25 Luglio 2019

Sia lode a Rutger Hauer, il replicante dagli occhi di ghiaccio che ha recitato “Il battello ebbro” di Rimbaud sotto la pioggia bollente di “Blade Runner”

E dicono, nello stillicidio dei commenti, che la sua carriera, nonostante la folgore iniziale, una specie di Big Bang cinematografico, non sia mai, definitivamente, ‘esplosa’. E allora? Proprio lì, nell’incompiuto, in ciò che poteva e non è stato, nel margine del dubbio, nel senso sprecato, nell’oro fratturato, è il genio. Così, per dire, Robert De Niro, Al Pacino, ‘Leo’ Di Caprio sono soltanto dei ‘divi’, mentre lui, Rutger Hauer è un attore ‘di culto’. Cosa preferiresti?

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La prima apparizione nel 1969, l’ultima quest’anno, in una serie russo-cinese, Vij: Journey to China, tratto dal racconto di Nikolaj Gogol’, Vij, appunto. 50 anni esatti di cinema. Centinaia di film. Ha avuto una vita degna di Joseph Conrad, Rutger Hauer: figlio di attori, nato nel 1944 nell’Olanda occupata dai nazi, a 15 anni lascia tutto e va per nave, poi, prima del cinema, approda in qualche porto, calca il palco della vita dandosi a decine di lavori. Come una specie di Lord Jim, ha attraversato la storia del cinema da vagabondo, da avventuriero.

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Ormai rotto da un certo invecchiamento, Ladyhawke ha segnato un tratto degli anni Ottanta – la fuga in un mondo parallelo. Michelle Pfeiffer, reduce da Scarface, era di una bellezza diafana e indimenticabile; lui, Rutger, cioè Navarre, il guerriero che si trasforma in lupo, come sempre, mostra l’ambiguità del bene, la luce nel male. Quel Medioevo cinematografico fu ricreato in Italia, tra L’Aquila e Parma, Cremona e Massa Carrara, con la fotografia di Vittorio Storaro.

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Il crinale eccelso di Rutger sta tra I falchi della notte e La leggenda del santo bevitore: di una storia filmica cinquantennale sono dieci gli anni indimenticati. Anche meno. Poi c’è quel film. La tratta sull’Everest. Il romanzo cardinale. Blade Runner. Dove, diciamolo, ora, è lui, Rutger, non Harrison Ford, fosforescente di Star Wars, ancora, e sempre, Ian Solo. Solo, più triste.

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Quel volto di imbarazzante ferocia. La rivolta dei perfetti – l’eccellenza che scopre il dolore – l’emozione che sfugge alla tecnica – la macchina arresa all’amare. Rutger guida il riscatto dei replicanti: creati per abuso dagli uomini, schiavizzati – per lavoro e per traffico di sesso –, travolti da ricordi creati per bonificarne la mente (non è lo stesso per noi, umani replicabili?, musiche, film, video che, debitamente instillati, evocano certi sentimenti o altri). Rutger Hauer, cioè Roy Batty, non è il ‘cattivo’, perché la sua causa è giusta, giustificata; è il paladino della causa persa, il Chisciotte cosmico. Provate voi a vivere sapendo che i vostri ricordi sono ammaccati di falsità, laccati di nulla.

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Sotto la pioggia, nello strazio, Rutger Hauer/Roy Batty recita Rimbaud. Il fatale “Teatrs in rain monologue” è una riscrittura fantascientifica del Battello ebbro ed è lì la sua inevitabile forza: è il cuore di diamante del cinema occidentale. “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…”, con quel reiterato, magnetico, “e ho visto…”, ricalca il passo nervoso, nevralgico del poema di Rimbaud. Eccolo: “E ho visto cose che l’uomo ha creduto di vedere!// Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori,/ Illuminare lunghi coaguli viola…/ Ho sognato la verde notte dalle nevi abbagliate…/ Ho seguito, per mesi interi, come mandrie isteriche,/ I marosi all’assalto delle scogliere… Ho urtato, sapete, Floride incredibili/ Che mescolavano fiori ad occhi di pantere/ Dalla pelle umana! Arcobaleni tesi come redini/ Sotto l’orizzonte dei mari, a glauche greggi!// Ho visto fermentare paludi enormi, nasse/ Dove marcisce fra i giunchi un intero Leviatano!”.

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Sia lode a Rutger Hauer, il replicante che ha recitato Rimbaud sotto la pioggia bollente di Blade Runner. Ora potrà ipnotizzare la Dominazioni, “Io ne ho viste cose che voi beati non potreste immaginarvi…”.

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