27 Agosto 2019

“Rimpiango lo strapaese, adoro le scelte perdenti, fotografo fiori fuori dal tempo, d'altronde, abitiamo in contesti degni di una poesia di Simone Cattaneo”: la fotografa Patrizia Riccardi dialoga con Matteo Fais

Quale sia il compito dell’arte è faccenda difficile da dirimere, praticamente impossibile. Decidere di raccontare il proprio tempo, o la fuga da questo, è una scelta che attiene alla sensibilità del singolo; così come al fruitore spetta dare la sua preferenza all’uno o all’altro tipo di prodotto artistico.

La fotografia di Patrizia Riccardi (in mostra a Milano dal 12 ottobre, con una serie di immagini di still life aventi come protagonisti i fiori) certamente è orientata per una fuga iperuranica, al di là dello spazio e del tempo. L’autrice, non per niente appassionata di poesia, che cita Alda Merini, Simone Cattaneo ed Eugenio Montale, ricerca una bellezza ormai perduta tra i meandri sporchi della metropoli e decide pertanto di ricrearla in studio. Dà vita al suo sogno e ci chiede di sognare con lei. Ecco, dunque, questi fiori immortalati nel loro massimo splendore, non soggetti alla solita morte celere, quasi a rendere il senso di una meditazione sul Bello che esuli dalla sua naturale e inesorabile caducità.

Viviamo in una società dell’immagine. Dalla televisione, passando per Facebook e Instagram, siamo circondati. Qual è dunque il senso del fotografare oggi?

Non so darti una risposta – credo sia quasi impossibile. Ho iniziato a fotografare molti anni fa, quando ancora non esisteva il digitale, e faccio fatica a comprendere e rincorrere tutte le novità tecnologiche. Tuttavia non ne faccio una battaglia di retroguardia – sarebbe inutile. Ormai la fotografia sta cambiando anima e forse oggi non ha più senso. Si fotografa tutto e il contrario di tutto, condividendo l’immagine all’istante. Per sconfiggere questo delirio ansiogeno, ho molto amato perdere tempo nell’elaborazione grafica, all’interno dell’antico contesto dello studio fotografico, scegliendo lo still life, e ricercando una fotografia pulita, scarna, senza applicazioni, che rispetti i tempi necessari per poter digerire questa orgia di simboli a cui veniamo sottoposti ogni giorno.

In fotografia, direi che il maggiore protagonista è il corpo. Eppure, lo still life conserva ancora un suo spazio. Perché hai scelto questo genere per la tua mostra fotografica?

Hai ragione, il corpo in tutte le sue forme è l’assoluto protagonista della fotografia contemporanea. Ma io, per una mia naturale ritrosia, non amo immortalare le persone. Credo si debba avere un grande talento per andare oltre lo stereotipo “corpo-sex appeal”, o “facciale aldilà del sociale”, senza conferirgli connotati da settimanale pseudo intellettuale.

Mi incuriosisce la tua scelta per i fiori. Il soggetto, come è noto, è stato molto battuto. Penso per esempio a Robert Mapplethorpe che, attraverso questi, trova un’ulteriore declinazione del suo torbido erotismo, insieme ai famosi nudi – spesso, a mio avviso, molto meno eleganti. Che valore hanno simili soggetti nella tua fotografia?

Perché la scelta di fotografare i fiori? Perché i fiori non sono mai mancati nella mia vita. A volte sceglierne uno è stata l’unica gioia di questa “muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia” e decidere di avere una rosa vicino mi ha reso più felice di un viaggio in prima classe.

Patrizia Ricciardi: i suoi fiori sono in mostra a Milano

Perché dei fiori in un contesto, diciamo, borghese, invece che nel loro ambiente naturale?

Non credo, come tu affermi, che si possa parlare di un contesto borghese per i miei fiori. Casomai, sono fotografati in uno spazio asettico, pulito, fuori dal tempo e dallo spazio. Peraltro, dimmi tu dove potrei trovare un fiore in uno spazio naturale, qui a Milano? Una volta volevo fotografare dei soffioni, in un parco, ma l’ambiente circostante era degno di una poesia di Simone Cattaneo e mi sono subito depressa.

Oggi che far vedere le proprie fotografie è così semplice, grazie ai social network, qual è il senso di ricorrere alla formula classica della mostra?

Penso che optare per la scelta della mostra sia molto importante in questo momento. Amo conoscere le persone, preparare le mie immagini, montare le cornici, occuparmi del rinfresco. Amo lo strapaese e lo rimpiango. Non potevo rinunciare a tutto questo. Poi, sono nata fessa e adoro le scelte perdenti.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG