08 Giugno 2018

“Praticano l’ordine del meraviglioso”: discorso sulle belle addormentate di Francesco Netti

Non c’è alcuna paura nel guardarla. La morte scompare così. Gli intagli del volto tolgono d’impaccio l’estinzione, il solo corpo che poggia su ricche stoffe, disperde le tenebre posticce. Così dovremmo sciupare la vita, contro i giorni insensati e umilianti, non trovo altro inganno perché l’ago del sismografo oscilli: lei mentre dorme.

Francesco Netti, pittore di Santeramo in Colle, con indelebile influsso tardoromantico, sul finire dell’Ottocento, compone una serie di opere orientaliste, volte a raffigurare l’incoscienza del sonno. Durante il soggiorno in Oriente, a Costantinopoli, prepara diversi studi, schizzi e bozzetti, perché di ritorno a Napoli, nel suo atelier adibito a stanza esotica, potesse rappresentare meticolosamente la modella e tutto l’ambiente assorbito in viaggio, fecondo di colori e luminosità.

L’importanza al quadro denominato La siesta (coll. Pinacoteca Prov. Bari), è data dal continuo avvicendarsi tra il 1883 e il 1884 di un’opera dentro un’opera: posizioni del corpo, scenografie, declinazioni chiaroscurali e risalti stilistici, fanno sì che la genesi comporti più d’una di evoluzioni pittoriche, di crescente complessità.

Il primo segnale del capolavoro è impresso su di un bozzetto, intitolato Studio per «La Siesta » (coll. Piancoteca Prov. Bari), seppur embrionale, risulta di per sé autonomo, per l’attenzione rivolta al motivo delle piante, il rigoglioso banano acquista un certo spazio nella narrazione indolente, dominano sull’interno alcuni sintomi arabeggianti come una colonnina e tre diverse conformazioni di grate, che nella versione finale, saranno sostituite dal sontuoso tappeto a muro. Ma la figura della donna è ancora da ricercare, distesa sul divano è senza volto, e proprio questo particolare finisce con il prevalere su tutto il dipinto.

Malgrado l’animosità, la tensione data dal cuscino piegato in due, su cui poggia il capo femminile, risulta più incisivo il profilo annebbiato, non detto, il braccio destro alzato che rasenta la parete ombreggiata, nel suo lascivo grado di apertura, compie un gesto d’abbandono, superiore a qualsiasi elemento decorativo. L’avventura pittorica si insegue intensamente, a renderla più sontuosa e sfacciata è un ennesimo studio preparatorio per La siesta, intitolato Nuda sul Letto (coll. Pinacoteca Prov. Bari), ambasciata sensuale di curve e lineamenti, a tal punto da domandarsi in quale momento si estingue l’innocenza e in quale altro nasce il crepitìo del sorriso felino. Gli occhi chiusi ma incolonnati nel sogno strozzato, illusi nel trattenere residui alterati, le braccia che si stirano, l’ombelico una tenue mezzaluna, i pugni serrati per spremere l’ombra, lo sguardo va a brillare sui seni che paiono confetti, la schiena si snoda sullo sfondo dorato di un paravento giapponese. Esso illumina la giovane donna che fa del suo regno l’indugio, fra le lenzuola, in un letto tramortito.

Francesco Netti
Le opere di Francesco Netti (1832-1894) sono alla Pinacoteca di Bari

Un altro quadro da collocare nell’architettura del significante della Siesta, è la Ragazza assopita (coll. Polo Museale, Conversano), che ci consente di ammirare con supremo silenzio le indecifrabili pulsioni del sogno; planando su queste labbra pendule, osiamo immaginare la chiarità del respiro. La tonalità del blu della tenda trasmigra con balzo inavvertito sul nastro della camicia, impreziosita di merletti.

In questi accenti di innocente grandezza, lo stato di tepore rivelatosi sulla testa reclinata di lato, assume uno statuto speciale, riscrive la storia della seduzione, nella piena attività dell’assenza. L’opera de La siesta invece, presenta una scena rigorosamente apparecchiata, da sinistra troviamo una specie di serra con piante rampicanti ed edere, ridimensionata rispetto al primo lavoro, tra suppellettili vari, poggiati sui bassi arredi iridescenti, troviamo bicchieri e teiere, nella composizione poi primeggia il sopracitato Herekè, tappeto a muro di rara fattura. Al centro appare la giovane donna sospirante sul sofà – da notare la fine bordatura rossa su sfondo nero – con la bocca semiaperta e le trasparenze cremose che le attraversano nel sonno, non smuovono affatto l’involontaria compostezza. Il caldo del primo pomeriggio attanaglia l’aria, restringe e dilata il tempo come un elastico rovente, la libertà di non accorgersi del mondo respinge l’azione, vista come forza volgare. Cosa dunque sta accadendo a tutte queste donne disabitate dalla frenesia? Praticano l’ordine del meraviglioso, tenendo sospese le labbra come una premonizione; spostando di poco, coi piedi, il lembo delle lenzuola, e questi esercizi inconsapevoli ci obbligano ad ammettere che nell’intelligenza dei loro corpi, saremo perduti totalmente, senza che il tempo possa interferire con il più antico dei poteri: quello del rapimento. In verità, la figura che più si spoglia (del desiderio) o che non è del tutto coperta (dal pudore), è lo spettatore stesso che fissa le dolci addormentate: lo sguardo ipnotizzato ammette la propria incompiutezza, se dovessimo pronunciare la frase «Io desidero», non sarebbe l’anticamera della copulazione, bensì l’affermazione di una realtà vicina; si è vivi solo nello straniamento, nelle gote accese che anticipano il loro risveglio, così le vediamo immobili e danzanti, e ci basta.

Augusto Ficele

 

 

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