29 Settembre 2020

“Una volta che hai deciso di pubblicare, il marketing e il porta a porta fanno parte del gioco. Devi saper vendere il libro con la stessa disponibilità di un rappresentante di aspirapolvere”. Francesco Consiglio dialoga con Paolo Di Paolo

Oggi, tutti insieme, cercheremo di imparare dove vanno a lavorare le persone. L’operaio? Lavora in fabbrica. L’insegnante? A scuola. Il cameriere? Al ristorante. L’infermiere? In ospedale. Il meccanico? In officina. Queste cose le sanno anche i bambini. Ma prima o poi arriverebbe il momento di chiedersi: e lo scrittore? Eh già! Non c’è nessuno che lo sa. Ci sono scrittori armati di taccuino che prendono appunti alle fermate degli autobus o durante una fila in banca, o all’ufficio postale, o nei bar. Altri che hanno bisogno di un luogo silenzioso e tranquillo dove potersi concentrare, e anche quando sono soli in casa, chiudono a chiave la porta del loro studio. Io appartengo a questi ultimi, e un poco me ne dolgo. Mi piacerebbe essere in grado di scrivere romanzi facendomi ispirare dall’ipnotico ruotare del cestello di una lavanderia a gettone, o inventare storie mentre sto in coda con l’automobile o mangio patatine in un fast food. Ma non ne sono capace, e quindi neanche in grado d’insegnarvi come si fa.

Di questo ho parlato con Paolo Di Paolo, scrittore tra i più importanti della sua generazione, da novembre in libreria con il saggio Svegliarsi negli anni Venti, scritto per Mondadori. E già che c’ero, gli ho chiesto altre cose, futili e meno futili, sul mestiere dello scrittore. Ne è venuta fuori un’intervista che spero apprezzerete.

Esistono scrittori da bar. Li ammiro, ma non li ho mai capiti, perché mi pare impossibile concentrarsi mentre tutt’attorno si agita un’umanità di avventori chiassosi, clienti irritabili dopo ore di bevute o giovani universitari in cerca di divertimento e trasgressioni. Pare che Andrea Pinketts fosse uno di questi strani esemplari. Tu sei capace di scrivere tra la folla, o preferisci chiuderti in casa, nel silenzio, aprire il computer e metterti in attesa dell’ispirazione?

Gli scrittori ‘da bar’ per via di ispirazioni alcoliche sono tanti e anche illustri. Ma non riesco a immaginare di poter scrivere un romanzo mentre intorno c’è chi chiede il quarto spritz. Viceversa, scrivere nella quiete mattutina o del primo pomeriggio in un caffè, come si diceva una volta, ha qualcosa di suggestivo e confortante. Il rischio della posa è altissimo. Ma c’è un meraviglioso testo di Claudio Magris, raccolto in Microcosmi (1997), sul Caffè San Marco di Trieste che mi pare restituisca bene il bisogno di sentire la vita intorno, il crepitio, il chiacchiericcio, la quotidianità che scorre. Anche perché il silenzio di un’intera giornata di scrittura può essere faticoso e deprimente. Detto ciò, un articolo di giornale posso scriverlo – e l’ho scritto – dovunque, in treno, al bar, in pizzeria, in macchina (mentre guidava qualcun altro, naturalmente!). Un romanzo o un saggio no, richiede comunque una certa tranquillità. Spesso, pur di non stare in casa, ho scritto in qualche biblioteca.

Mi ricordo che un’estate, a causa di un improvviso mal di schiena, cominciai a scrivere sdraiato, con il portatile sul petto. Da allora non ho più abbandonato quella posizione di lavoro. Mi consolò in seguito sapere che anche Truman Capote scriveva a letto o sdraiato sul divano. Per lui la posizione orizzontale era necessaria a rilassarsi e raccogliere la propria attenzione sulle parole. Tu preferisci scrivere seduto o sdraiato? Sul letto, su un divano, su una comoda poltrona o su una sedia?

Sedia, tavolo, computer. Non riuscirei altrimenti.

L’avvento della scrittura digitale ci sta privando dei manoscritti autografi degli scrittori contemporanei, delle pagine corrette a mano, delle “brutte copie” che spiegano l’evoluzione di un’opera. Penso con nostalgia ai miei vent’anni e ai pomeriggi trascorsi alla Sala Manoscritti e Rari della Biblioteca Nazionale di Roma. Ore trascorse a emozionarsi.

Lo capisco. Anch’io mi sono appassionato alla filologia d’autore e ho scorso con emozione le carte di Elsa Morante o di Tabucchi. Faremo a meno delle brutte copie, dei brogliacci, della variantistica? Forse. Al Fondo Manoscritti di Pavia si sono attrezzati, e cominciano a lavorare sugli hard-disk. Ma forse, dato il grado di consapevolezza media con cui gli autori oggi scrivono, non sarà così importante ricostruire in futuro le fasi della stesura dei loro – dei nostri – libri.

In una parola, pensando al tuo lavoro di scrittore, ti senti più un violinista o un liutaio, un artigiano di lusso o un artista?

Da lettore, mi piacciono gli scrittori che sono tutt’e due le cose. Artigiani sicuramente, perché si tratta di ripetere un gesto per ore, e di cesellare, di aggiustare. Ma senza il guizzo d’artista mi annoiano un po’, senza l’inquietudine che fa vibrare l’oggetto. Da autore posso dire solo che non mi piace, non mi interessa fare libri in serie. Né, a proposito di pose, vorrei somigliare a quegli autori spensierati e molto compiaciuti, fotografati con la scrivania e la biblioteca sgombra, che sembrano avere appena preso un cappuccino o un caffè americano nella tazza colorata, e che sembrano dirsi, allegrissimi: che bello fare gli scrittori!

Oggi scrivere e pubblicare non basta. Agli scrittori di una volta non veniva chiesto di promuovere il libro, partecipare ai festival, firmare copie o addirittura avere una vita social attrattiva per i lettori. Anche agli scrittori di fama è ormai richiesto di diventare promoter di sé stessi (dei minori meglio non parlare: sono ridotti al rango di venditori porta a porta). Come vivi tutto quello che, partendo dalla scrittura, conduce al marketing?

Pare che J.D. Salinger, in una delle rare occasioni pubbliche dell’ultimo mezzo secolo della sua vita, presentandosi a un processo contro un suo biografo “non autorizzato”, fece una distinzione radicale fra scrivere e pubblicare. Come a dire, sono due cose diverse. Tenuto conto di questo, una volta che hai deciso di pubblicare, il marketing e il porta a porta fanno parte del gioco. Tanto più in un momento storico che concede ai libri uno spazio vitale ridottissimo. Se non vai a venderlo in giro con la stessa disponibilità di un rappresentante di aspirapolvere, e soprattutto se non sei la Ferrante, poi non puoi lamentarti se il rendiconto si ferma – come può accadere anche presso grandi editori – a 286 copie.

Una pagina bianca, la mente confusa e inviluppata nei dubbi, tanta voglia di alzarsi e buttar tutto all’aria. Ha mai sofferto del blocco dello scrittore? Se sì, come l’hai superato?

Se lo scrittore si blocca, non c’è bisogno di correre a sbloccarlo. Vale per me, e per tutti. Se si sblocca, poi vediamo.

Immaginiamo che un aspirante scrittore, o meglio ancora: un amico al quale non puoi dire di no, ti spedisca un romanzo, confidando in un tuo parere. Lo leggi e scopri che è davvero scritto male. Eviti di rispondere, fai il diplomatico o gli dici la verità?

Non riesco sempre a leggere ciò che mi viene sottoposto, e mi dispiace, ma capita anche semplicemente che le cose si accumulino e che si perdano di vista. Cerco, quando riesco, di dare suggerimenti onesti. E di non illudere nessuno. Ma sempre ricordando che la scrittura, e dunque anche la valutazione della scrittura, non sono scienze esatte.

Abbiamo parlato di tante cose, tranne che dei tuoi libri. Quasi mi pento di non averti chiesto cosa bolle in pentola. Vogliamo rimediare?

Non riesco a sfornare un romanzo l’anno, per fortuna. Quindi mi dedico a forme diverse di scrittura (peraltro non sono nemmeno così convinto che il romanzo sia al momento lo spazio più interessante). Credo, con Capote che hai citato prima, che scrivere sia lavorare su una tastiera ampia, misurarsi con diverse possibilità della prosa. A novembre uscirà un saggio narrativo intitolato Svegliarsi negli anni Venti. È una sorta di corridoio spazio-temporale fra due secoli, uno spericolato tunnel da epoca a epoca: da percorrere, più che alla ricerca di coincidenze, di ricorsi, di presagi, all’inseguimento di una verità comunque inafferrabile. Ci sono di mezzo personaggi-scrittori come Mann, Kafka, Brecht, Virginia Woolf, Fitzgerald. C’entra, questa impresa, con il cosiddetto spirito del tempo, che – a seconda dei casi, e delle epoche – può essere uno spiritello, un vento rigenerante, o un ventaccio gelido che annuncia tempeste.

Francesco Consiglio

*In copertina: Truman Capote (1924-1984)

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