20 Febbraio 2018

“Negli Stati Uniti neo-Marxisti il clima sociale è diventato irrespirabile”: Guido Mina di Sospiro (da Washington) svela il tema del suo prossimo libro, “Terrorism & Rock’n’Roll”

Vivo negli Stati Uniti dalla fine di agosto del 1980. È una data che ricordo poiché, poche settimane prima, avvenne la strage di Bologna, il più grande massacro di innocenti in suolo italiano dai tempi della seconda guerra mondiale, in cui le vittime furono ottantacinque e i feriti oltre duecento. In America, dove ero arrivato come matricola della University of Southern California di Los Angeles, si respirava un’aria così diversa che mi sembrava d’essere atterrato su un altro pianeta. Io venivo dagli anni di piombo, (soprav)vissuti a Milano, allora grigia di nebbia e di smog con l’arancione occasionale dei tram e il rosso ubiquo dei tanti che morivano per strada, spesso senza sapere chi ringraziare. Anche se pochi mesi dopo il mio arrivo l’America elesse Reagan invece di Carter, spiazzando quasi tutti i commentatori, la politica era virtualmente assente dalla vita della gente, studenti inclusi. Non se ne parlava; era un disbrigo necessario al funzionamento della democrazia che si effettuava ogni quattro anni per le elezioni presidenziali e ogni due per le amministrative. In realtà, erano in milioni a non votare e a disinteressarsi della politica nel modo più assoluto. Bei tempi. Sì, perché in America, soprattutto da due anni a questa parte, si respira un’aria nuova, politicizzata, “impegnata”, di schieramenti, due e antitetici, che si scontrano a muso duro grugnendo a non finire.

Nel mio libro Terrorism and Rock’n Roll offro una spiegazione. Negli anni sessanta, Herbert Marcuse, uno dei massimi pensatori della Frankfurter Schule, pontificava dalla Brandeis University, università esclusiva a quindici chilometri da Boston. Che a un Marxista fosse consentito di divulgare le proprie idee in quell’America era singolare; fatto sta che tali idee non potevano attecchire in America perché né il comunismo né il socialismo, ideologie considerate del tutto anti-americane, erano di possibile attuazione. La protesta contro la guerra in Vietnam portò addirittura al massacro di studenti inermi alla Kent State University per mano della Guardia Nazionale. Ciò non significa che lo spirito di rivolta dei giovani fu soffocato. Trovò, invece, un altro sfogo, quello della musica rock, che divenne una rivoluzione non solo di costume ma anche sociale. Nel mondo di lingua inglese, fra Stati Uniti e Regno Unito, si verificò una rivoluzione giovanile tanto intensa quanto quella dell’Europa occidentale, ma essenzialmente inoffensiva, perché invece di maneggiare bombe Molotov e Walther P38 i rivoluzionari di lingua inglese impugnavano chitarre e microfoni.

L’ideologia di Marcuse attecchì nell’Europa occidentale, e fu alla base del maggio parigino del 1968. Se la rivolta giovanile si fosse limitata a quanto espresso in quelle dimostrazioni (“L’immaginazione al potere”), avrebbe fornito una boccata d’aria fresca in un continente che ne aveva decisamente bisogno. Ma presto il Marxismo che ne era alla base degenerò, o meglio, divenne coerente con se stesso. Le Brigate Rosse furono fondate nel 1970, inaugurando un decennio di violenza inaudita per un paese non in guerra. Seguirono, in Italia, tanti altri gruppo terroristici. Anche la Rote Armee Fraktion (RAF) fu fondata nel 1970, in Germania, e in Francia Action directe (AD), risultò dalla fusione del Groupe d’Action Révolutionnaire Internationale (GARI, fondato nel 1973) con il Noyaux Armés Pour l’Autonomie des Peuples (NAPAP, fondato nel 1977). Tutti tali gruppi terroristici, e diversi altri, erano di estrema sinistra e volevano imporre, con la violenza, ça va sans dire, la società senza classi a cui anelava Marx.

Il momento catartico dei due tipi di rivoluzione giovanile avveniva rispettivamente al concerto e alla manifestazione. I giovani americani e inglesi andavano al concerto, dove s’immergevano in un rituale dionisiaco di massa con o senza l’ausilio di varie droghe, e celebravano così la loro differenza esistenziale dal brutto mondo che avrebbero ereditato dai propri spesso disconosciuti genitori. I giovani dell’Europa occidentale, invece, andavano alla manifestazione, che presto degnerò in un pretesto per scontri diretti con gli esponenti del sistema, generalmente le forze dell’ordine. Anche i partecipanti alle manifestazioni erano, a loro modo, drogati, ma di una droga endogena: l’adrenalina. Aizzando la polizia, lanciando contro di loro svariati oggetti, fra cui anche bombe Molotov e infine, più schiettamente, proiettili, e poi dandosi alla fuga quando la polizia caricava, per poi tornare ad attaccare, per tutto il giorno, talvolta senza tregua per settimane, i manifestanti causavano nel poprio corpo la fight-or-flight response (la reazione “combatti o fuggi”), che determina la secrezione di adrenalina. Senza saperlo, i manifestanti degli anni settanta erano i primi adrenaline junkies.

Mentre né il comunismo né il socialismo furono mai delle possibilità realistiche né negli Stati Uniti né nel Regno Unito, nell’Europa occidentale sembravano possibilità concrete. Anche se un viaggio nell’Europa dell’Est avrebbe dovuto dissuadere chiunque dalle lusinghe del comunismo, ciò non importava affatto: l’ideologia di sinistra pura ed estrema, infatti, non è interessata alla realtà, a partire da Hegel e dal suo idealismo. Hegel, il quale rispose stizzito a un suo studente che gli rimproverava che la sua teoria era bella, sì, ma non corrispondente alla realtà: “E allora al diavolo la realtà!”

Guido Mina di Sospiro
Guido in Los Angeles, 1980 (photo by Gardner Monks); dida d’autore: “appena arrivato in California, sopravvissuto alla Milnao degli agli anni di piombo, contento di poter respirare ed esprimermi liberamente”

Come veterano degli anni di piombo, e residente in America da decenni, ultimamente mi ritrovo spaesato. Il clima sociale è diventato irrespirabile. La political correcteness è sconfinata in censura da parte della “psicopolizia”, usando la parola coniata da Orwell per il suo romanzo 1984. Marcuse, finita la colossale ed epocale sbornia musicale della gioventù, e avendo la musica perso enormemente d’importanza, è tornato in auge, a oltre cinquant’anni dalla pubblicazione del suo saggio La tolleranza repressiva, nel quale predicava che, per arrivare a una società democratica, occorre adottare misure anti-democratiche. E così i neo-Marxisti americani non sono affatto disposti ad ascoltare l’opposizione. Chiunque abbia idee diverse dall’Unico Pensiero è tacciato di essere, a turno: razzista (l’insulto più frequente e più grave), fascista, islamofobo (l’11 settembre, evidentemente, non è mai successo), omofobo, sessista, e così via. Il 95% dei media non fa più reportage, cosa che tanto ammiravo una volta all’America, e cioè il tentativo addirittura eroico di oggettività dei giornalisti a dispetto dei limiti della natura umana. Oggi le principali televisioni e testate si dedicano non a relazionare, ma a commentare/giudicare. Ma “commentare/giudicare” è un eufemismo; in realtà, si tratta di un cronico J’Accuse…! contro l’attuale presidenza e tutto ciò che fa, o che non fa, o che magari non ha mai fatto ma viene comunque accusata di aver fatto o perlomeno intentato.

Viene promossa l’identità politica a tutti i costi, che sia dei neri, o degli ispanoamericani, o dei LGBT, cioè Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender. È una tipica strategia Marxista che tende a creare fazioni, e poi a contrapporle, ad esempio, nel Marxismo classico, il proletariato e (l’esecrabile) sottoproletariato, nonché altre classi sociali, tutte da eliminare. In altre parole, e in un altro contesto, si creano artatamente fazioni per contrapporle ad altre ed eliminare quest’utlime. L’effetto è di causare discordia a oltranza.

Aggiungo che è probabile che tali giornalisti/giudici neo-Marxisti non abbiano mai letto Marcuse. Ma nelle università che hanno frequentato, la grande maggioranza dei professori era/è apertamente di sinistra e non hanno mai avuto inibizioni nel diffondere l’Unico Pensiero. E tali professori sì che erano cresciuti a Coca-Cola e Marcuse. Il paradosso più emblematico si è raggiunto a Berkeley, università che più di tutte aveva, nel corso degli anni, lottato per la libertà d’espressione: ormai o vi si va a diffondere l’Unico Pensiero, o i “dissidenti” (cioè autori o giornalisti che la pensano diversamente) vengono cacciati via con la violenza, pur essendo stati previamente invitati a parlare da gruppi di studenti (ovviamente in minoranza).

È un clima che purtroppo riconosco, io che ho visto l’Italia andare di male in peggio dalla strage di Piazza Fontana fino a quella di Bologna. È un clima sociale che prelude alla guerra civile. Mi sembra impossibile che stia avvenendo in America, paese in cui la democrazia sembrava davvero funzionare, ma… E così l’ideologia di Marcuse e compagni, dopo aver causato tanto sangue in Europa occidentale negli anni settanta, ora rende la pacifica coesistenza impossibile negli Stati Uniti. Ma c’è una differenza sostanziale con l’Europa: in America ci sono trecento milioni di armi in mano a privati cittadini. Se — e Dio ce ne scampi e liberi — si verificasse effettivamente una guerra civile, è facile indovinare chi ne uscirebbe vincitore: coloro che hanno eletto l’attuale presidente, cioè, secondo i “benpensanti”, gli hicks (zoticoni), che vivono nella cosiddetta fly-over zone (la zona che si sorvola in aereo in cui i “benpensanti” non si sognano di vivere, cioè gli stati compresi fra la costa atlantica e quella pacifica). Perciò, la recrudescenza di Marxismo negli Stati Uniti è tanto folle quanto miope: dalla guerra che stanno più o meno consapevolmente scatenando, i “benpensanti” uscirebbero sconfitti. Non posso che auspicare, invece, che si ritorni al clima di civile pluralità che, fino a pochi anni fa, contraddistingueva questo grande Paese, il cui motto ancora è E pluribus unum, ma non più nella realtà dei fatti.

Guido Mina di Sospiro, Washington, febbraio 2018

Guido Mina di Sospiro è l’autore, tra l’altro, di “L’albero” (Rizzoli, 2002), “La metafisica del ping-pong” (Ponte alle Grazie, 2016) e “Sottovento e sopravvento” (Ponte alle Grazie, 2017).

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