27 Giugno 2018

“Mi sono innamorato dei loro nomi e ho inseguito i venti”: dialogo con Nick Hunt, lo scrittore in cammino

Tutte le grandi imprese hanno radici nell’infanzia, nascono dal pericolo e si arpionano a una mappa. “Rischiai di farmi portare via dal vento per la prima volta nel 1987, quando la Grande tempesta imperversò sulle Isole britanniche. Avevo sei anni. Accadde sul versante montuoso di Ynys Enlli, l’isola sacra di Bardsey al largo della costa del Galles del Nord”. Questo è l’incipit di Dove soffiano i venti selvaggi, libro di luci, che racconta i vagabondaggi lungo le vie del vento di Nick Hunt, talentuoso scrittore britannico, firma del Guardian e dell’Economist, in Italia per Neri Pozza, nella bella collana ‘Il cammello battriano’ (pp.304, euro 17,00). nick huntDopo il pericolo – la vita, in fondo, è vincere ciò che ci voleva rapire dalla vita, rapinando la nostra gloria – la mappa. “E poi un giorno vidi una carta con sentieri che non avevo mai visto prima, una carta dell’Europa trasfigurata da linee colorate, frecce predatorie simili all’avanzare di eserciti che attraversavano confini, passavano sulla terra e sul mare, collegavano regioni e culture che nella mia mente sembravano separate: latini e slavi, continentali e costieri, nordafricani ed europei meridionali”. Nick vede una mappa dei venti. Ed è sedotto dai “nomi seducenti” dei venti e dal fatto che il vento, per natura anarchica, non si fa relegare in uno Stato, scardina le frontiere, regala folate che mutano l’umore dell’uomo e il sapore della terra. Così, ispirato, in tutti i sensi, etimologicamente – il vento è, anche, respiro e ispirazione, senza riparo – si mette in viaggio. Nick, sedotto dai grandi viaggiatori – Patrick Leigh Fermor su tutti – viaggia come mamma l’ha fatto. Camminando. Ed è così, segugio di Mistral e di Bora, di Helm e di Föhn, che Nick racconta la storia di luoghi alieni ai centri della civiltà, racconta persone fuori dal tempo, dando voce ai nascosti, ai lati strambi, alle frange estreme della Storie, estranee al mito ferroso del ‘progresso’. Nick Hunt, infatti, tra le altre cose, è tra i paladini del “Dark Mountain Project”, che tra i suoi obbiettivi ha proprio questo: rompere con il mito della ‘civiltà’ fondando altri miti, altre storie, emerse dalle ceneri di millenni perduti; riconsiderare il ruolo dell’uomo – non tanto centrale, quanto marginale; non assoluto, ma parziale – sulla Terra. Dare allo scrittore, ecco, il ruolo, sciamanico, di fautore di leggende. Nick, in effetti, fa così. Cammina. Che è il modo più maturo e nobile di viaggiare. Ascolta. Conosce lo scintillio della lingua umana. Ma sa la parola delle pietre e il frugare degli alberi tra i vocaboli. Ha ascoltato il sussurro del vento. Io, che viaggio con la mente, gli ho legato i piedi, l’ho fermato, un attimo, prima di sparire, alla volta di una nuova storia, svoltando.

La natura del vento è simile alla natura della scrittura, dello scrittore. Non siamo mai, mai più, ciò che abbiamo appena scritto. Pensi esista una affinità tra il vento e lo scrivere?

Idea interessante. La parola ‘ispirazione’ è legata al latino spirare, ‘respirare’ oppure ‘soffiare’, da cui il nostro ‘spirito’. Più e più volte durante i miei viaggio ho rilevato l’antica connessione tra il vento, lo spirito, l’anima e il respiro e la vita. Dunque, sì, i due concetti sono simili. Tale è l’atto del camminare: il camminatore è in grado di viaggiare come il vento, serpeggiando lungo i sentieri, attraverso i paesaggi, ed è questo uno dei motivi per cui viaggiare per le vie del vento aveva senso, per me. Per me camminare è il miglior modo di scrivere, dato che il ritmo e il passo del camminare sono profondamente meditativi e questo aspetto mi ispira più che stare seduto di fronte a un computer.

nick hunt
Lui è Nick Hunt, l’autore di “Dove soffiano i venti selvaggi”

Il vento dirige il viaggio. Il vento orienta l’umore. Qual è il viaggio, inseguendo i venti, che ti ha affascinato di più, perché?

L’idea del mio libro viene da una mappa che mostra i percorsi dei venti europei. Mi sono innamorato dei loro magnifici nomi, che sembra tratti dalle favole: Bora, Mistral, Tramontana, Scirocco, Kosava, Meltemi, Föhn. Il fatto che questi venti abbiano dei nomi li rende simili a dei personaggi: io ho voluto trovare questi personaggi e conoscerli. Più tardi ho scoperto che sono davvero dei personaggi: molti di loro prendono il nome dagli antichi dèi greci e romani.

Sei un grande viaggiatore, sei uno scrittore. Chi sono i tuoi maestri? Intendo dire, ami più scrittori come David Thoreau, come Bruce Chatwin, come Leigh Fermor o altri? Insomma: cosa leggi?

Gli scrittori di viaggio che amo di più sono Patrick Leigh Fermor (nel mio primo libro, Walking the Woods and the Water, ho camminato lungo le 2.500 miglia percorse da lui nel 1934, da Hook of Holland a Istanbul), Jan Morris, Bruce Chatwin e Paul Theroux. Ammiro molto gli scrittori della natura come Robert Macfarlane, Horatio Clare e Amy Liptrot. Ci sono grandi romanzieri pubblicati oggi in Inghilterra (Cynan Jones, Paul Kingsnorth, Melissa Harrison), e sono un appassionato di science fiction. Se dovessi dire qual è il mio autore preferito, direi Ursula K. Le Guin – la femminista anarchica scrittrice di fantascienza che mi ha istruito molto più di molti altri scrittori ‘realisti’.

Volevo chiederti qualcosa intorno al ‘Dark Mountain Project’, una esperienza arcana e interessante. Che cosa intendi con la parola “uncivilisation”?

Sono redattore e collaboratore di Dark Mountain, un progetto che mette in discussione le storie che la nostra civiltà si racconta (il mito della centralità umana e il mito del ‘progresso’ infinito). Uncivilisation [‘Incivilimento’, ndr] è una parola coniata dai fondatori, Paul Kingsnorth e Douglad Hine, per indicare un tipo di letteratura e di arte che cerca di guardare oltre l’umanità e di vedere noi stessi non come una specie superiore, ma come una piccola parte in una rete di vite incredibilmente complessa e interconnessa. Quindi, tentiamo di pubblicare lavori che si focalizzano su questi concetti. Un progetto affascinante e complicato, che mi ha messo in contatto con pensatori estremamente interessanti.

Cosa intendete – cito dal “Manifesto” – scrivendo “vogliamo riaffermare il ruolo del narratore come qualcosa di più di uno che fa intrattenimento. Tessiamo la realtà attraverso le storie”?

Non ho scritto io il “Manifesto”, ma quello mi pare un magnifico pezzo di scrittura. Suggerisce che siamo chi siamo in seguito a profondi miti di fondazione – come il mito che gli umani sono la cosa più importante di questo pianeta (o nell’universo) e che il resto non è altro che una risorsa ad uso degli umani. Questa non è la verità, è una storia – un certo modo di vedere il mondo – ma la gente crede implicitamente in questa storia, perché non l’ha mai messa in discussione. Noi cerchiamo di mettere in questione questi miti e di trovarne altri, che abbiano più senso. Questi altri miti possono essere assolutamente nuovi, o avere cinquemila anni.

Come è cambiata l’idea di viaggio negli ultimi decenni? Nel passato il viaggio era sempre connesso al pericolo, a un cambiamento radicale di vita: oggi è turismo puro e semplice. Come viaggi? E… quale sarà il tuo prossimo viaggio?

Per quanto posso, viaggio camminando, perché penso che sia il modo più diretto ed efficace per capire un nuovo posto: sperimento il tempo, il paesaggio, le altre persone e il mio umore. Camminare è la forma più semplice di trasporto. Il mio prossimo libro sarà ancora un libro su un viaggio a piedi, ma non voglio parlarne ancora. Al momento, è bene camminare, lasciando che le parole mi seguano, più tardi.

Gruppo MAGOG