascino poetico” (“bellissimo”, è ribadito in quarta), è detto che “nella nostra scelta non è rappresentato, meritando un posto a sé nella sua interezza”. Posto, va da sé, promesso e mai offerto: attendiamo traduzione.

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Quel libro, acquistato molti anni dopo la sua pubblicazione in una bancarella irta di pasticcini bibliografici, mi folgorò. Capii più tardi – avevo un grifone nel cervello e nessuna malizia politica – che in Italia arrivavano, a frotte, alcuni americani (per semplificare: beatnik, nordici, progressisti), mentre faticavano a imporsi altri. Amen, per me il primato lo ha la forma più che il resto. Un brandello da Terra del drago: a Jacob Böhme.

I cattolici hanno inviato una missione, i battisti registrano un aumento di fedeli.
Tutto questo non c’entra! Noi siamo umani, e il cuore umano
Esige un linguaggio per la realtà che non dipende affatto da
Desiderio o bisogno – e in chiesa gli sciocchi pregano solo che la Bestia s’allontani.

Ma se ora la Bestia venisse ritirata, la vita si ridurrebbe ancora
All’ennui, al piacere, e al sudore di notte, conosciuti prima
Che la necessità del vero avesse oppresso di dolore la terra e i nostri cuori,
Lasciando nel buio, come traccia, il terribile barlume della gioia.

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Ripeto: RPW è un poeta con l’aratro, che semina i versi per dare concretezza alla città. Le sue poesie sono corpi, vanno toccate, impugnate. RPW studia alla Vanderbilt, approfondisce a Berkeley e a Yale, negli anni Trenta, grazie a una borsa Guggenheim, fa ricerca in Italia, dove governa Mussolini. Negli anni Venti, ventenne, è tra gli artisti più rappresentativi dei “Fugitives”, insieme ad Allen Tate, John Crowe Ransom, Donald Davidson (che – leggi sopra – in Italia sono pressoché assenti). L’altro lato dell’America, quella del Sud, aliena dai fasti metropolitani del Nord, conservatrice. Nel 1930, insieme agli amici, firma il manifesto degli “Agrarians”, I’ll Take My Stand. Riassunto: “Una società agraria è una società in cui l’agricoltura è la vocazione principale, per ricchezza, piacere, prestigio – una forma di lavoro che viene perseguita con intelligenza e desiderio, modello di altre forme di approccio al lavoro… La teoria degli agrari è che la cultura del suolo è la migliore, la più sensibile alle vocazioni”.

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Intermezzo poetico. Questa si intitola Tiberio a Capri e proviene dalla raccolta You, Emperors, and Others (1960). Come leggere Borges coi cavi elettrici in gola, galvanizzato.

Tutto è nulla, il nulla tutto:

Così allo stanco Tiberio cantava molle il mare,
Sotto le mura del suo palazzo a dirupi.
Il mare, in molle avanti e indietro,
Canta così, e Tiberio, intristito
Dal mare, fissa oltre il pulsare marino all’imbrunire
Laggiù, donde vengono,
Una alla volta, adesso, le luci remote di Sorrento.
Fissa nell’imbrunire turchino,
Perché tutto è nulla, il nulla tutto.

Che la tenebra torreggi dall’Asia.
Sull’isola che dietro a lui s’ottenebra, è l’ora delle spintriae.
In grotte e pergole profumate
Ridacchiano, sbadigliano, si tingono le labbra, oliano le cosce
E discutono il ruolo che ciascuna preferirebbe
Quando esibiranno all’occhio dell’Imperatore
La loro sapienza
Delle sue lussurie orientali e complicate fantasie egiziane.
Ma egli fissa nel buio in quell’ora
Svuotato della totalità del potere.

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Uomo d’insaziabile energia ‘civica’, come il colono che di ogni cosa misura la fama per farsene ospite. Nel 1965, per Random House, RPW esce con un libro, Who Speaks For the Negro? (in Italia, due anni dopo, è pubblico per Bompiani), che nasce dal suo studio del Civil Rights Movement. È un libro miliare per l’epoca, che raccoglie un vasto numero di interviste – da James Baldwin a Septima Poinsette Clark, da Martin Luther King a Ralph Ellison e Malcolm X – ora rese disponibili in un sito specifico. Questo è Malcolm X: “L’Islam restaura il sentimento umano – i diritti dell’uomo, la sua energia, il suo talento. L’Islam sviluppa il potenziale individuale di ognuno, dormiente… Quando ero in prigione, ero ateo. Non credevo in nulla, poi iniziai a leggere, a capire… Benché fossi ateo, qualcuno mi parlò dell’Islam, e capii, tra le altre cose, grazie all’Islam, che un uomo deve essere onorato in quanto essere umano, non giudicato dal colore della pelle. A quel punto, approfondii la questione dei neri in questo paese”.

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Non c’è tempo per ricalibrare i ‘canoni’ – i canoni non esistono, nascono e muoiono, come galassie, e l’imperituro si svela saturo. Esistono, piuttosto, i maestri – e scovarli non è estro ma compito da vetraio dell’anima. Mi piace l’idea del poeta da viso scabro, frugale come un aratro, che crede che l’istante sia la storia, un orso sia per sempre, un verso l’agguato. (d.b.)

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Di che parleremmo? I morti,
Sanno tutto, oppure nulla, e
Se non sanno nulla,
Sopravvive la curiosità al lungo disfacimento? Dimmi

Che cosa pensano dell’amore, perché alfine
So che i vivi ricordano i morti solo perché
Non sopportiamo il pensiero che possano
Dimenticarci. O non è
Vero? Guarda, guarda queste…
Ma no, nessuna luce qui penetra onde
Tu possa vedere le fotografie che ho nel portafoglio. Comunque,
Cercherò di dirti tutto quello che mi è capitato.

Benché come posso, se neanche lo so?

E quanto a te, e a tutto quello che d’interessante
Deve esserti capitato e che
Muoio dalla voglia di sentire…

Ma confideresti a un estraneo che va perdendo i capelli
L’intimo segreto della morte?

*

Vieni,
Schianta la crosta, tu che colpisci
Dal buio, e che afferri – oh, qual
Mano afferri! – il mio cuore, stringa
Il cuore finché, dopo il dolore ne sgorghi
Come da acino d’uva la gioia, ed io
Arroterò i denti su lingua di selce finché
La selce non gridi. La verità
È tutto. Ma

Devo imparare a dirla
Lentamente, in un sussurro.

La verità, alla fine, non si può mai pronunciare a voce alta,
Perché il futuro è sempre imprevedibile.
Ma lo è anche il passato, perciò

Sto sul limitare del bosco e,
Sull’orizzonte nero, lampi da caldo
Increspano il cielo. Dopo
Il lampo, man mano che l’occhio
Si adegua al nuovo buio
Rinascono le stelle.

Nascono ad una ad una.

Robert Penn Warren

Gruppo MAGOG