14 Novembre 2020

“Non lo sopporto. Era un profeta troppo prolisso che ha scritto romanzi illeggibili”. Vladimir Nabokov vs. Fëdor Dostoevskij

Vladimir Nabokov non sopportava Fëdor Dostoevskij. Visceralmente, lo odiava – odiava i suoi romanzi, la sua figura, ciò che rappresentava. In effetti, Dost abitava il polo opposto del globo letterario di Nabokov. Dostoevskij divorava la realtà, amava le idee, pensava che lo scrittore fosse una sorta di profeta, lottava contro l’evidenza in favore del miracolo; in genere, scriveva male, assecondando il ritmo psicotico, sonnambulo, cronachistico e visionario, ossessivo della sua anima. Al contrario, Nabokov costruiva un’altra realtà, non aveva alcun intento morale, non si curava di aerei balocchi come Dio, il bene, il male; disprezzava le idee, aveva paura di chi vuole cambiare il mondo, raffinava, fino al cristallo, la forma. Uno, Fëdor, urlava, l’altro era uno stilista; uno ti afferra per i capelli l’altro solletica le ombre della tua intelligenza. Una sfida tra titani, insomma, che segna una faglia tra poetiche contrapposte: Nabokov amava l’Onegin di Puškin – che aveva tradotto –, la sua bellezza nitida, depurata; apprezzava Anna Karenina (ma evitava il Tolstoj padre della patria, monaco mancato, predicatore pubblico), all’opera di Dostoevskij preferiva Pietroburgo, romanzo picaresco, arlecchino, semisconosciuto di Andrej Belyj. In fondo, Nabokov poteva permettersi tutto; la sua opera è aliena all’energia terrosa di cui sono intrisi i romanzi Dostoevskij, capaci di istigare istantanee conversioni. Nabokov non vuole convertire, ma confondere. Uno distrugge tutti i vetri, l’altro li raffina. “Chi vuole avvicinarsi a Dostoevskij deve compiere tutta una serie di exercitia spiritualia, e deve vivere ore, giorni, anni in un’atmosfera di evidenze contradditorie, che si escludono a vicenda”, dacché “Dio esige sempre l’impossibile, il capriccio ha diritto a garanzie, la vita è la morte e la morte è la vita”, ha scritto Lev Šestov. Di questo magma dello spirito, di questa magna battaglia, a Nabokov, importa nulla. Per i 199 anni di Dost, gli americani hanno allineato le fredde opinioni di Nabokov intorno a Dostoevskij. Pare una specie di duello a distanza. In verità, sono talmente imperdonabili le accuse di Nabokov, il conte Vlad della letteratura del Novecento, che fanno quasi sorridere. Forse, era tutta una posa, la sua, un gioco, un omaggio in forma di alterigia. (d.b.)

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“I lettori non russi non comprendono due cose: che non tutti i russi amano Dostoevskij, e che la maggior parte dei russi che lo amano, lo venerano come mistico più che come artista. Era un profeta, un paroliere, un giornalista troppo prolisso, un commediante avventato. Ammetto che alcune delle sue scene, alcune delle sue tremende farse, siano straordinariamente divertenti. Ma gli assassini sensibili, le prostitute dall’anima pia, non possono essere sopportate più di un attimo – dal lettore, almeno”.

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“La trama di Delitto e castigo, forse, non era così banale nel 1866, quando il romanzo è stato scritto, rispetto a ora. Oggi le nobili prostitute tendono a essere accolte un po’ più cinicamente dai lettori sagaci”.

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“Dostoevskij non è mai andato oltre l’influenza che il romanzo poliziesco europeo e la novella sentimentale hanno esercitato su di lui. Un’influenza affettiva che implicava quel tipo di conflitto che gli piaceva tanto: mettere persone virtuose in situazioni patetiche, ed estrarre da queste situazioni l’ultimo grammo di pathos”.

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“I discorsi a cuore aperto, le confessioni al modo di Dostoevskij, no, non appartengono al mio stile”.

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“Disprezzo intensamente I fratelli Karamazov e quella spaventosa tiritera che si chiama Delitto e castigo”.

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“La mancanza di gusto e di stile in Dostoevskij, il modo monotono con cui tratta persone che soffrono di complessi pre-freudiani, il tono con cui si crogiola in tragiche disavventure umane che potremmo definire ‘a buon mercato’ e ‘di cattivo gusto’, beh, sono difficili da ammirare. Non mi piace il trucco con cui ammanta i suoi personaggi, che ‘peccano fino ad approdare a Gesù’, o, come ha detto Ivan Bunin, in modo più sbrigativo, quella pervicacia nel ‘seminare Gesù dappertutto’”.

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“Sembra che Dostoevskij sia stato scelto dal destino della letteratura per diventare il più grande drammaturgo russo. Ha preso la via sbagliata: ha scritto romanzi”.

Vladimir Nabokov

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