15 Settembre 2020

“La vita più quotidiana e normale vogliamo vederla come un avventuroso miracolo”. Torna Massimo Bontempelli, evviva!

Il Premio Strega, nel 1953, fu una specie di risarcimento, insomma, una pernacchia. Massimo Bontempelli pigliò il premio per L’amante fedele, “raccolta di racconti scritti tra il 1940 e il 1946”, stampati da Mondadori, non il suo libro migliore. Riuscì a sconfiggere, senza ansie, Gadda (che partecipava con Novelle del ducato in fiamme), Mario Tobino (Le libere donne di Magliano), Giorgio Bassani (La passeggiata prima di cena). In lizza c’erano pure Mario Rigoni Stern (Il sergente nella neve), Lalla Romano (Maria), Silvio D’Arzo (Casa d’altri). Altri tempi. La vita di Bontempelli, d’altronde, volgeva al tramonto: morì nel 1960, in estate, era nato a Como, nel 1878, aveva ‘fatto’, letteralmente, la letteratura italiana, fu svergognato da uno sfregio.

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Quando pubblica Gente nel tempo – stampato da Mondadori nel 1937, riproposto ora, era ora, dalla neonata Utopia – tra i suoi libri più grandi, “il più voluto e costruito” (così Alberto Asor Rosa), Bontempelli ha fatto di tutto, è nell’ennesimo dei momenti cruciali della sua vita. Interventista, vent’anni prima si era arruolato come ufficiale d’artiglieria, nel 1918, vicino a Filippo Tommaso Marinetti, era stato tra i fondatori del Partito Politico Futurista, aveva pubblicato La vita intensa (1920) e ideato con Curzio Malaparte, era il 1926, 900, trimestrale internazionale che ha tradotto, per la prima volta in Italia, Joyce e Virginia Woolf, e aveva in redazione Corrado Alvaro. Aveva tradotto, lui, Stendhal, Chateaubriand, il Vangelo di Giovanni. Era stato fascista e Accademico d’Italia, ma poco dopo la pubblicazione di Gente nel tempo – e l’istituzione delle leggi razziali – prese la decisione inderogabile. Nel 1938 rifiutò la cattedra di letteratura italiana a Firenze, sottratta a Momigliano, “nel novembre del 1938, dopo la commemorazione ufficiale di Gabriele D’Annunzio, tenuta a Pescara il 27 di quel mese, il Bontempelli viene espulso dal Partito nazionale fascista e sospeso per poco più di un anno da ogni attività di giornalista e di scrittore”.

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Gente nel tempo, al di là delle etichette – Bontempelli è il fondatore del “realismo magico”, riassunto in questa bella formula: “Piuttosto che di fiaba, abbiamo sete di avventura. La vita più quotidiana e normale, vogliamo vederla come un avventuroso miracolo: rischio continuo, e continuo sforzo di eroismi o di trappolerie per scamparne” –, è un romanzo scritto magnificamente, e scandito dalla morte. Davvero, non si comprende l’eclissi di Bontempelli: nessuno scrittore dovrebbe farne a meno. Bontempelli ha velocità narrativa, ritmo, danza nella sintesi, ferocia visionaria. L’incipit di Gente nel tempo, per dire, è da antologia, una mitragliata di diamanti addosso: “La Gran Vecchia morì di domenica, 26 agosto del 1900, ultimo giorno d’una settimana che era tutta stata di ferocissimo sole. Invano gli uomini implorarono cantando in coro e sonando forte l’organo: il cielo era rimasto immobile, le sorgenti su per la montagna screpolata morivano e i fiori nei giardini stavan secchi come sotto le campane di vetro dei cassettoni. Si spaccavano le pietre dal caldo contro il ventre delle lucertole, gli uomini guardavano imbambolati la donna da lontano. Perché gli usignoli eran caduti morti dalle cime dei lecci, le cicale stridevano anche la notte”. Bontempelli era amico di Giorgio de Chirico, ma a me ricorda le tele e i pensieri di Scipione. La storia è semplice – il disfacimento della famiglia Medici, colta da ricorrenti funerali – ma ci abbagliano sciami di aforismi oscuri: “Non importa morire, importa non sapere quando. L’ignoranza è la giovinezza”; “La vita è dubitare”; “La vita è essere incerti, la vita è non sapere, non sapere né quando né dove uno va”.

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Pubblico nel 1937, Gente nel tempo esce a puntate su “Nuova Antologia” nel 1936, è scritto l’anno prima, nel 1935. Un anno determinante. Nel 1948 Massimo Bontempelli, nella sua nuova vita, a 70 anni viene eletto in Senato per il Fronte Democratico Popolare (la coalizione tra il PCI di Togliatti e il PSI di Nenni). Insomma, è passato dall’altra parte, abbiamo visto perché. Solo che al “compagno Bontempelli di oggi” non è perdonato “il camerata Bontempelli di ieri”. Il 2 febbraio 1950 in Senato parte la “Discussione sulla elezione contestata nella regione della Toscana” di Bontempelli. “Il corpo del reato è l’antologia dal titolo Oggi pubblicata nel 1935”, curata da Bontempelli e censita come “propaganda fascista”. “L’antologia è costituita da cinque parti di ben 675 pagine, delle quali solo 25 sono di esaltazione fascista”, precisa Giuseppe Proli, avvocato, comunista. “Potete pensare che attraverso questo libro, attraverso queste letture che nella quasi totalità riguardano grandi italiani, come Carducci, Ippolito Nievo e altri grandi scrittori e grandi eroi, i giovani potessero diventare fascisti o non piuttosto monarchici, repubblicani o di altra ideologia politica?”, ribadisce. Pure Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente, comunista, fu dalla parte di Bontempelli: “l’antologia, redatta dal Bontempelli era per l’appunto destinata allo studio della lingua italiana. Non era un «testo scolastico di propaganda fascista»”. Non servì. In Senato a prevalere fu la linea di Alberto Canaletti Gaudenti, rappresentante della Democrazia Cristiana (“in nome di un principio morale Massimo Bontempelli non può essere senatore della Repubblica Italiana”); Bontempelli fu usato come capro espiatorio, letterato di genio durante il Ventennio messo al rogo. Votarono in 213, 112 contrari: Bontempelli terminò così, con l’espulsione dal Senato – caso pressoché unico –, la propria attività politica.

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Relegato all’antico ‘Meridiano’ Mondadori delle Opere scelte a cura di Luigi Baldacci e poco altro, fa piacere leggere che “tutti i romanzi” di Bontempelli “sono in corso di pubblicazione nel catalogo di Utopia”. A istinto, mi piace meno la “Lettera a uno sconosciuto” di Gerardo Masuccio, “editor di Utopia”, sull’ala del libro – di ottima fabbricazione. L’editore faccia il suo lavoro con serietà e una certa severità, senza ammiccamenti inutili o orpelli, che ormai si leggono ovunque. Ma queste sono cose mie. “Respirava luce… la sua anima si metteva a lottare contro la violenza dei colori. Qualche ora si sentì infernale, in altre era una bestia battuta”. Mi pare più contemporaneo Bontempelli di troppi autori ‘di oggi’, quasi lo tocco, lo invito a pranzo, ha occhi pieni e scaltri, tra pane e vipera. (d.b.)

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