23 Maggio 2020

Il virus ha mostrato la nostra piccolezza. Non ci resta che affidarci alla Montagna, simbolo potente di ascensione. E alla parola del poeta

Come si può non condividere tutto ciò che scrive Donatella Bisutti nel suo recente Editoriale su Pangea? La forma letteraria che ha scelto, quasi di aforisma, è efficacissima; le permette la massima libertà di espressione in ogni nota, senza legami di concatenazioni logiche tra le note stesse, che pure però mantiene. Sono come tante stilettate, forti e incisive, che si incidono facilmente e immediatamente nel cuore e nella mente di chi legge. Il lettore, poi, può scegliere dove soffermarsi seguendo, più o meno, le impressioni che gli ha suscitato.

Pur trattandosi di un argomento delicato e difficile, a tratti anche drammatico, la sensibilità poetica della Bisutti lo smussa, lo dilava, lo rende accettabile, grazie anche alla sua prosa limpida, lucida, e al tempo stesso piena di calore umano. Fa pensare e meditare, riflettere su sé stessi e il mondo esterno, con notazioni acute, ora sottilmente psicologiche, ora di carattere sociologico, ora antropologico, fino a sfiorare il religioso e il sacro. Le sue parole: «Ridateci una di quelle tante epidemie del passato con le donne vestite a lutto e le processioni dietro gli stendardi, la gente inginocchiata davanti alle statue dei Santi nella luce di una speranza!» sono il grido di un’umanità ferita che non vuole arrendersi alla forza distruttiva della natura e del male, che reclama, anzi, la dignità della sua umanità.

Donatella Bisutti mostra sapientemente ed efficacemente, però, una umanità divenuta fragile, insicura, debole, che non è più neppure capace di reggere alla “prova del silenzio”, che anzi lo teme, e così lo riempie di sonorità vuote per stordirsi, e per dimenticare quel silenzio che la mette impietosamente di fronte a sé stessa, come di fronte ad uno specchio, scoperto improvvisamente vuoto, che non riflette affatto la sua immagine, mostrando così il nulla che sfiora la sua vita, i suoi gesti, le sue parole vane, la sua estrema povertà esistenziale. La città, le sue mille luci, il suo brulicare vorticoso di macchine e genti che si muovono vertiginosamente notte e giorno, senza mai fermarsi a qualsiasi ora del giorno o della notte.

Quella città con la sua grandezza, il suo spessore, la sua forza, la sua vita passionale e violenta è impietosamente vinta, piegata, fermata dalla potenza della Natura che spudoratamente si mostra al minimo della sua energia: non un tornado o un uragano, non un terremoto o una tempesta, no, ma un essere insolente e arrogante, talmente minuscolo da essere sfacciatamente, spavaldamente, impudentemente “invisibile”, come un virus. Quasi a dire all’uomo: Hai conquistato mare e cielo, terra e luna, costruito dighe e grattacieli, ti sei sentito padrone di tutto, anche di quello che non era tuo, e adesso sei fermo, immobile, impaurito, terrorizzato, prigioniero di te stesso, nella tua stessa casa, e di quello che hai costruito. Ed è bastato un “nulla” a vedersi per costringerti a perdere tutto quello che avevi conquistato!

Ma Donatella Bisutti è un poeta, e i poeti hanno uno strumento ancora più sottile e invisibile di un virus, hanno la Parola, discendente dal Verbo, quel Verbo, assolutamente solo all’inizio, che si fece carne e diede origine alla Creazione. E la poesia, da poieo (fare), è voglia di fare, di creare, di costruire. Il poeta non può, per sua stessa struttura antropologica, arrendersi, e anzi per sua stessa conformazione esistenziale è portato alla vita e alla creazione.

Così Bisutti, da poeta, suggerisce la via e annuncia profeticamente: «[…] le montagne! come una promessa di innocenza, di salvezza, una presenza di Dio? E quella è la risposta che inconsapevolmente attendevamo: le montagne!»

La strada che indica è chiara, cristallina: la montagna è altezza, verticalità, ascensione, forma potente. Il simbolismo più profondo della montagna, quello che le conferisce un carattere schiettamente e chiaramente sacrale, è la verticalità. Tutte le grandi tradizioni religiose lo adottano a emblema di spiritualità e sacralità: così il monte Meru degli indù, l’Haraberezaiti degli iraniani, il Tabor degli israeliti, l’Himinghjor dei germanici, ma anche la montagna-tempio come il Borobudur, le ziggurat mesopotamiche o i teocallis precolombiani che si innalzano e si edificano a immagine del simbolo-montagna, così come la stessa mitologia mussulmana immagina il Caf, una montagna immensa che ha per fondamenta la pietra detta Sekhrat, un grandioso smeraldo. Anche nella tradizione occidentale il simbolo del monte sacrale è chiaramente evidente nella leggenda del Graal dove si mostra in tutta la sua evidenza salvifica, ed è Montsalvat, il monte della salvezza o della salute.

Ecco ciò che ci rivela il poeta Donatella Bisutti, ecco la via di salvezza e salute che ci indica: la montagna come promessa e speranza di salvezza! E ce le indica, quelle montagne, sapientemente: «in tutta la loro magnificenza, con le cime ancora spruzzate di neve». E ancora una volta coglie nel segno: le “cime”! Così Mircea Eliade si pronuncia sulla cima della montagna sacra: «[…] la cima della montagna cosmica non solo è il punto più alto della terra, è l’ombelico della terra, il punto donde Dio cominciò la creazione». Il senso mistico e sacrale della cima deriva chiaramente dal fatto di essere il punto d’unione tra cielo e terra.

Qui Donatella Bisutti ci indica, profeticamente, il nostro “Montsalvat”, il luogo della salvezza e della salute, ma anche il luogo della speranza e della ripresa: «le montagne! Come una promessa di innocenza, di salvezza, una presenza di Dio?».

Sì, «E quella è la risposta che inconsapevolmente attendevamo: le montagne!» afferma il poeta, lì in cima, tra cielo e terra, il miracolo di una sacra teofania, la presenza di Dio, o meglio ancora di una epifania del sacro (epifainomai, apparire), “il mostrarsi in filigrana dell’essenza”, come la definisce Joseph Campbell.

Ma Donatella Bisutti infine aggiunge, e ci mette in guardia: «L’importante sarà ricordarsene quando, prima o poi, tutto questo sarà finito e la giostra, dapprima lentamente poi sempre più accelerando, riprenderà a girare».

Sì, l’importante sarà ricordarsene di quelle presenze, invisibili ma reali. Quella presenza minuscola, sfacciata, spavalda, impudentemente “invisibile”, e che fa Male e porta Morte. E quell’altra, ugualmente “presenza” invisibile, ma sulla “cima” di una montagna, che fa Bene e porta Vita, “promessa di innocenza e di salvezza”.

Francesco Solitario

Docente di Estetica – Università di Siena

*In copertina: una delle “Trentasei vedute del Monte Fuji” di Hokusai

Gruppo MAGOG