13 Agosto 2018

Ora basta farci credere che siamo un popolo di analfabeti e di beoti: Dostoevskij guida la riscossa dei lettori forti! Attenti, mestatori di cultura, noi ci siamo – e siamo intransigenti

Mi fa commuovere e incazzare.

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Ieri, domenica 12 agosto, su Pangea ho pubblicato un brano tratto da un libro di Lev Sestov, Sulla bilancia di Giobbe, in cui il geniale filosofo russo pubblica una viziosa testimonianza di Nikolaj Strachov in merito alla moralità di Fëdor Dostoevskij. Tema generico: autore immenso (Dostoevskij); tema specifico: rapporti tra etica ed estetica, e maldicenze di terzi (la lettera di Strachov); tema bibliografico: Lev Sestov. Insomma, non era un articolo su Cristiano Ronaldo né una ‘tirata’ politica né l’intervista a una che gira porno coi cammelli.

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E ieri era la domenica – lo testimonio – in cui parecchi italiani mostrano le chiappe al sole, preparati orizzontalmente al Ferragosto, la manna dei vacanzieri, lo zenit delle ferie.

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Tutta la comunicazione televisiva, intendo, mostra umani preda del turismo: che s’affaccendano con l’ombrellone o che si affacciano in un museo al solo scopo di godere dell’aria condizionata, dacché è estremo, a quelle condizioni – code di desunudi – godere di altro, di un quadro, ad esempio.

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Ieri, il piccolo igloo di Pangea è esploso. Record di accessi – strano: di solito il sabato&domenica sono giorni di calma piatta – e record assoluto per l’articolo su Dostoevskij. I numeri di Pangea sono assai relativi, perfino irrisori rispetto a Sky o al New York Times, è ovvio. Però. Migliaia di persone – a me ignote – ieri si è nutrita di Dostoevskij. Anzi. Neanche di Dostoevskij. Di un articolo specifico su una particolarità biografica di Dostoevskij. E poi dicono che ci piace soltanto il calcio, il divano (o la brandina, è lo stesso), il rutto libero, le evoluzioni di Chiara Ferragni, il culone di Kim Kardashian o di quelle come lei, la dichiarazione pop del Ministro Salvini. Ecco. Questo mi fa commuovere e incazzare.

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Prima venne la commozione. Sì, io mi meraviglio. Forse perché sono un porco e un esteta del niente. Mi meraviglio. L’essere umano, allora, ha voglia di cose alte, vuole le vertigini. L’essere umano non si accontenta mai. Vuole il meglio. Vuole le ferite e le feritoie. Vuole Dostoevskij. Allora, mi dico, in commozione stratosferica, ingenua, da idiota – mi dico, allora, l’uomo è salvo. Al di là di tutto – crisi di qui, crisi di là, oligarchie finanziarie, politici avvoltoi, violenza patente ovunque, frustrazione a getto di Niagara – l’uomo esiste, c’è, statuario, inquieto, un’asta di luce, è salvo.

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…poi l’incazzatura. Si perché, a questo punto, rovesciando il secchio della maliziosa classifica dei libri più venduti… io voglio piramidi delle Memorie dal sottosuolo davanti alle Mondadori e alle Feltrinelli, voglio mitragliate di Demoni, voglio ‘i Karamazov’ sotto il braccio degli studenti di ogni ordine e grado. L’incazzatura, però, assume un grado ancora diverso. Mi fa incazzare che ci prendano sempre per scemi – basta entrare in libreria e vedere cosa c’è – che rintronano i nostri figli con libri imbarazzanti, che si dia una idea dell’italiano-tipo come di un cretinotto semianalfabeta prono a tutti i vizi, viziato di idiozia. Ora basta, dico. Siamo un mucchio, un mucchio di lettori selvaggi, di adamitici cercatori. Siamo solitari. Non siamo soli. Che lo sappiano, tutti i mestatori culturali, che si sentano osservati. Noi ci siamo – e siamo intransigenti.

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Ricorderete quel brano dei Fratelli Karamazov. Libro nono. Capitolo ottavo. La “creatura”. Cito dall’edizione Garzanti, traduzione di Maria Rosaria Fasanelli. Dmitrij Karamazov, accusato di aver ucciso il padre, sogna. Sogna un paesaggio desolato, disperante, una madre livida di dolore che sorregge il figlio, piccolo, “e il bimbo piangeva, piangeva e protendeva le braccine nude, con i suoi pugnetti, come illividiti dal freddo”. Dmitrij, ‘Mitja’, è preso dalla foga folle di voler estirpare il male, “Perché questa gente è così povera? Perché è povera quella creatura? Perché la steppa è così brulla? Perché non si abbracciano, perché non intonano canti di gioia, perché si sono così anneriti per la miseria nera?”. Dmitrj sa che “le sue domande sono irragionevoli e prive di senso”, eppure se le pone, “con tutta l’impetuosità dei Karamazov”, e quegli interrogativi che riguardano il male e il dolore, l’irragionevole e l’irredento, lo colmano di “un senso di pietà che non aveva mai provato prima”. Commozione e incazzatura. Eccoci. Soltanto le domande impossibili, senza appiglio, sature di senso, assurde, sono quelle che bisogna porre. (d.b.)

 

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