11 Marzo 2019

Oggi Giovanni Nadiani compirebbe 65 anni. Tanti auguri al Jimi Hendrix della poesia romagnola. Due lettere per l’aldilà e una silloge di haiku

[In “Beyond the Romagna Sky”, raccolta del 2000, probabilmente, è riassunto, in vigore simbolico, il genio di Giovanni Nadiani: haiku scritti in dialetto di Romagna, con titolo in inglese, in ritmo blues. Dal Giappone dei monaci appesi all’erba di un verso alla profondità Usa, tra Woodstock e l’autostop in cieli di violenta utopia; al centro, al cuore della questione, la Romagna ruvida, livida di danze, speziata. Giovanni Nadiani da Cotignola, che oggi compirebbe 65 anni, “un manovale di parole”, diceva lui, che se ne è andato nel 2016 dopo tante vite, di poeta e traduttore, fondatore di riviste e insegnante, cantautore di speranze, è una specie di Jimi Hendrix della lirica romagnola. “È possibile una poesia dalla nominazione feriale e bassa, di pensiero presente e critico che, affermando la continuità della memoria contro il propagandato oblio della storia, si confronti con le stridenti contraddizioni dell’oggi? Una poesia che, dando vita a una polifonia di lingue e suoni, suggerisca utopisticamente la possibilità di una convivenza nella diversità di una koinonia, di una fratellanza in un’alterità che ci sottrae la nostra proprietà soggettiva per un dato (donato) oggettivo più grande?”, si domandava. Noi sventoliamo la sua opera in faccia all’indifferenza, con un piccolo omaggio, nella forma di due lettere scritte da compagni di avventure culturali di Nadiani. La prima è una lettera dello scrittore spagnolo David Castillo, poeta, romanziere – CartaCanta ha pubblicato il suo “Barcellona non esiste” – di cui Nadiani ha tradotto una antologia poetica, “Un presente abbandonato”, nel 2006. L’altro è un ricordo epistolare di Mercedes Ariza, traduttrice dallo spagnolo, che di Nadiani ha tradotto, in Spagna, la raccolta “Invel/Ningún sitio”, 2010]

 ***

“La morte non vince mai: sul mio amico alchimista per cui il cancro era l’ultimo dei problemi”

Gli ultimi mesi (o anni) di corrispondenza con Giovanni Nadiani Zvan non sono stati per nulla facili. Spesso mi svegliavo e pensavo a lui, alla sua resistenza solitaria con la notte nel letto della sua casa di Reda che dava su un cortile in cui c’era una specie di installazione-scultura formata da libri all’intemperie pieni di piccoli insetti. Lo sognavo e mi svegliavo. Subito dopo andavo al mio computer e lo cercavo, a volte con insistenza.

Ogni tanto mi rispondeva:

Questi giorni va tutto di merda. Da tre settimane ormai sono in una clinica, una clinica molto bella dove cercano di aggiustarmi i valori del sangue che mi portano all’assoluta mancanza di forze: astenia totale… Ogni tanto, come ieri, ho la forza di alzarmi dal letto… Oggi va un po’ meglio: ho cercato di camminare all’interno del giardino come riuscivo a fare anche nel parco della clinica mentre chiacchieravo con gli amici. Spero di riacquistare l’energia necessaria per imparare il modo di spezzare le metastasi che bloccano le vie biliari, che per il momento sono il principale problema per cui sono qui. Durante il mio soggiorno nella clinica ho già fatto tre radioterapie molto tossiche che mi hanno prosciugato le energie. Se miglioro un po’ potrò uscire da qui e impiegherò il mio cervello con la minima lucidità. Abbraccione.

Durante le nostre conversazioni pomeridiane al telefono mi ripeteva che non voleva dare troppe spiegazioni in università e men che meno voleva accettare il congedo per malattia che gli proponevano i medici. Quasi nessuno sapeva che il tumore lo stava divorando. In un ennesimo esercizio di coraggio, che tanto lo univa alla Spagna, Zvan si concentrava sulla sua famiglia e sulla bicicletta. Durante uno dei miei viaggi in Italia, Guido Leotta, suo amico e socio di Tratti, mi avvisò che era ormai alla fine – Guido sarebbe morto di un infarto prima di Zvan. Quando arrivai a Reda, il mio amico mi spiegò che la sua terapia era fare su e giù per le montagne attorno. Anche in un altro suo messaggio alludeva ai trattamenti a base di chemioterapia e bicicletta:

Sfortunatamente gli effetti collaterali adesso sono più forti rispetto al periodo della terapia (neuropatie alle mani e ai piedi e problemi all’intestino). Devo avere pazienza. Oggi cercherò di andarmene qualche giorno in montagna (Sud-Tirolo), prenderò il treno. In un primo momento volevo andare da solo ma visto che i ragazzi non possono ritornare qui, me ne andrò con Inge. Vediamo cosa succede nel viaggio.

I farmaci e il cortisone non erano gli unici argomenti di conversazione. C’erano i dischi e i libri, la situazione economica della nostra bohème e i problemi del lavoro. Nonostante fosse in una situazione così fottuta, per il mio amico il cancro era il minore dei mali. Le sue preoccupazioni erano tre: 1/ la morte di Guido Leotta che sancì la scomparsa della casa editrice Mobydick e la cooperativa Tratti, oltre a quella del gruppo di jazz in cui lavoravano insieme. 2/ i tanti debiti e la mancanza di serietà di un editore con cui aveva avviato grandi progetti editoriali. 3/ il comportamento della sua università nei confronti di una delle sue collaboratrici.

Queste tre preoccupazioni e la salute dei membri della sua famiglia formavano un cocktail micidiale nel suo già deteriorato morale.

Non ci furono solo brutti colpi. Qualche giorno riusciva persino a mandarmi messaggi di ottimismo, addirittura col suo peculiare senso dell’umorismo, imprescindibile per leggere il migliore Nadiani. La sua opera era un insieme di asseverazioni sulla comunità, la suggestione e i limiti tra realtà e irrealtà. Durante una delle mie visite a Forlì, Zvan era euforico perchè Bob Dylan si esibiva a Bologna. Non siamo riusciti ad organizzarci per andarci ma di notte, mentre io già dormivo, Zvan mi chiamò. Era nel bar sotto il mio albergo e mi portava alcuni libri nuovi tra cui, Anmarcurd, un omaggio a Fellini, con una citazione iniziale in yiddish del tutto rivelatrice: “Mai sopravvivere alla propria lingua”. Era il 2015 e la sua malattia era progredita. In alcuni momenti fu sul bordo dell’abisso, in altri credette di essere guarito. Abbiamo bevuto qualcosa e mi spiegò un sogno che aveva fatto e di cui era stato stregato perché era da molto che non scriveva poesie. Aveva sognato alcune poesie scritte in un taccuino. Al risveglio trovò il taccuino del 2011 con quindici poesie dimenticate che parlavano della sua morte. Quella premonizione e il resto lo lasciarono assorto. L’interpretazione della poesia e della sua creatività andavano oltre la vita. Per questo motivo ho pensato che fosse utile scrivere queste parole sul mio amico alchimista. Se ci dedichiamo all’arte è perché, probabilmente, c’è una ragione nascosta di resistenza di fronte all’oblio, di fronte alla morte eterna.

David Castillo

*

Forlì, 11 marzo 2019

Ciao Giovanni,

auguri. Oggi è il tuo compleanno. 65 anni. Giorni fa ti ho sognato: mi parlavi, mi chiedevi, mi ascoltavi. Bello parlare con i morti: loro ti ascoltano, non hanno fretta, non fuggono, ti ascoltano e lo fanno pazientemente. A giugno ho visto David a Barcellona: gli amici del Ateneu Barcelonès sono rimasti stregati dalla magia dei tuoi versi. Ci sei mancato un sacco. Nessuno è stato capace di leggere il tuo dialetto, nessuno. Con Invel/Ningún sitio tra le mani, pensavo a te quando mi avevi proposto di tradurre le poesie in spagnolo. Una pazzia. Una assurdità. Ma non per te. Ci hai sempre creduto e ci siamo riusciti.

Oggi, per festeggiare il tuo compleanno, ho deciso di riprendere i tuoi haiku in romagnolo. Fantastici. Cristallini. Lame che trafiggono il nostro presente-assente.

Ti abbraccio forte,

Mercedes

*

Selezione nostalgico-emozionale di haiku in dialetto romagnolo da Beyond the Romagna Sky (Mobydick, 2000)

 

(1)

la sera l’arlùs
‘t la coda d’un jet

un pipistrël intavanȇ
e’ chèsca ‘t l’udòr di’ marugh

 

La sera riluce
nella coda di un jet.

Un pipistrello ebbro
cade nel profumo di acacia.

 

(2)

al luz di semëfar
al s’è mórti töti

int i self service
e’ sbalèna i bancomat

 

Le luci dei semafori
si sono spente tutte.

Nei self service
lampeggiano i bancomat.

 

(3)

la rèzna dal banchin
la s’mâgna i nom inamuré

a l’ôra di viél
e’ cerla i celuler

 

La ruggine delle panchine
divora i nomi innamorati.

All’ombra dei viali
cinguettano i cellulari.

 

(4)

agli urtigh al s’insteca
‘t al carvaj dla stablidura

dal lètar al s’è smarìdi
‘t la memoria d’un desch

 

Le ortiche s’infilano
nelle crepe dell’intonaco.

Lettere si sono smarrite
nella memoria di un disco.

 

(5)

i piset d’arzent tra i livar
i s’mâgna dal parôl ad chêrta

al parôl senza udór ‘t e’ computer
int un balen u s’li mâgna la luz.

 

I pesciolini argentati tra i libri
divorano parole di carta.

Le parole inodori nel computer
le divora in un lampo la corrente.

 

(6)

i zughetul fet d’ lego
i ten lighê insen e’ mond …

a e’ mond u j è dal lengv
ch’al va int i brisul…

 

I giocattoli di Lego
tengono legato il mondo…

Al mondo esistono delle lingue
che vanno in frantumi…

Gruppo MAGOG