23 Febbraio 2020

Rimbaud, il Santo che porta all’estremo le contraddizioni dell’uomo. Un saggio di Benjamin Fondane

Ma che Rimbaud possa essere un santo, anche il più indulgente tra noi non lo acconsentirebbe. Un santo! Quel Rimbaud che scriveva: «Merda a Dio!» sui muri della chiesa di Charleville; che, invitato a mangiare da Lepelletier, che aveva da poco perso sua madre, osava accusarlo d’essere un «salutatore di morti», per averlo visto scoprirsi il capo al passaggio di un funerale? Un santo, quel Rimbaud cui fu donata una così elevata intelligenza da un’età molto tenera e che fece tutto il possibile per rovesciarla con un «lungo, immenso e ragionato sregolamento dei suoi sensi»; che fu un cattivo compagno, un cattivo amico, un insubordinato alla legge militare, un declassato e che finì così male, in un letto di ospedale, con una conversione, di cui, il meno che si possa dire, è che non ha niente di edificante? Un santo colui che ha scritto quella cosa ignobile che è l’Accovacciato? Una cattiva vita, cattivi costumi e neppure un testo di pentimento, neppure un testo che testimoniasse la sua ambizione d’essere un santo? Se un tale uomo fosse passato per un santo, non si comprenderebbe più niente sulla santità!

Forse non è del tutto inutile dire che da quando le concezioni religiose, un tempo più o meno esoteriche, sono divenute di dominio pubblico, offerte massicciamente agli uomini che sanno leggere e scrivere, agli uomini che non avevano mai avuto qualità per occuparsene o deliberarne, esse hanno alquanto cambiato aspetto… La Chiesa fu obbligata a passare in altre mani, più efficaci, l’eredità che aveva raccolto del pensiero greco; la Scienza se ne impadronì: lentamente, uno a uno, la ragione abbandonò i suoi paramenti sacerdotali; nuda, si volse contro l’immagine di se stessa, vestita; ritrova sotto la sua nuova forma una nuova potenza, ma senza risposte migliori, senza migliori domande. Ragione contro Ragione, e non Ragione contro Mistica, ecco il fondamento reale della lotta ingaggiata tra Scienza e Religione, tra scienziati e teologi. Essendo la maschera strappata, dove troverà rifugio l’uomo a cui la ragione non può dare soddisfazione? Conosce il vuoto della Scienza, la sua fatuità; ma sotto l’armatura di gesso che l’immobilizza, come farebbe a sapere se, all’interno della Religione, vive il nucleo di una Rivelazione?

Se è vero il rimprovero dello scrittore russo Rozanov, se la Chiesa è la sola a non avvertire la crisi apocalittica che scuote fino alle viscere il tempo presente, è possibile, dunque, che gli esseri che reclutava nel secolo per soddisfare i suoi fini militanti siano attualmente disponibili e che quegli esseri, segnati dalla trascendenza, non potendo prendere coscienza della loro missione, si siano sentiti chiamati verso il solo dominio d’espressione aperto per loro: l’arte, attività minore che trova il suo fine in se stessa, che esaurisce il suo proprio esercizio e la cui impotenza, immancabilmente, li nausea.

Questi avvenimenti, queste sostituzioni, sarebbero possibili? Ecco come Tolstoj immaginava l’eroe di una storia che avrebbe voluto scrivere: «Un giovane uomo. Fa parte di un circolo rivoluzionario. È rivoluzionario, socialista, poi religioso. Monaco sul monte Athos; poi ateo, padre di famiglia, quacchero; comincia tutto, ma abbandona tutto, senza concludere niente. La gente si beffa di lui. Non ha fatto niente e muore ignorato in qualche ospedale. E, al momento di morire, pensa d’aver dissipato la sua vita. Ebbene! È un santo».

Questa sconcertante ma così giusta concezione della santità non sembra poter essere verificata sulla gran parte dei santi conosciuti e onorati come tali. Quanto, per contro, vi s’accosti nettamente quel Rimbaud che all’età di otto anni picchiava un compagno per averlo visto profanare un’acquasantiera; che a diciassette anni è comunardo e ateo, poeta e giramondo; che è «disertore» nell’esercito francese, «arruolato volontario» in quello olandese; che è uno degli ingegni più belli del suo secolo e che se la ride del suo genio; che passa dalle cose dello spirito alle cose del commercio con eguale ardore, con la stessa abilità; si comporta a Parigi con i letterati come un porco, e a Harrar, con i beduini e i negri, come un perfetto gentleman; che passa per essere stato un invertito a Parigi e il sultano di un harem a Aden, ma che detesta l’amore umano in tutte le sue forme, e che finisce per desiderare un focolare, troppo tardi; malato, la gamba amputata, in un letto d’ospedale dove, a credere a sua sorella, si sarebbe convertito alla fede cattolica per liberarsene di nuovo cinque minuti dopo. Rimbaud sarebbe dunque uno dei primi fenomeni del grande ritardo spirituale moderno che fa sì che i grandi temperamenti metafisici, non potendo più trovare posto nel quadro del fatto religioso storico, cadano come frutti troppo maturi nel secolo e invadano il temporale, ignorandosi in quanto portatori d’una ragion d’essere metafisica di cui non prendono più coscienza che attraverso il fatto artistico, nel quale inevitabilmente si tuffano e che finiscono per infrangere con la loro fronte?

Questa purezza suo malgrado e che si ignora, questa purezza esasperata e irragionevole, questa antinomia irriducibile, questa santità controcorrente, questa santità al contrario, sarebbe in fin dei conti la santità? L’umanizzazione di una specie di santità che per avere perduto i suoi attributi divini non fa che portare all’estremo le sue terribili contraddizioni, sprofonda nella follia e non apparirebbe che a uomini agli antipodi del prestigio, dell’autorità? L’uomo onesto, oggi, sarebbe forzosamente la canaglia?

La storia letteraria, erede di tante tenebre dopo la morte di Dio dovrebbe, più spesso di quanto non si pensi, essere considerata alla luce di tale idea.

Benjamin Fondane

*Il testo qui riprodotto è estratto da: Benjamin Fondane, “Rimbaud la canaglia”, Castelvecchi, 2020

**In copertina: Rimbaud ad Harar, nel 1883 (forse)

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