27 Marzo 2018

Quando ho cominciato a prendere sul serio il mio didietro… Avventure disperate di una faccia da c**o

Sono un essere amorfo, un inetto, un inutile ammasso di carne. Quante occasioni ho perso perché non sono stato in grado di prendere una decisione. Tanti treni sono passati, mentre ero impegnato a contare i minuti. A furia di sentirmi dire “Tutto è già stato detto, tutto è già stato scritto, non c’è più niente da dire, non c’è più niente da scrivere. Nulla ha più senso.”, ho finito per crederci e così mi sono limitato a esistere. È solo che, se ti limiti a esistere, poi la testa potrebbe esplodere. L’alternativa sarebbe non pensare affatto. Tentare di non pensare è l’unica formula sostenibile. Purtroppo, non è alla portata di nessuno. Dovevo escogitare allora un modo per non soccombere al mio pensiero. E così, un giorno, ho cominciato ad ascoltare il mio culo. Certe sere, per non cedere alla mia coscienza, registravo ciò che il mio sfintere aveva da dirmi. I primi tentativi sono stati disastrosi. La sua lingua non era facilmente traducibile e se mi sforzavo rischiavo che mi venissero le emorroidi. Ancora oggi, quando non ci capiamo, mi minaccia con piccole ragadi. “Del resto”, mi dicevo, “le incomprensioni sono normali in qualsiasi coppia. Il nostro è un rapporto aperto. La poligamia per noi non è un tabù, anche se a volte mi sembra che abbia degli scatti di gelosia.” Più di una volta è capitato, ad esempio, che per ripicca, durante l’atto sessuale, il mio culo cominciasse una sorta di rivolta anale a suon di flatulenze molto sgradevoli, che potevano addirittura portare a copiose scariche di diarrea, con il risultato di una fuga immediata di qualsiasi donna che non fosse coprofaga.

Sono arrivato a pensare che la coscienza sia il male minore e che, sopprimere il proprio pensiero in favore dell’ano, sia stato un grosso errore. Ho provato allora a tornare alla condizione iniziale di povero disgraziato dal pensiero soffocante. Ma il mio culo proprio non ne voleva sapere di lasciarmi. E così, preso dal rimorso e dalla rabbia, ho deciso di correre ai ripari e andare da un medico specialista: un proctologo.

«Ha il colon irritabile», mi ha detto il dottore. «Adesso le prescrivo degli anticolinergici e antispastici.»

«Dottore, io desidero che lo asporti.»

«Vuole davvero che le faccia una colostomia solo perché è irritato?».

«Non è solo irritato, dottore. Il mio ano è proprio collerico. La sua è un’ira funesta peggio del Pelìde Achille.»

Il dottore mi ha fissato e ha riso come un ossesso.

«Lei è molto simpatico. Non voglio crederle, altrimenti dovrei richiedere un consulto psichiatrico, ma non penso sia il caso, vero?».

«Forse è il mio culo che ne ha bisogno.»

«D’accordo, d’accordo. Lei è molto simpatico. Assuma questi farmaci e vedrà che starà meglio.»

E, senza che io abbia potuto replicare, ha strappato la prescrizione e mi ha accompagnato gentilmente all’uscita.

Mentre uscivo dallo studio, ho pensato che l’attesa è la virtù dei forti e che se c’è una fine per tutti ci sarà anche per il mio culo. In fondo, Confucio insegna.

Sono corso a casa con la consapevolezza che tutto avrà una fine. Mi sono diretto nel bagno, abbassato i pantaloni e fatti miei gli insegnamenti di Confucio.

Seduto sulla tazza del cesso aspetto. Un giorno, vedrò cadere il cadavere del mio nemico.

Marco Nutricula

 

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