30 Aprile 2019

“Prego il Padre Eterno affinché faccia vivere Adriano Celentano più a lungo di me e mi risparmi di vedergli intitolare piazza Duomo”: Patrizia Valduga parla del suo ultimo libro con Matteo Fais

Da tempo aspettavamo il suo ritorno sulla scena letteraria. Ogni volta che Patrizia Valduga pubblica un libro si tratta sempre di un’opera in grande stile che, nel bene o nel male, segnerà la poesia italiana. Lei è una delle poche a riuscirci, a marcare un punto fermo in questo sempre sfuggente e inafferrabile panorama. Non parlarne sarebbe stato impossibile, come rifiutarsi di assistere a una delle sue letture pubbliche in cui frotte di persone si radunano quasi si trattasse di un evento religioso. E così, dopo sette anni di silenzio, ecco arrivare Belluno, sempre per Einaudi, ma questa volta in un volume fuori collana, invece che nella ‘Bianca’ che fino a oggi aveva ospitato i suoi lavori. Il testo, che ha la forma di una raccolta di quartine – come sappiamo tanto care alla poetessa –, presenta come ogni scritto uscito dalla penna della Valduga aspetti insoliti che abbiamo voluto indagare interrogando l’autrice stessa.

Cominciamo dalla faccenda del titolo. Mi pare che il libro, al netto di una incontestabile unità stilistica generale, affronti diversi argomenti. Perché concentrare questo magma tematico sotto il nome di una città, Belluno?

Si intitola Belluno perché è stato scritto a Belluno, dove ho vissuto dai sette ai ventotto anni, perché racconta le mie giornate estive bellunesi e racconta, soprattutto, le montagne bellunesi, che conosco solo da lontano, che vedo dalla mia finestra… I loro nomi diventano una sorta di filastrocca apotropaica, una litania, qualcosa di sacro e protettivo.

Vorrei parlare di questa abbondanza di riferimenti, dal Dreyer di La parola a Flaubert, passando per Da Ponte. Il tuo editore scrive in quarta di copertina che in molti dei personaggi citati è Raboni che si “sdoppia” e “risdoppia”. Potresti spiegarmi meglio questo concetto?

Johannes, Don Giovanni, Giovanni… Mi vengono in mente dei versi di Raboni: “Johannes fuit hic” e “In nessun luogo, mai, tanti Giovanni”. Mi rendo conto adesso di averlo citato, e di aver quasi tradotto il primo verso, nella quartina di p. 33: “Questa piazza piaceva anche a Giovanni”, e poi “È stato qui”: fuit hic. Forse Johannes e Don Giovanni, entrambi molto amati da Raboni – intendo Dreyer e Mozart-Da Ponte – sono venuti come emissari in mio soccorso: il primo a resuscitarmi, il secondo a farmi un po’ di compagnia, e anche a prendermi un po’ in giro.

Spesso citi il tuo nome nei versi: non è vagamente azzardato? Entrando a gamba tesa tra le righe non si finisce per dipingersi come dei personaggi?

Cosa vuole dire “tra le righe”? Io vorrei proprio sapere perché si chiede solo a me un certificato di autenticità della mia poesia. Ma la verità in poesia non esiste se non in senso estetico! Ti ricordi quel sonetto di Vallejo in cui dice: “César Vallejo ha muerto, le pegaban / todos sinqueélleshaganada»? «César Vallejo è morto, lo picchiavano / tutti senza che lui facesse niente”. Non sarebbe da cretini domandarsi: come fa a dire che è morto se sta scrivendo? e davvero lo picchiavano? Questo sonetto è bellissimo, e perciò è vero.

Ci sono dei passi del tuo poema che, si potrebbe dire, sono piuttosto duri sul piano politico. Insomma, non le mandi a dire (“Di tutto quello che succede al mondo/ cosa pensano quelli del PD?/ Me lo domando, sì, e mi rispondo/ che non può andare peggio di così”) e diventi anche piuttosto aggressiva (“Capetti del PD, vi maledico!”). Non che sia la prima volta in cui attacchi un partito, o un uomo politico – la Lega e Berlusconi lo sanno bene –, ma a cosa dobbiamo tanta acrimonia verso la Sinistra?

Ma quale acrimonia… è disperazione, esasperazione, perché è più aspra, più inasprita la mia delusione. Ma continuerò a votare PD, perché io voto per un ideale, non per delle persone.

Un altro bersaglio polemico, oltre agli scrittori (“Non avete spessore culturale…/ non brillate per altezza morale…/ Vi credete intellettuali, scrittori,/ e conoscete solo i cantautori”), contro cui lanci i tuoi strali è la critica letteraria (“E lo strazio dei pezzi “culturali”…/ Non è più critica, è criticheria…”). Questi critici, insomma, non valgono proprio niente? Dove sta il loro errore e, soprattutto, cosa dovrebbero fare per correggersi?

No, sono sempre quelli del PD a non avere spessore culturale. Mi pare che ormai pochissimi siano in grado di parlare di libri; quanto agli altri è tutto un elogiarsi a vicenda e a vanvera fra giornalisti-scrittori. Hai notato che non c’è più un solo giornalista? Adesso sono tutti giornalisti “e” scrittori, e tutti critici letterari in atto o in potenza.

È quantomeno singolare che, a un certo punto del testo, tu piazzi una lettera al Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, consegnata in data 11 gennaio 2018, e firmata da te e altri “amici” particolarmente legati all’opera di Raboni. Se non ho inteso male, vorreste un centro di incontro in suo nome. A questo punto mi chiedo e, soprattutto, ti chiedo: non è pericolosa per la poesia la commistione con il potere? Non si corre il rischio di affiliarsi, per così dire?

L’ho messa in nota, quella lettera, per disperazione. E non c’è la mia firma. Contavo sull’appoggio del “Corriere della Sera”, ma purtroppo non c’è stato. Cosa potevo fare? E dovrei lasciare che Milano, la sua città, per la quale si è tanto speso, continui a rendere omaggio, intitolare vie e strade a cantautori, presentatori di telequiz, glorie effimere, bolle mediatiche? Quei resti del Lazzaretto, che si trovano nella via dove è nato e che sono pezzo di storia importantissimo, non si possono visitare, non si possono vedere, perché sono le stanze di disbrigo di una piccola comunità di ortodossi che ha piazzato una chiesa prefabbricata davanti alle splendide colonne cinquecentesche del portico, lì dove hanno camminato San Carlo Borromeo, Manzoni e Carlo Porta… Io prego il Padre Eterno che nella sua infinita misericordia faccia vivere Adriano Celentano più a lungo di me, e mi risparmi di vedere piazza Duomo diventare piazza Celentano…

È per questo che la tua ultima quartina è una supplica al Presidente Mattarella?

Sì, è la mia ultima speranza. Sono sicura che sa chi è Raboni: penso che sia una grande persona, onesta, colta e sensibile. Spero ex imo corde che ci aiuti.

C’è qualcosa d’altro che vuoi aggiungere?

Sì. Avrei dovuto fare una nota al verso “Questa piazza piaceva anche a Giovanni”. Avrei dovuto mettere in nota che una delle sue ultime poesie, che si intitola La piazza, è proprio della piazza di Belluno che parla: Mi piace questa piazza. Più è deserta/ e più mi piace. Posso popolarla/ di chi voglio, incontrarci, camminando,/ gli altrimenti introvabili”. Mi addolora molto non averlo fatto.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG