11 Novembre 2017

Io non difendo Kevin Spacey. Ma so che sono come lui

Avete presente Kevin Spacey? Quello che fino a qualche settimana fa era l’indimenticabile John Doe di Seven, il Keyser Söze de I soliti sospetti, il Lester Burnham di American Beauty, il James Williams di Mezzanotte nel giardino del bene e del male (utile da rivedere per capire il soggetto). Quello che fino a una manciata di giorni fa era il più bravo attore di Hollywood e dintorni, ora… Ora è altro. Mutazione etico-transgenica. Kevin Spacey ora è il laido stupratore di ragazzini, quello che fa i festini per soli giovanotti sullo yacht in acque amalfitane. Ecco, se c’è qualcosa che mi fa orrore tanto quanto gli stupratori, un orrore che mi riduce le ossa a bicchieri di champagne scagliati contro il muro della cucina, sono quelli che ammirano il lampeggiante fragore della ghigliottina sulla pubblica piazza. Una specie di damnatio memoriae sta radendo al suolo l’esistenza filmica di Spacey: nessuno lo vuole sul set – altrimenti non si fanno soldi al botteghino – tra poco ritireranno dal commercio le sue pellicole. Da sempre, d’altronde, le masse umane non vogliono altro. Scagliarsi contro il potente. E scotennarlo, fino all’ultimo pelo vibrante. L’invidia si volta in ferocia, gli agnelli mettono una fioriera di denti da lupo, la codardia diventa, provvidenzialmente, spietatezza. Il moralismo americano – puoi comprarti camion di armi, ma non toccare il culo a una fanciulla – con consecutiva caccia alle streghe (do you remember Salem?) apre i portoni della macelleria. E noi, che non aspettiamo altro, incattiviti dalla frustrazione, come sfilze di vecchi sulla via, seduti su bastarde sedie di plastica, che criticano tutto e tutti perché la stanza del vicino è sempre più sporca, spandiamo il napalm del giudizio. Ma chi è migliore di chi? Giudicando aspramente le debolezze di un uomo non stiamo fustigando forse, sempre, le nostre perversioni? Ecco. Mi dà i nervi l’incapacità di andare a fondo, oltre la superficie carnale delle cose. Esempi. A Milano sfilze di illustri umani fanno la coda per vedere la mostra di Caravaggio. Giusto. Caravaggio è un omicida, è stato un uomo impossibile. Ciò non toglie che i suoi quadri siano superbi. Altri esempi. Verlaine, come è noto, se la faceva con quel giovinetto di Rimbaud, un bel satanasso (lettera a Ernest Delahaye da Londra: “Verlaine è arrivato qui l’altro ieri, con un rosario tra le falangi… Tre ore più tardi era stato rinnegato il suo dio e sanguinavano le 98 piaghe di N. S.”), preferiva le sue cosce a quelle della moglie. Eppure, ciò non scalfisce l’opera somma di Rimbaud e quella armonica di Verlaine. D’altronde William S. Burroughs, bisessuale eroinomane, spara in faccia alla moglie in Messico, tentando di centrare una mela che gli aveva messo in testa, ma La scimmia sulla schiena è ancora un libro ‘cult’; d’altra parte Georges Simenon era un inviperito sessomane, un violentatore seriale di femmine – ne ha messe a novanta un migliaio – ma non per questo mandiamo a disintossicarsi dagli afrori della carne l’ispettore Maigret. Per altro, non è che leggendo I fratelli Karamazov ci viene in mente che Dostoevskij frequentava le bettole di Pietroburgo con lo scopo di palpare nel cesso le cameriere, meglio se minorenni… “Tutti i santi hanno vissuto sino all’ultimo respiro l’orrore del loro niente, della loro peccaminosità”, scrive, a proposito, Lev Sestov nel più bel testo mai scritto sull’opera di Dostoevskij, La lotta contro le evidenze. Vengo il punto. Il punto, evidente, è che Kevin Spacey è uno che ha abusato del proprio potere, che ha violato la legge. Se ha violato la legge, deve essere punito. Tutto il resto, il contorno, è il can can dei cretini, delle iene che ghignano. Sotto l’evidenza, però, c’è che non siamo diversi da Kevin Spacey. Chi frequenta la letteratura sa che il compito dello scrittore – lo dice Rimbaud, mica io – è quello di sfidare i propri mostri, di abitare nel sottosuolo della propria anima, di decodificarne – senza decorarli – gli inferi. Si sa, cioè, che l’uomo, per sua natura, è laido. Ha turbe di lupi nel cuore. Cosa significa? Che Kevin Spacey resta un grande attore. E un uomo perverso. D’altronde, per capire cosa è Hollywood, non da oggi ma da sempre, basta leggere James Ellroy – un altro fuori di testa – almeno Dalia nera. Che si fa con un uomo perverso (come me, come te, come noi)? Non siamo in grado di perdonare – il perdono è l’arma più violenta che esista, non abbiamo il genio per gestirlo. Per lo meno, non gridiamo. Diamoci un contegno. Non facciamo le mascherate grottesche di quelli che ballano sul cadavere. Kevin Spacey è malato quanto me, te, noi. Solo che a differenza di me, te, noi, ha i soldi per realizzare le sue perversioni. Ed è un grande attore. Tanto, sappiamo già come va a finire. Anno di oblio. Poi il ritorno. Intervista a Kevin pentito. Sguardo languido. Parole alate. Film che racconta la sua triste storia. Una storia di caduta-e-redenzione, di quelle che piacciono tanto agli americani. E gli stessi che ieri lo idolatravano e ora lo sputtanano torneranno ad applaudirlo. Che animale idiota è l’uomo.

Davide Brullo

Gruppo MAGOG