04 Gennaio 2019

“Nei tempi di passaggio, si ode bussare dal sottosuolo”: dialogo con Andrea Mascetti, il guru della Lega, su Jünger, Celti, Euro

Praticare l’inafferrabile. Quando gli chiedo di inviarmi alcune fotografie, a condimento dell’intervista, Andrea Mascetti me ne invia tre. Una, insieme a Eduard Limonov, lo ritrae nelle vesti di ‘animatore culturale’, che conficca, come pugnalate, eventi e persone per risvegliare il cadavere della cultura italiana. Nell’altra, in giacca & cravatta e busto omerico, è in posa ‘professionale’. La terza, penso, è la più appropriata. Mascetti in divisa d’alpinista, tra una cattedrale di rocche, in Groenlandia. L’uomo ‘pubblico’, il professionista, il cercatore. In un articolo che ho sfogliato per perimetrare l’intervista, Mascetti è definito l’“eminenza grigia della Lega di Matteo Salvini”, molti mi dicono che è intimo di Giancarlo Giorgetti, attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, da qui il titolo, per capirci, il guru della Lega, che lo irriterà un po’ (i giornalisti giocano all’eccesso per avere un lettore in più). In realtà, i titoli politici m’importano poco, m’interessa l’uomo. Avvocato di peso – ha fondato nel 2004 lo Studio Legale Mascetti, con sede a Varese e a Milano – classe 1971, diversi incarichi di pregio e di prestigio – nel curriculum deposto in Senato leggo che è, tra le altre cose, “presidente del Consiglio di amministrazione di Nord Energia Spa… Commissario della Commissione Centrale di Beneficienza della Fondazione Cariplo… Consigliere della Fondazione Giancarlo Sangregorio” – soprattutto, è tra i fondatori della rivista Terra Insubre, che nasce nel 1996 con lo scopo di proporre “studi dedicati alla storia e all’archeologia, in particolare dei popoli celtici germanici e alpini, approfondimenti su tematiche legate al territorio dell’Insubria”, ed è l’animatore del circolo ‘Ra Ca’ dur Barlich’, a Varese, che per alcuni è un antro di neopagani e di autonomisti incalliti, ma di fatto – basta guardare la sfilza degli incontri e degli intrattenuti – è uno dei centri culturali più attivi, motivati, movimentati, oggi. Insomma, potremmo pensare che Mascetti sia uno e centomila, una personalità disposta al potere, con l’ambizione di architettare il ‘nuovo mondo’. In realtà, Mascetti sconfigge opinioni e pregiudizi, sta tra l’inafferrabile e lo sfrenato, parla, con ferrea lucidità, di Ernst Jünger, di Europa, di Governo giallo-verde, ma, in fondo, ama la solitudine, la cultura come vita – e non come fumosa impresa accademica – le tradizioni sommerse dal sopruso del ‘globale’, l’ascesa, la montagna. Quando mi parla del potere, mi dice che il potere intimorisce i cani, ma ha problemi con il lupo, “che, analogamente al potere, caccia nel buio e del buio non ha paura”. Nella parabola si svela, forse, l’autoritratto. (d.b.)

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Andrea Mascetti è alle spalle di Eduard Limonov

Mi sorprende la sua vivace (vorace?) attività culturale, prima come fondatore di “Terra Insubre”, poi come animatore del circolo Barlich. Con una spinta filosofica molto precisa. Che senso ha fare cultura in relazione all’azione politica?

Non penso di “fare cultura”. Dubito anzi che il Moderno sia in grado di crearne una originale. Mi limito molto più semplicemente ad organizzare la diffusione di idee che reputo possano essere utili ai nostri tempi. In questa azione cerco di individuare autori e pensieri che operino per preservare la conoscenza delle ‘radici profonde’ (Jünger le chiamerebbe ‘le potenze primordiali’). Téchne – che non è una divinità o una potenza neutra come qualcuno si illude – ha preso il sopravvento e le nostre vite sono sempre più avviluppate nelle sue cangianti spire. La politica, a sua volta, soggiogata anche esteticamente da questa potenza, non ha più alcun dialogo o interesse per una visione vasta del mondo e quindi per un’azione culturale che le sia almeno ancillare. Tutto ormai è labile, veloce, passeggero, non incline alla riflessione. Io credo invece che sia necessario fermarsi, osservare l’inutile affannarsi dei nostri tempi (e di noi stessi) per cercare degli spazi di libertà rispetto all’incessante opera del Leviatano. Incontrarsi fisicamente, costringersi all’ascolto e alla parola vibrante di punti di vista originali, anche se alternativi alle nostre convinzioni, serve a risvegliare ‘caratteri’, passioni, antropologie che, diversamente, troverebbero altre strade o, più facilmente, si accontenterebbero del tran tran quotidiano, nella vita politica come nella sfera spirituale. Gli spazi di libertà si ridurrebbero ulteriormente. Questa azione culturale ha quindi l’ambizione di essere una palestra che ridia vigore ai muscoli inflacciditi dello spirito, con il fine di evocare un pensiero trasformatore della realtà.

La filosofia del Barlich è riassunta in una frase di Tolkien e in una di Nietzsche. Quali sono i libri che l’hanno formata. Qual è l’incontro che ha segnato la sua vita?

Il primo libro che mi scosse, ancora bambino, fu Il Conte di Montecristo di Dumas Padre (un passaggio sulla felicità mi impressionò molto) e subito dopo Gli Eroi di Thomas Carlyle. L’adolescenza sbocciò invece con la lettura fatale de Lo Stato Civile di Drieu. La biblioteca di mio Padre era molto ricca e potei attingere ad un universo di testi e di culture non comuni. Riflettendo sulla sua domanda, credo che l’incontro fatale fu proprio quello con mio Padre. Era uno psichiatra appassionato che unì la sua pacata ma convinta militanza politica a una straordinaria ricerca culturale e sociale. Tornando ai libri, oggi per “ritrovarmi” leggo e rileggo Ernst Jünger, Hermann Hesse – la lettura di Demian viene ripetuta circa ogni quattro anni grazie alle sue qualità ‘mutanti’ – ma anche Thoreau, Hamsun, Eliade, Castaneda, piuttosto che tutto quello che riguarda le culture euroasiatiche, dalla Siberia alla Mongolia. Viaggiando in quei luoghi credo di avere colto i motivi profondi per cui proprio lì ha scelto la sua residenza ‘il Re del Mondo’ di guenoniana memoria. Mi sovviene sul punto un libricino carico di potenza di Gustav Meyrink, Giocando con i grilli, che vale la pena esplorare con attenzione. Letture recenti sono state I riti di caccia dei popoli siberiani di Éveline Lot-Falck, o Storia di Roma in sette saccheggi di Matthew Kneale, così come ho trovato estremamente suggestivi Nelle foreste siberiane e, soprattutto, Sentieri neri di Sylvain Tesson. La kultur alpina (oltre che alpinistica) rimane la mia più intima passione che coltivo da anni con una predilezione per lo studio delle popolazioni minoritarie delle Alpi, dai Sud Tirolesi ai Mocheni, dai Cimbri ai Walser e ai Ladini. Letture poderose sulla protostoria della valle del Po, soprattutto quella celtica, mi hanno aperto magiche porte sulla linguistica, la toponomastica, l’archeologia. Concludo con un suggerimento: Geminello Alvi, dall’ultimo Eccentrici al Secolo Americano.

Leggo che lei è “l’eminenza grigia della Lega”. Posto che la stola cardinalizia è un po’ irritante e il grigio non è un buon colore, non le chiedo di giustificare l’assunto (o la diceria), ma di spiegarmi che cosa intende, lei, per politica.

I giornalisti tendono, come noto, ad enfatizzare: non sono l’eminenza grigia di nessuno. Ciò premesso per me la politica è sempre stata legata all’azione culturale di cui parlavamo prima. Non riesco ad immaginare una politica slegata da una visione complessiva sul mondo, e sotto questo profilo mi considero discretamente impolitico rispetto ai tempi attuali. Ma la tentazione è sempre troppo forte. E infatti la politica può ancora suscitare entusiasmi, ma deve trovare le sue ragioni in elementi ‘mitici’, che possono essere una identità autentica, la difesa ecologica di una terra, l’amore per una comunità; ma lo stimolo può anche nascere da una grande considerazione di sé e delle proprie capacità di modificare in meglio il presente. Oggi vedo ovunque soggetti impegnatissimi in politica, anche con grande dispendio di energie personali, ma per ragioni che talvolta mi sfuggono. L’aspetto dell’apparire ha forse anche qui preso il sopravvento. Conosco in vero alcune notevoli eccezioni.

Lo chiedo all’uomo di studi e di libri: le piace questo governo? Non le sembrano un po’ tutti, culturalmente, dei barbari imberbi? O forse è bene avere una massa di festaioli (i parlamentari, specie pentastellati) per poter governare meglio?

Questo governo nasce perché il mondo sta mutando profondamente. E per questo quasi ogni precedente chiave di lettura è ormai inutilizzabile. Siamo nel mare aperto del divenire. Declinando nell’oggi rilevo due elementi ai quali vale forse la pena dedicare delle considerazioni. In primo luogo questo governo nasce, almeno nelle intenzioni, con l’idea di fare piazza pulita delle vecchie consorterie che per decenni hanno tenuto in pugno il potere con violente economie di relazione, intolleranti ad ogni cambiamento di prospettiva; l’ennesimo governo di ‘centro destra’ (definizione semplicemente raccapricciante) non avrebbe ad esempio mai permesso a Salvini di bloccare il flusso migratorio e la nauseante ridda di interessi economici che attorno a questa drammatica vicenda si erano avviluppati. Ma c’è poi un secondo aspetto di questo Governo che merita un accenno: la Lega rappresenta elettoralmente ormai la grande parte del Nord, cosi come i 5 Stelle la grande parte del Sud. I sondaggi, così come i commenti, ci danno un’Italia spaccata a metà. Oggi, con una Lega che parrebbe aver rinunciato ad un nordismo radicale, questo invece riemerge nei ceti produttivi del Nord, anche a sinistra. La differenza dei due modelli territoriali appare nuovamente insostenibile, ma senza la presenza divisoria di un partito che ne faceva la sua bandiera. Gli esiti di questa nuova percezione condivisa sono imprevedibili, e forse, alla lunga, fatali per lo stato centrale. Si può infine osservare come Pd e Forza Italia, siano ormai fuori dai giochi, presenti e futuri, per molti motivi, ma soprattutto perché non sono stati in grado di comprendere cosa stia realmente accadendo in questa grande fase di trasformazione alchemica che dall’America di Trump all’Europa dell’est, pare voler porre in disarmo il pensiero e le sempre più isolate convinzioni delle auto proclamatesi élite. Ho come la percezione che l’irrazionale e il barbarico, per lungo tempo trattenuti alla catena, stiano riemergendo. Gli Dei, ammonisce Jünger, non possono uccidere i Titani, ma solo imprigionarli. E nei tempi di passaggio si ode bussare dal sottosuolo.

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Andrea Mascetti ha fondato nel 2004 lo Studio Legale Mascetti

Come mai questo governo si occupa di tanto ma non di cultura, che notoriamente interessa a nessuno se non come spavaldo escamotage elettorale (diamo il panem, cioè il reddito di cittadinanza, e circenses, cioè svaghi e sollazzi)? Può fare qualcosa?

Non credo che nessuno possa fare molto. Non conosco i personaggi in campo e non so se siano adeguati all’immane compito, ma in ogni caso, anche se fossimo in presenza di guru visionari e coltissimi, non vedo cosa potrebbero inventarsi per incidere sul presente di un paese come l’Italia. Oggi le idee passano per lo più dalla rete e le culture diventano anch’esse strumenti soggiogati alla tecnica. La politica non ha più interesse per una dimensione culturale, essendo del tutto succube di tempi ultra veloci che sono incompatibili con la meditazione. In questo campo hanno forse più possibilità di azione il Mistero, se non addirittura le profezie. Se uno pensa di mutare lo spirito del tempo con dei convegni o delle pur bellissime riviste, forse non si è ancora svegliato dal sonno di questo interminabile Dopoguerra. Pur tuttavia noi di “Terra Insubre” lo facciamo da oltre 23 anni, ma almeno con una chiara consapevolezza dei nostri limiti. Al punto in cui siamo, forse meglio allenare il corpo ad una certa audacia fisica, che ci conduca almeno ad una presenza autentica di noi stessi.

Le piace la parola ‘sovranismo’ e che valore le dà? Implicitamente, vorrei una sua riflessione sull’Europa e le sue spire, per capire come possano conciliarsi con le identità particolari di Stati e di Regioni. Con chi dovrebbe ‘fare gruppo’ l’Italia salviniana, con la Russia di Putin?

Il termine sovranismo non mi piace. È ambiguo e generalista. Sovranità di chi? Per chi? E chi sarebbe il Sovrano? Di che regno o repubblica? Personalmente considero gli stati giacobini nati dalle rivoluzioni borghesi come il più grande dramma che sia mai occorso all’Europa. Con due catastrofiche guerre mondiali abbiamo distrutto l’Europa, massacrato milioni di Europei, con il grandioso risultato di consegnare il destino del mondo prima al sistema dualistico della guerra fredda e oggi alle potenze emergenti extra europee; pensiamo alla Cina la quale, a differenza nostra che abbiamo smarrito il sentiero verso le radici dell’albero, non ha dimenticato Confucio e sta vivendo, fatto apparentemente minore ma dagli esiti imprevedibili, una importante neo conversione al Buddismo. Nel frattempo conquista ogni mercato del mondo con una volontà di potenza semplicemente impressionante. Io sono e rimango un Europeo seppure questo modello di Europa mi abbia fatto perdere ogni tensione ideale per questo antico mito politico. Trovo però singolare che i nazionalisti italiani si lamentino di questo modello di Europa: i tecnocrati di Bruxelles stanno facendo esattamente la stessa cosa che fecero i Piemontesi nei confronti degli stati preunitari e cioè, sopprimere monete, differenze culturali e linguistiche, stili artistici e morali, il tutto condito con le medesime menzogne rodomontesche e con la violenza bieca di chi non conosce il valore delicato e sottile di mondi diversi dal suo. Il giacobino grande schiaffeggia il giacobino piccolo: sono miserie di famiglia. L’unica Europa pensabile sarebbe quella delle regioni, sul modello confederale elvetico: la Sicilia dovrebbe potersi confrontare con la Normandia, così come la Lombardia con la Baviera. Ma capisco che una tale prospettiva rischi di essere confusa per mero lirismo. Certo è che l’Europa degli stati centrali non può funzionare perché la Germania rimane il cuore delle cose con il suo eterno ed infantile pangermanesimo che si va come sempre a scontrare con l’arrogante, ma ben meno organizzato e credibile, sciovinismo francese o con il coriaceo modello politico anglosassone (dell’Italia neanche a parlarne), in un infinito scontro di interessi contrapposti. Parafrasando ancora una volta Jünger, dove tramontano gli stati (o le somme di stati come la UE) con le loro frontiere e le loro guerre – anche quelle economiche – restano comunque la madre terra e la madrepatria.

Le piace la parola ‘popolo’? Esistono ancora i ‘popoli’?

Nel nostro Occidente mi pare che i popoli siano ormai spariti o ridotti a rappresentazioni minoritarie. I popoli sono quelle comunità che si auto affermano nelle linee fondamentali del proprio essere su una certa terra o su un certo spazio, anche mobile, attraverso una lingua e un sistema simbolico di auto riconoscimento. Oggigiorno ogni individuo si sente ‘soggetto a sé stante’ rispetto a qualsivoglia idea di popolo. Viviamo nel distinguo. Un segno della fine dei popoli è la scomparsa del culto degli avi. I popoli senza antenati sono come i fiori senza le api: in apparenza sembra impossibile che il regno vegetale si riproduca tramite l’intervento di quello animale, ma tant’è. Ciò nonostante credo sopravviva, ormai appartatosi nelle foreste, nei ‘sentieri neri’ di cui parla Tysson, sulle montagne o in microscopici villaggi sperduti, il Genus loci dei popoli. Sussurra parole di lingue cadute in disuso, favorisce visioni che trasformano lo sguardo, rende ebbri gli smarriti viandanti i quali però, grazie a questa estasi, talvolta ritrovano il sentiero di casa, da molto tempo non più percorso.

Come si vede tra vent’anni? Davanti al fuoco, vestito alla celtica, dopo aver ripristinato il baratto e mandato a morte l’euro?

Il fuoco di un falò, così come quello di un bivacco in alta montagna, sempre mi saranno cari. Ma non mi considero un ‘no Euro’, così come non sono uso vestire ‘alla celtica’ (seppur ‘camisa’ e ‘braghe’ siano proprio una eredità dei Celti, meglio non dimenticarsene…), mentre sul baratto si potrebbe svolgere, in un’altra occasione, qualche riflessione interessante. L’Euro. Mi pare che questa moneta sia diventata il capro espiatorio di un mondo che ha perso i suoi punti di riferimento e la sua centralità economica. Sinceramente un ritorno alla Lira gestita dalla burocrazia centralista italica non mi affascina per nulla. L’idea di avere la stessa moneta di un finnico, invece, mi piace molto. Gli strumenti monetari sono solo una sovrastruttura. Penso che la nostra decadenza economica dipenda non tanto dal vituperato Euro (che certo qualche sperequazione l’ha creata) quanto dal fatto che l’Europa non è più il centro del mondo, che tanta gente ha rinunciato alla fatica, che il lavoro è diventato un elemento tra i tanti della nostra esistenza e non la principale attività di una vita, come fu ad esempio nel nostro Dopoguerra, almeno nel Nord del paese. Tutti vogliamo campare con il minimo sforzo: comprensibile, ma anche questo ha un prezzo. L’Unione Europea, certamente inadeguata e stoltamente giacobina, non è la sola colpevole della situazione che viviamo: il sistema fiscale italiano, che non mi pare sia imposto dalle regole della UE, terrorizzerebbe anche un Uruk-hai… ma d’altra parte, diversamente, come faremmo a mantenere in vita il vorace quanto incapace sistema burocratico italico ? Anche la recente politica migratoria non ci è stata imposta da qualche emissario del Piano Kalergi, ma è stata una (sconsiderata) scelta della politica italiana. Siamo in un mondo di complessità infinite e non basta più urlare istericamente contro il presunto nemico di turno per venirne fuori. Ognuno si prenda le sue responsabilità.

La affascina il potere, e soprattutto, quali qualità secondo lei ha il ‘potere’? Esempio. Per alcuni il potere è dato dalla sovraesposizione mediatica, a mio avviso il potente opera nell’invisibile. Dica lei.

Il potere affascina sempre. Ma ho personalmente una tendenza a osservarlo con grande sospetto. Qualcosa nella sua logica e nella sua azione nasconde sempre un tocco segreto e sinistro. Cela una prigione, foss’anche dorata. Il Potere non te la dice mai tutta sino in fondo. La sovraesposizione mediatica oggi serve per raggiungere il vertice del potere politico che però è stato soppiantato dal ben più invasivo potere finanziario che sa invece muoversi molto bene nell’ombra. D’altra parte il tema del potere si incrocia con quello della libertà. Davila scrive una bella cosa sul punto, che lascio come ultima riflessione: “non è tanto nell’abbondanza che nasce la libertà, bensì nella sicurezza dell’abbondanza. Il cane ben alimentato non si azzarda ad essere libero perché il padrone può condannarlo al digiuno; solo il lupo è libero, durante l’estate, quando il bosco è popolato di animali inermi”. Il potere, che sia economico o politico, minaccia costantemente il cane, contro il quale usa l’ombra e la paura; ha qualche problema in più con il lupo che, analogamente al potere, caccia nel buio e del buio non ha paura.

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