11 Febbraio 2019

Non esiste più il Festival di una volta, ora è una puntata di “Uomini e donne” che dura cinque lunghi giorni. Altro che la trap: rimpiangiamo i Matia Bazar, Massimo Ranieri, il Renato Zero di “Ave Maria”…

Dall’ultimo decennio a oggi il Festival di Sanremo ricalca sempre più fedelmente certe tendenze musicali e di costume che costituiscono la spina dorsale dell’intrattenimento del piccolo schermo. Sanremo è uno specchio della società, un teatro di frivolezze, la quintessenza dell’effimero e delle debolezze umane, un po’ come il teatro di Brecht. Da prendere con le pinze o sul serio, non importa. C’è la musica ma ci sono anche le mode, le gaffe dei conduttori, i comici, l’orchestra. Per le generazioni che hanno oltrepassato la boa dei trenta Sanremo è stato il paese dei balocchi e dei primi amori a occhi aperti, l’evento che si seguiva per vedere sfilare i vestiti indossati dalle modelle e attrici più belle su quell’alta scalinata, il luogo in cui sarebbero nate le liriche di quella canzone d’amore che avremmo dedicato al fidanzatino delle scuole medie il giorno di San Valentino, magari scritte sopra un foglio bianco strappato dal quaderno dei compiti. Perché Sanremo fa anche un po’ rima con amore, d’altronde arriva sempre poco prima del 14 febbraio. Che bilancio possiamo fare allora dagli anni Ottanta a oggi, ‘noi che siamo alla fine ormai di questa eternità’, come ci diceva Raf trent’anni fa? Appuntiamoci l’indimenticabile, perché senza uno sguardo al passato non si può approfondire la nuova edizione appena conclusa. Sicuramente da riscoprire ancora oggi è l’elettronica di Vacanze Romane dei Matia Bazar, avanguardia dei primi anni Ottanta; guardiamo con emozione su youtube certe interpretazioni assurde di ospiti nostrani, come la coreografia di Re di Loredana con tanto di pancione finto dell’86, né dimenticheremo mai Madonna, i Duran Duran o Whitney Houston tra gli ospiti stranieri. Sanremo per molti è sinonimo di debutto per future glorie soul come Giorgia, che ha cominciato proprio sull’Ariston a farsi le ossa in un’epoca precedente a quella dei talent show. Sanremo ha segnato anche la nascita della stella Laura Pausini, la ragazza della porta accanto che da Faenza ha poi conquistato il Sudamerica.

Ma c’è molto di più, perché Sanremo è il luogo degli artisti destinati all’oblio come i Jalisse e della caduta di alcuni dei, come Mia Martini, perseguitata da maldicenze stupide. A Sanremo si è diventati testimoni di grandi storie d’amore, come quella tra Albano e Romina, possibili flirt come quello tra Jovanotti e Irene Grandi o Mietta e Amedeo Minghi

Insomma, c’era una volta Sanremo, con i suoi frizzi e lazzi, gli artisti che venivano da Hollywood e da Los Angeles, le canzoni d’amore. E ovviamente qualche scandaluccio, qualche pettegolezzo, giusto per condire il piatto ricco che ogni anno seduce milioni di telespettatori.  Ma mai come a questa edizione si è assistito a una continua, costante critica nei confronti del Festival e degli eventi collaterali al festival, che ha destato dal torpore il popolo di facebook e di tutte le piattaforme telematiche, dal primo giorno fino all’ultimo, da martedì sera fino al sabato notte. Meglio Ultimo o Mahmood? C’è una sorta di protesta all’attuale governo nella vittoria del ragazzo per metà egiziano che canta usando il fraseggio rap? Ma quanto conta il televoto rispetto alla giuria di qualità? La regina del rock Loredana Bertè meritava di vincere più di Mahmood? Francesco Renga è un maschilista? Perché non è più venuta Ariana Grande come ospite internazionale? E come mai Arisa ha stonato sabato sera?

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L’edizione 2019 di questa kermesse è sembrata una versione più sofisticata del filmaccio di Pingitore Gole Ruggenti. I nati degli anni Ottanta hanno visto sfiorire per sempre la gara canora il cui ingrediente principale erano le canzoni pop e melodiche.

Nel 1996 la ballata d’amore riuscì a spazzare canzoni dal sound più particolare e con testo sarcastico come La terra dei cachi degli Elio e le Storie tese. Oggi, annus Domini 2019, ballate come Vorrei incontrarti fra cent’anni di Ron non potrebbero mai sperare di vincere contro il rap, l’hip hop, l’urban e la trap in salsa italica.

Il pubblico esulta davanti al tatuatissimo Achille Lauro e alla sua Rolls Royce, costruita sulle basi molto simili a 1979 degli Smashing Pampkins. Poi sono stati applauditi Ghemon, i reucci del reggae ton Boomdabash, la nuova voce del rhythm and blues in salsa italica Irama. Insomma, tracce del Sanremo di una volta si sono riviste quasi con ‘celeste nostalgia’ nell’Ultimo ostacolo di Paola Turci, nelle Anime della notte della Tatangelo e forse nella melodica I tuoi particolari del quasi vincitore Ultimo, secondo in classifica che è tornato a casa con la coda tra le gambe e con il premio di consolazione della TIM. Silvestri e Cristicchi sono stati ricoperti di premi della Critica, della stampa e chi più ne ha più ne metta, probabilmente per i loro testi pieni di pathos, che francamente mi hanno sedotta fino a un certo punto, visto che non ho rintracciato nessuna particolare acrobazia vocale in stile Perdere l’amore di Massimo Ranieri. Purtroppo appartengo ancora a una scuola vecchia e polverosa, che apprezza intonazione e timbro vocale.

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Niente abiti da sera con strascichi o esagerati luccichii, la sobrietà Armani è stata scelta per vestire Virginia Raffaele, comica e dall’accento molto romano, che faceva la spalla a Claudio Bisio e a un sempre più stanco Claudio Baglioni. Niente ospiti internazionali, solo cantanti italiani che si sono lanciati in duetti con Baglioni, da Giorgia a Eros Ramazzotti, da Cocciante a Venditti, vecchi miti che ricordano i fasti della canzone tradizionale popolare italiana e che non sono altro che ricordi sbiaditi e anacronistici. Le uniche davvero inarrestabili, più forti dei mulini a vento del tempo, sono Patty Pravo e Loredana Bertè, quest’ultima poi con una canzone incisiva scritta da Gaetano Curreri, che sicuramente sarà molto amata in radio e che doveva essere il testamento di tante battaglie e dolori personali. Questa volta però il mancato podio della Bertè ha causato una sorta di rivolta popolare tra il pubblico di Sanremo che stringe il cuore, che fa tornare in mente lo stesso disappunto del pubblico per la mancata vittoria nel ’93 di Renato Zero per Ave Maria. Loredana è il volto del rock italiano, quello che non si arrende e che ruggisce forte ancora. Sarebbe stata l’occasione per rendere omaggio a tanti successi e tante sperimentazioni che l’artista ha collezionato in più di quarant’anni di carriera. Per tutta risposta, Loredana è rimasta a casa e non è andata da Mara Venier il giorno dopo la kermesse, mi piacerebbe immaginarla mentre si riposa e si fa un bagno caldo, guardando la tivù e facendosi beffe di tutti, pettinandosi i suoi bei capelli lunghi blu. Insomma, questa edizione di Sanremo è stata un continuo colpo di scena. Reale? Fasullo?

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A me è sembrata una puntata di Uomini e Donne, con litigi e critiche costruite a tavolino, fatte per avere qualcosa di cui parlare e sparlare per cinque interminabili giorni su ogni piattaforma. Insomma, anche quest’anno Sanremo ha vinto, tutti lo seguono e tutti lo vogliono. Ed è molto più vicino alla realtà quotidiana di quanto possiamo immaginarci. Quando c’è addirittura un Ministro degli Interni che esprime un parere sul vincitore significa che Sanremo è in assoluto la soap opera più amata dagli italiani, che appassiona e commuove come i Mondiali di Calcio o i matrimoni dei reali inglesi. Gli ingredienti sono cambiati ma la sua popolarità cresce di anno in anno ineluttabilmente.

Virginia Longo

Gruppo MAGOG