09 Gennaio 2021

“Sono povero, ma sono me stesso! Assolutamente me stesso! L’uomo senza concessioni!”. Storia di Peter Altenberg, il dandy che scrisse un’opera su fogli volanti

Peter Altenberg, pseud. di Richard Engländer (Vienna 9 marzo 1859, ivi 8 gennaio 1919) è una figura fondamentale per la nascita del primo modernismo viennese. Era più consueto incontrarlo nei cabaret e nelle sale da caffè, che non negli studi giuridici o nelle sale d’ospedale, dove lo avrebbe voluto la famiglia, ebraica, di estrazione borghese. Aveva scelto quasi senza decidere quella vita bohémien, in quel luogo, Vienna, che era già il centro della cultura e delle arti del nuovo secolo.

La forza della sua scrittura si celava dietro una lieve calligrafia femminile; singolare anche il suo aspetto, l’abbigliamento che lo caratterizzava, lontanissimo da machismi e rudezza: cappello a larghe tese, mantellina e sandali. Eppure influenzò la nascita del primo modernismo a Vienna. Contemporaneo di scrittori e musicisti che avrebbero cambiato la cultura europea, Karl Kraus, Gustav Mahler, Arthur Schnitzler, Gustav Klimt e Adolf Loos, al quale lo lega una profonda amicizia, oltre a Polgar e von Hofmannsthal. Proprio quest’ultimo e Kraus riconoscono immediatamente la grandezza, intuiscono il genio di Altenberg lasciandone anche una testimonianza documentata.

Poeta, aforista, redattore di una fittissima corrispondenza, raggiunse una certa notorietà dopo la pubblicazione di un libro che raccoglieva frammenti e osservazioni sulle donne e i bambini nelle loro attività quotidiane, che osservava dai tavoli del caffè che frequentava abitualmente. Questo era per lui un vero e proprio spazio di lavoro e scrittura, tanto che spesso si faceva consegnare la corrispondenza. I detrattori lo considerano per questo ‘un poeta da caffè’, tacciandolo di alcolismo e dipendenza dalle droghe, non è però trascurabile la componente antisemita di queste critiche. I numerosi estimatori invece ne sottolineano la grande creatività e la capacità di osservare la natura e le donne, con fine senso estetico. Notevole la sua collezione di ritratti e fotografie con soggetti femminili. Non raggiunse mai un vero e solido successo, anche per la scelta di raccontare per frammenti, pagine sparse di un’opera che seguiva il tempo e talvolta ne precorreva i modi letterari. Una discreta fama ed altre qualità umane gli concessero però protettori e amici generosi, che pagavano i suoi pasti, lo champagne e spesso anche l’affitto. Riusciva però a non esser mai in debito con loro, ripagava con lo charme e il grande talento la sua cerchia, che era sempre pronta a godere del suo spirito e dell’arguzia finissima.

Il compositore Alban Berg traspose in musica alcuni suoi componimenti e aforismi scritti sempre su foglietti ‘volanti’ e sul retro di cartoline. Il brano, eseguito per la prima volta nel 1913, venne interrotto e causò vivaci proteste all’epoca. La prima rappresentazione integrale avvenne solo nel 1952. Considerato l’archetipo del bohémien, le sue opere risultano di difficile reperimento, perdute in biblioteche e collezioni private. L’unica traduzione italiana, di rilievo, risulta essere l’edizione Adelphi di Favole della vita, del 1981. La scrittura di Altenberg, che rifugge l’organizzazione e la sequenza, che è composta da frasi fulminee, appunti felici su carte di fortuna, non ha aiutato nel rendere concreto il suo progetto letterario. Davvero i suoi libri sono raccolte di pagine fluttuanti che lasciano le sue mani ma non si perdono nel vento e nel buio della dimenticanza, diventano volume e letteratura nonostante il frastuono. Le sue parole sono osservazioni precise in uno spazio definito. Raccontano un luogo abitato dalle anime che Altenberg coglieva nei suoi vagabondaggi oppure seduto nei caffè viennesi dove la vita scorreva, e scorre. Dinnanzi a lui recita quel mondo unico con i suoi personaggi raffinati e multiformi, eternamente giovani. I protagonisti delle sue pagine sono giardini e parchi cittadini, suoni lontani o rarefatti, i dialoghi dei vetturini, le ballerine, le sagaci e salaci prostitute, i bambini e le donne affascinanti. La sua scrittura ridisegna questo universo senza smarrirne luci e bassezze, splendori e vivacità, con un tocco sempre riconoscibile ed eternamente giovane. Altenberg è perdutamente innamorato della vita e la sua scrittura affascina anche oggi, per quel tocco di irriducibile infanzia. Del resto Hofmannsthal lo aveva avvertito: «Sentirsi bambini, comportarsi come bambini è l’arte commovente degli uomini maturi».

Gilberto Gavioli

Gustav Jagerspacher, Ritratto di Peter Altenberg, 1909

Di seguito alcuni brani da: Peter Altenberg, Favole della vita, Adelphi, 1981.

Motto

Non dare a te e ad uno il bene che trovasti sul tuo

             difficile cammino – dàllo a tutti!

Perché dal tuo misero peregrinar terreno

l’uno o l’altro trovi chiarimento!

Abbandona la vile cautela di aprirti ai cuori di chi la

pensa come te

sii forte, lancia il tuo bene nel mondo!

E se di lontano un’anima tenera

trema al verbo che hai annunciato all’Universo,

allora il fremito di quell’anima dolce e delicata

giungerà fino a te attraverso i mondi!

Non dare a te e ad uno il bene che trovasti sul tuo

difficile cammino – dàllo a tutti!

Perché dal tuo misero peregrinar terreno

l’uno e l’altro trovi chiarimento!

Artista? Poeta? Mania di grandezza!

Ciò che di stra-vagante hai vissuto, trasmettilo agli

estranei, perché ne parte-cipino!

Così agisce la sacra legge delle solidarietà organiche.

Lasciali parte-cipare!

Ma Arpagoni del proprio essere sono gli altri,

che percorrono la loro strada con perfida discrezione!

Quelli non possono parte-ciparsi.

Essi si abbisognano per sé e sono muti!

Essere indiscreti! Tras-missione, ri-velazione e

dis-velamento!

Essere specchio delle cose intorno!

Ma per questo c’è bisogno di forza e d’amore.

Forza per capire con calma nella ressa quotidiana.

E amore, per far penetrare in sé l’estraneo

una volta staccati dal proprio essere!

Essere specchio delle cose intorno!

Ciò che la vita mi offre, lo restituisco ai vivi

per concludere così il ciclo della vita dello spirito!

*

Autobiografia

Sono nato a Vienna nel 1862 (in realtà il 9 marzo 1859). Mio padre è commerciante. Ha una caratteristica: legge solo libri francesi. Da quarant’anni. Sul letto è appeso un meraviglioso ritratto del suo dio «Victor Hugo». La sera siede in una poltrona rosso scuro, legge la «Revue des deux Mondes» e indossa una giacca azzurra con ampio bavero di velluto à la Victor Hugo. Davvero, al giorno d’oggi di idealisti come lui non ce ne sono più. Una volta qualcuno gli domandò: «Non è orgoglioso di suo figlio?!».

Lui rispose: «Non mi sono sentito mortificato perché egli per trent’anni è stato un fannullone. Così adesso non mi sento onorato per il fatto che è diventato un poeta! Gli ho dato la libertà. Sapevo che era un gioco d’azzardo. Avevo fiducia nella sua anima!».

È vero, o padre di ogni altro più nobile e stravagante, ho abusato a lungo del tuo divino dono della libertà, ho amato ardentemente nobili e non nobili signore, ho bighellonato nei boschi, ho fatto il giurista senza studiar legge, il medico senza studiar medicina, il libraio senza vendere libri, l’amante senza sposarmi mai, e da ultimo il poeta senza scriver poesie! Sono infatti poesie le mie piccole cose?! Niente affatto. Sono estratti! Estratti di vita. La vita dell’anima, così come quella di ogni giorno, concentrata in due o tre pagine, liberata del superfluo come il manzo nella caldaia di Liebig! È affidata al lettore la facoltà di sciogliere di nuovo questi estratti con le proprie forze, trasformarli in brodo commestibile, farli ribollire nel proprio spirito, renderli insomma fluidi e digeribili. Ma ci sono «stomaci intellettuali» che non tollerano gli estratti. Tutto rimane lì, pesante e corrosivo. È gente che ha bisogno di brodo al 90 per cento, di molta acquosità. Con che cosa dovrebbero sciogliere gli estratti? Forse «con le proprie forze»?!

Così ho molti avversari, «dispeptici dell’anima», insomma gente con la digestione difficile! «Spuntarla» è tutto per l’artista. Persino spuntarla con se stessi! E poi, di questo sono convinto: Ciò che si «tace saggiamente» è più artistico di ciò che si «esprime loquacemente». No?! Sì, io amo il «metodo abbreviato», lo stile telegrafico dell’anima!

Vorrei descrivere un uomo in una frase, un’esperienza dell’anima in una pagina, un paesaggio in una parola! Punta, artista, mira, fa’ centro! Basta. E soprattutto: Ascoltati! Dai ascolto alle voci che sono in te! Non aver pudore di te stesso! Non lasciarti intimidire da suoni inconsueti! Se sono i tuoi! Abbi il coraggio delle tue nudità!!

Io non ero nulla, non sono nulla, non sarò mai nulla. Ma mi sfogo in libertà e permetto a uomini nobili e condiscendenti di partecipare alle esperienze di questa mia libera interiorità consegnandola alla pagina scritta nella forma più concisa possibile.

Sono povero, ma sono me stesso! Assolutamente me stesso! L’uomo senza concessioni!

Cosa si ottiene in questo mondo?! Cento fiorini al mese e alcuni appassionati ammiratori.

Ebbene, io quelli ce li ho.

La mia vita è stata dedicata allo straordinario entusiasmo per la divina opera d’arte che si chiama «corpo di donna»! La mia povera cameretta è quasi interamente tappezzata di nudi femminili di forma perfetta. Sono tutti incorniciati in legno di quercia e firmati. Sotto il nudo di una quindicenne c’è scritto: «Beauté est vertue». La bellezza è virtù. Sotto un altro: «c’è un’unica indecenza del nudo – – – ritenere indecente il nudo!».

Sotto un altro ancora c’è scritto: «Così ti sognarono Dio e i poeti! Ma i deboli omuncoli inventarono il pudore e ti coprirono, ti misero nella bara!».

Quando P. A. si sveglia, il suo sguardo cade su quel sacro splendore e lui accetta umilmente la miseria e le pene dell’esistenza poiché ha avuto in dono due occhi per assorbire in sé la santissima bellezza del mondo!

Occhio, occhio, immensa ricchezza dell’uomo!

Ma quegli altri fissano la vita, la guardano con gli occhi sbarrati come il rospo la ninfea!

Sulla mia lapide vorrei la seguente iscrizione: «Amò e vide!».

Sì, vivere in estasi interiori, infervorarsi, portarsi a ebollizione, accendersi alle bellezze del mondo, è stato per padre e figlio tutto, tutto!

Ma mentre il vecchio era ancora a contatto con la vita quotidiana o entrava in collisione con essa, il giovane, senza alcuno scrupolo, si tirò subito fuori da quel carcere di doveri.

Sì, sono povero, poverissimo, ma il mio nobile padre mi ha dato una ricchezza che pochi padri concedono con soavità e saggezza ai propri figli: «Tempo di svilupparsi e libertà!». Così la mia anima ha potuto godere senza inganni gli inauditi tesori che la vita ci getta in grembo ogni giorno e ogni ora come perle su una spiaggia solitaria, così la mia anima ha potuto amorevolmente abbandonarsi agli eventi tragici o teneri, e crescere, crescere…

La mia mamma è stata in passato una signora meravigliosa, delicatissima, con mani e piedi nobili, e giunture sottili. Una specie di gazzella. Una volta mio padre portò con sé dall’Inghilterra una stupenda ragazza. E disse alla mamma: «Mia cara, questa è Maud-Victoria; la più bella ragazza d’Inghilterra». La mia mamma vide che essa era davvero la più bella ragazza d’Inghilterra e disse con tristezza: «Dovrà dunque rimanere sempre con noi?!». Allora mio padre si commosse a tal punto che rimandò in patria la «più bella ragazza d’Inghilterra».

Le molte volte che mio padre faceva visita alle mie amate amiche, le ragazze ashanti, regalava loro stoffe di seta, qualcuno disse: «Il vecchio ha ricevuto dal figlio una pesante eredità».

La maggior parte degli esseri umani raggiunge solo in rari momenti della vita il culmine del tono nervoso, delle energie vitali, della capacità emotiva che ad essi è possibile raggiungere. Quando si vestono per andare al primo ballo; quando sfiorano per la prima volta una mano amata; si va a teatro; domattina presto partiamo; lui viene, sta venendo; fidanzamento; denaro inaspettato; la morte di una persona amata. Allora diventano momentaneamente, nel loro intimo, degli artisti, creature esultanti, gementi, frementi di gioia e dolore, esseri che si struggono! Gli artisti invece toccano sempre quei culmini. Ogni cosa li fa fremere, esultare e gemere. Il destino del mondo riecheggia in loro, e chiunque si getti nel Danubio è il loro figlio assassinato! Cinquanta volte al massimo durante la tua esistenza, uomo fiacco e inerte, diventi un sensibile uomo-artista! Quell’altro invece lo è perennemente, fino all’ora della sua morte, è un essere che esulta e geme, che si strugge per poi rinascere!

*

Ingrandimento grottesco

Oscar Wilde scrisse di uno scrittore assassino: «Spero che le emozioni che il signor D. ha provato mentre assassinava la moglie abbiano un effetto purificatore sul suo stile!».

*

Dio pensa nel genio, sogna nel poeta e dorme nella restante umanità.

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Un aforisma è qualcosa che risparmia allo scrittore un saggio esplicativo, ma che, proprio per questo, provoca nel lettore il massimo shock.

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Da Pròdromos, 1906

Alcool

Sono un fanatico antialcolista, ma soltanto nel senso di Tolstoj: Se gli uomini vivranno un giorno in modo davvero sano, saggio, cosciente, se sapranno distinguere con certezza il bene dal male, allora, nella loro geniale sobrietà, potranno rinunciare all’alcool. L’alcool, gruccia del paralitico! L’alcool è il narcotico che non ci fa accorgere quanto ci allontaniamo, vegetando, dai nostri più profondi, ineluttabili ideali! Che non ci fa disperare anzitempo! L’alcool ci lascia il tempo – – – di decidere il suicidio! I soldi spesi in più del dovuto, la donna non amata né adorata e tuttavia stretta fra le braccia, l’ora rubata al necessario sonno, il cibo ingerito in quantità eccessiva, tutto, tutto ciò che non rappresenta il sacro necessario nell’economia dell’organismo naturale deve essere cancellato con l’alcool dalle nostre menti contrite! La malinconia per le nostre colpe, insipienze e debolezze dev’essere spazzata via da birra vino e acquavite! Se bevi un bicchiere di birra ti diventa indifferente la donna goduta senza amore, il denaro speso inutilmente e tutto il martirio dell’esistenza! La birra sconfigge, spazza via gli umori più tetri. È arrivata la bolletta dell’affitto o il conto del sarto. Ma al quarto boccale di Löwenbräu dico in faccia al padrone di casa le ingiurie più orribili, nel mio intimo naturalmente, scaravento giù dalle scale il sarto, sempre nel mio intimo. E persino l’amante si prende un calcio, nel mio intimo. La birra sconfigge ogni amore infelice.

L’alcool colma il terribile abisso fra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere! Che dovremmo diventare! Quando la scimmia si accorse che poteva diventare un uomo cominciò a sbronzarsi, per spazzar via il dolore del suo «Essere ancora scimmia». Quando l’uomo si accorse di poter diventare divino, cominciò a sbronzarsi, per spazzar via il dolore del suo «Essere ancora uomo». Date all’uomo l’attività – spirituale o materiale – che gli compete, la donna che gli compete, il cibo che gli compete, la tranquillità che gli compete – – – e senza accorgersi capirà che «ottima è l’acqua». (Pindaro, Olimpiche, I, 1° verso).

L’alcool compensa le nostre insufficienze! Quanto più sufficienti siamo, secondo i piani di Dio, tanto meno abbiamo bisogno dell’alcool. L’alcool è il metro della malinconia dell’idealista. Bevendo spazzo via il non poter essere ancora divino!

*

Ascensore

Per me l’ascensore continua a essere un «Mistero».

Non sono così stupido da guastarmi il piacere della civiltà moderna con una facile assuefazione ai suoi benefici!

Continuo a sentire il misterioso superamento delle scale, il risparmio di energie per le articolazioni del mio ginocchio, per il mio cuore, per il mio tempo, ahimé! niente affatto prezioso, come un che di miracoloso.

La porta del mio ascensore si chiude lentamente da sé, cosa che certamente risulta fastidiosa per la gente che arriva con pacchetti o cestini, mentre per uno scrittore è piuttosto gradevole.

Non so a quale sorta di macchinario è appeso il mio ascensore. Apprendo solo a volte dal portiere che oggi qualcosa non funziona del tutto o che c’è l’elettricista. Non capisco tuttavia né quale catastrofe sia in atto né cosa sia un elettricista. Entrambe le cose sembrano comunque collegabili con l’eventualità di un pericolo mortale.

Orribile è trovarsi in ascensore con un estraneo. Ci si sente obbligati a far conversazione e si pensa spasmodicamente di piano in piano a qualcosa da dire. Un imbarazzo e una tensione come all’esame di maturità. Il viso assume un’espressione di rigida fissità. Alla fine si dice: «I miei rispetti!» col tono di chi ha stretto un’amicizia per la vita.

Perciò, per evitare tutte queste seccature, non torno mai a casa prima delle sei del mattino. Quando l’ascensore non funziona ancora.

Peter Altenberg

*In copertina: Peter Altenberg, a destra, è con Adolf Loos

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