15 Settembre 2018

“Meglio un ottimo idraulico che un pessimo artista. E non abbiate paura di fare soldi…”: dialogo con Andrea Piacquadio, fotografo nomade, tra i più venduti al mondo

Quella fotografia scattata con una vecchia kodak trovata in casa. Che fine avrà fatto? Aveva ritratto il volto di una bambina. Ma chi era questa bambina? Non si sa. Chissà se oggi è una donna felice che pensa alla bambina che è stata. Magari è diventata madre, o è ancora single e sogna il grande amore, sfogliando riviste femminili. Il viso, con il tempo, ha perso i lineamenti e la fotografia affonda tra le nebbie dei ricordi di una vita fa. Quando chiedo al fotografo Andrea Piacquadio (le sue foto sono tra le più vendute al mondo) di dirmi quando è stata la prima volta che ha preso in mano una macchina fotografica, mi racconta che, con quella fotografia, aveva vinto il primo premio di un concorso scolastico. A dodici anni. Ma lui non dà molta importanza a questo episodio marginale nella sua vita – per me un avvenimento, una rivelazione – da qualche parte, promette, cercherà questo diploma. Sarà sepolto in qualche cassetto. Meglio non parlarne, nell’articolo. La verità, forse, è un’altra. Oggi che Andrea Piacquadio di anni ne ha quasi 40, un intero edificio scolastico – di quelli enormi, con tanti indirizzi – non potrebbe contenere le sue foto appese alle pareti. Quelle foto che, invece, si vedono ingrandite sui manifesti pubblicitari per le strade del mondo. E poi lui odia la scuola. Proprio non la può soffrire. Specialmente quella italiana. “Sono sempre stato pessimo a scuola, certo è stata un’esperienza importante dal punto di vista culturale, ma mi sento un autodidatta, tecnicamente ho imparato da solo. Ho iniziato nell’ambito della moda, per poi passare ai ritratti, intraprendendo così il mio percorso artistico. Credo sia un problema in generale della scuola di tutto il mondo, anche se in particolare di quella italiana. Tutto cambia ormai molto velocemente, mentre a scuola i professori hanno un approccio superato. Molti di loro non hanno nessun rapporto con il mondo del lavoro o sono semplicemente scadenti. La scuola per me è stata una esperienza negativa. La trovo antiquata, ideologica… Al liceo subivo il bullismo di compagni di classe vestiti da punk. Anni dopo li ho ritrovati adulti infelici. Eppure studiare è veramente fondamentale. Può fare la differenza in un mondo di povertà culturale. Ma non parlo affatto dello studio scolastico. È molto importante leggere, guardare film, ascoltare musica e studiare in continuazione. Prepararsi veramente in modo serio nell’ambito in cui si vuole operare. I giovani sono sempre più ignoranti!”.

Piacquadio
Pubblichiamo per gentile concessione alcune immagini del fotografo Andrea Piacquadio

Dopo il diploma, l’Accademia di Brera che il fotografo presto ha abbandonato per la Francia e gli studi all’Universitè de Paris 8, allora l’unica università di fotografia in Europa. La passione precoce per il disegno e le arti visive si sono trasformate nel sogno della fotografia, i soggetti preferiti gli stessi: donne e ritratti. “Fotografare modelle è sempre stato il mio sogno e continuo a farlo. La bellezza è uno dei settori più trainanti nella pubblicità. A parte questo, le donne sono sempre state il mio soggetto preferito, insieme agli anziani, che hanno il viso solcato dal tempo. Il modo in cui dovevo lavorare era però monotono. Bisognava sottostare agli standard imposti dalle agenzie fotografiche. Così ho iniziato a caricare foto sui siti di microstock. Fotolia, iStock”. Piacquadio è uno dei principali e dei primi, in ordine di tempo, contributors per le società americane di Microstock. Si tratta di un fenomeno web  dell’ultimo decennio che ha permesso alla fotografia digitale di diffondersi in maniera esponenziale, cambiando, alla radice e per sempre, le regole del mercato. Una rivoluzione assoluta, che ha permesso ai clienti, dai più grandi ai più piccoli, di comprare gli scatti a prezzi accessibili. Al sistema, meritocratico – mi spiega Andrea Piacquadio – si accede liberamente sia come contributors, sia come clienti. Naturalmente per diventare autori “scaricati”, occorre una buona dose di talento. “Sono stato uno dei primi ad investire, sette-otto anni fa, il mio tempo, prima degli altri, e contro il parere di tutti i miei amici” racconta Piacquadio che spiega come si è costruito il suo successo: “forse ho uno stile più creativo dei miei concorrenti, creo immagini più complesse, come costruzioni, lavoro tanto sulla postproduzione, fondendo più tecniche come il disegno o il 3D. I montaggi poi li creo in tutto il mondo, Europa, Cina, America, Sudafrica. Lunedì vedrò un team di programmatori australiani che vivono a Budapest. Anni fa non sarebbe stato possibile. Erano gli ungheresi ad andare in America o in Australia”. Poi, passeggiando, qualche anno fa, per le strade di Budapest dove, ormai da qualche tempo, vive parte della sua vita (“vivo in luoghi diversi, sfruttando al meglio le zone climatiche”), mi indica la foto di un manifesto pubblicitario: “guarda, c’è la mia mano!”. Stupefatta, osservo attentamente: era la stessa. Si riconoscono le sue fotografie e, ogni tanto, i suoi soggetti.

PiacquadioQualche giorno fa, invece, mi ha mostrato sulla vetrina di una farmacia il petto, anzi la “tartaruga” scolpita, di un suo amico macho, fasciato dalla bandiera. “Ma pensa – mi dice – lo hanno avvolto nel tricolore”. Ma non ci sono solo forme perfette nelle sue foto. Tutt’altro. Ci sono uomini d’affari con telefonino e pc, obesi che affondano felici i loro denti nei panini imbottiti. “Mi interessano tante tematiche, dall’infanzia all’obesità, i soggetti variano molto, dal business alla moda, ai problemi sociali. Il fatto di viaggiare mi dà la possibilità di incontrare molte persone. Mi piacciono molto di più gli attori che i modelli e, in fondo, il mio lavoro è pittorico, lavoro molto al computer, sfrutto gli strumenti che ci sono oggi. Mi sento un nomade digitale. Il lavoro on line ti permette di vivere ovunque, lavorare in maniera estremamente flessibile. Ricevo il denaro e non ho mai visto in faccia chi mi paga. In questo senso c’è più meritocrazia: vieni pagato per il tuo effettivo contributo. Per questo nomadismo digitale, anche la densità delle città del mondo cambierà… si opererà da nuovi luoghi. Sarà un profondo cambiamento, che è solo all’inizio. Sorgeranno nuove capitali. Budapest è un esempio. Mentre il lavoro fisso tenderà a sparire, insieme alla pensione”.

Cosa suggerisci a un giovane fotografo che vuole emergere? “È scontato, e si sente dire anche troppo spesso, che l’Italia non è il paese giusto per emergere, purtroppo è vero. In altri paesi, anche in Europa, la situazione per un emergente può essere, talvolta, più favorevole, ma trovare l’America in questo periodo storico non è così semplice. Internet per me è senz’altro una finestra sul mondo che mi ha fatto crescere come non avrei fatto, restando nel mio paese. Ma soprattutto occorre non avere paura di fare soldi: i soldi spaventano. Sembra quasi un delitto parlarne, invece sono importanti, come veicolo per costruire qualcosa di importante. E possono essere la benzina per far muovere grandi o piccoli progetti. Non deve essere un argomento tabù. I soldi come fine a se stessi sono inutili, anzi deleteri. Lavorare tanto e con il cuore è fondamentale: cercare di trovare la propria strada seguendo le proprie inclinazioni. Quello che conta è il contributo che si riesce, che si può, dare. Meglio un ottimo idraulico che un pessimo artista. Perché il pessimo artista è inutile, insegue passioni fasulle”. Ritrovo, in una sua foto, il vecchio divano verde acido che gli avevo regalato tanti anni fa, con sopra una bellissima fanciulla che guarda l’orizzonte, pensierosa. Non l’avevo mai trovato così bello quel vecchio divano verde.

Linda Terziroli

 

Gruppo MAGOG