15 Novembre 2017

Non cambiare stile di vita, cambia supermercato. Da Patek Philippe al sarto cinese, il marketing della vita ai tempi della crisi

Io non ci sono mai andato in un negozio di cinesi. Quello che dicono gli esperti sulla loro mancanza di etica lo prendo come oro colato. Non ho nemmeno mai mangiato cinese. Direte voi, ma il mangiare cinese è buono! Vi rispondo che può anche essere. Ma io, se permettete, da bolognese trapiantato tra la Romagna e la Toscana, preferisco una tagliatella al ragù, un passatello in brodo, uno stinco di maiale, una grigliata mista di pesce. Del vino italiano. O francese. Sono un provinciale, lo so, me ne rendo conto.

Sono due gli slogan pubblicitari che mi hanno lasciato secco negli ultimi anni e sono agli antipodi. Patek Philippe e Lidl. Il primo dice: Un Patek Philippe non si possiede mai completamente. Semplicemente, si custodisce. E si tramanda”. Compri un Nautilus, te lo allacci al polso e sai che lo porterà anche tuo figlio quando tu non ci sarai più. Dai, c’è tutto. È un messaggio che arriva dritto al cuore. È il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer in uno spot. Chapeau a chi lo ha inventato.

Con la crisi le buone intenzioni della neo-borghesia italiana di custodire e tramandare sono andate a farsi benedire. Abbiamo venduto i Nautilus e proprio un istante prima di vendere anche la casa abbiamo visto quest’altra pubblicità: “Non cambiare stile di vita, cambia supermercato”. Okay il Patek Philippe non è più al nostro polso ma almeno un tetto sopra la testa lo abbiamo ancora.

Io prima della pubblicità della Lidl andavo dalle sartine sotto casa. Per far stringere un paio di pantaloni, mettere una toppa ai jeans sdruciti, accorciare qui, allungare lì, eccetera, eccetera. Entravo e già subito sembrava che gli facevo un piacere. Avete presente l’orlo express in venti minuti nei centri commerciali? Ecco, loro erano in tre, quasi come una web company pronta per la quotazione in Borsa e minimo mi ridavano un orlo cucito in una settimana (perché ero un cliente affezionato, altrimenti chissà) e la spesa minima era di quindici euro (mai pagato meno).

Un giorno mi si rompe la fibbia di un giubbotto. Per l’esattezza si rompe il fermino che tiene la fibbia a fine corsa. Sono finito, mi sono detto. Devo chiedere alle sartine se fanno i finanziamenti a tasso agevolato. Prendo coraggio e vado da loro, che si guardano in faccia l’un l’altra e schifate mi dicono all’unisono: “Noi non lo facciamo, devi andare dai cinesi.”

I cinesi. Mi faccio dare l’indirizzo e ci vado con la morte nel cuore.

Sono marito e moglie e non hanno trent’anni. Saluto e mi salutano. Lei continua a lavorare e lui viene al bancone. Parla solo all’infinito e non ha tempo da perdere. Dice che deve scucire la vecchia e metterne una nuova. Lavolo dulo, otto eulo, domani plonto.

Non ho alternative. Accetto. Torno il giorno dopo. Saluto e mi salutano. Gli do il ticket e lui prende un sacchetto dove c’era il mio giubbotto. Me lo fa vedere. Perfetto. Un lavoro impeccabile. Mi fa lo scontrino fiscale – le sartine quotate in Borsa me lo facevano una volta ogni tre (forse perché ero un cliente affezionato) – con scritto otto euro, grazie e arrivederci.

La settimana scorsa ho portato un paio di jeans da trasformare in bermuda. Era sabato.

Quando sono pronti?

Domattina.

Siete aperti di domenica?

Celto. Tle eulo.

Con lo scontrino fiscale. Grazie e arrivederci.

Lunedì passato gli ho portato una polo a maniche corte che ho comprato su internet – sul sito ufficiale, mica su Alibaba. Era di marca, tanto per capirci una di quelle che in negozio costa novanta euro e all’azienda invece ne costa due a produrla. Andava accorciata: sono alto un metro e ottanta e la XL mi arrivava quasi a metà coscia; il tunisino che l’ha prodotta quel giorno doveva essersi ubriacato insieme al tizio del controllo qualità.

Mi chiede. La faccio uguale?

Boh, se riesci sì.

Mi guarda perplesso. Celto. Adoro il suo vocabolario, d’altronde il mio inglese è peggio. Uguale voleva dire con la parte davanti più alta di quella dietro e con gli spacchettini laterali.

Quanto lunga?

Fino all’etichetta laterale.

Ok. È plonta melcoledì, sei eulo.

Vado a ritirarla. Solito sacchettino. Tira fuori la polo. Perfetta. Scontrino fiscale. Ciao ciao. Arrivo a casa. La riguardo. Non sembra nemmeno fatta perché l’etichetta laterale è sempre alla stessa distanza dall’orlo finale. Mi viene un dubbio. La indosso. No, è stata accorciata come la volevo io, ma il tipo ha avuto l’accortezza di spostare anche l’etichetta laterale alla stessa distanza che aveva nella versione originale.

Ho ripreso in mano lo scontrino. Sartoria riparazioni di Z. Shengkun. Grazie e arrivederci.

Shengkun, dammi retta, grazie a te.

 

Michele Mengoli

www.mengoli.it

 

Gruppo MAGOG