09 Agosto 2020

“Qui nevica senza sosta, non accadeva da cento anni, e la proprietaria ha la grazia malinconica di Marlene Dietrich”. Una lettera di Mary McCarthy a Hannah Arendt

L’amicizia tra Mary McCarthy e Hannah Arendt scatta, per eccezionale affinità, nel 1944; è sancita da un vasto carteggio, incominciato nel 1949, durato fino alla morte di Hannah, nel 1975. La Arendt era arrivata a New York nel 1941; dieci anni dopo pubblica “Le origini del totalitarismo”. Mary McCarthy è tra le più lucide, disinibite e audaci scrittrici del proprio tempo. Quando scrive questa lunga lettera dal Portogallo alla Arendt (parte del carteggio è stata edita in Italia da Sellerio come “Tra amiche”, nel 1999), la McCarthy ha mollato Edmund Wilson, si è accasata con Bowden Broadwater (il terzo di quattro mariti complessivi), sta pubblicando “A Charmed Life” (subito tradotto da Garzanti). Di lì a poco scriverà i libri più celebri: “Memories of a Catholic Girlhood” (1957) e “The Group” (1963; ridotto poco anni dopo in film da Sidney Lumet).

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Pensao Bela Vista
9 Rua Ataide
Lisbona, Portogallo, 21 gennaio 1954

Carissima Hannah,

Qui nevica senza sosta, per la prima volta, dicono, da cento o da dieci anni, non saprei. Un pomeriggio adatto per scrivere una lettera, dunque. Un giorno sì e uno no, dopo pranzo, facciamo camminate da consumarci le scarpe. Siamo già stati nella maggior parte delle chiese, all’Alfama, ai Giardini Botanici, che sono incantevoli: a parer mio davvero l’espressione di una nazione; alla biblioteca americana, a quella inglese, in negozi, alberghi, caffetterie. La prima sera siamo arrivati fino al Rossio e abbiamo cercato il posto in cui tu e Heinrich andavate a prendere il caffè. Ma non penso di averlo trovato.

Stiamo in una pensione in cui sembriamo essere gli unici ospiti, sebbene abbiamo sentito alludere ad altri pensionanti. La precedente proprietaria, che ci era stata raccomandata da Leonid [Berman], il pittore, a quanto pare, è impazzita qualche anno fa e ora il posto è sotto una nuova gestione. Temo che stiano per fare bancarotta. Comunque noi abbiamo due camere, di cui una è molto grande, con il balcone e una meravigliosa vista sul porto. La nuova Madame è una certa Mlle. Carole che si avvicina ai quarant’anni, fuma un’eterna sigaretta e indossa un bolerino rosso e una camicetta inglese abbottonata fino al collo. Si porta dietro una certa grazia malinconica alla Marlene Dietrich, che denota un imminente tracollo finanziario. È metà francese e metà svedese, la madre è una grassa maman francese dall’abito nero e lo sguardo di profonda rassegnazione. Non smettono di ascoltare la radio francese e parlano in quattro lingue: tedesco, francese, inglese e portoghese. La loro tortura e afflizione è la Portoghese, ossia la loro aiutante. La cucina è davvero incostante, come il tempo; quando cucina la Portoghese, è mediocre, quando cucina Madame è buona, quando cucina Maman è superba. Come chiunque quando si trova in una condizione precaria, sembrano possedere il potere di leggere la mente. Percepiscono il momento esatto in cui decidiamo di provare qualche altro posto e Maman si dirige verso la cucina: allora la cena è all’altezza de La Pérouse. Tuttavia si respira un’aria generale di creditori incalzanti, dipendenti che si licenziano, confusione, fusibili che saltano; per fartela breve, io mi sento molto solidale con loro e Bowden si è placato dopo aver fatto un giro nelle altre pensioni; e la posizione qui è estremamente comoda: in alto, proprio sopra e a ovest del Chiado. Naturalmente, paghiamo troppo rispetto alla media portoghese, ma ci consoliamo con il fatto che non facciamo in tempo a esprimere un desiderio che tutta la pensione è già in azione. Il motivo, lo so, è che siamo americani. E gli americani, per queste persone, sono come divinità primitive, un grappolo di imprevedibili e misteriose voglie da appagare e se possibile anticipare. Hanno le idee più strane su cosa potremmo desiderare, idee timide, speranzose, come offerte. Al momento abbiamo una stufa a gas in camera, ma il ragazzo continua a salire per offrirci anche una stufa elettrica, nonostante non ce ne siano altre in casa e noi non ne abbiamo il benché minimo bisogno.

Non so quanto a lungo rimarremo qui. Dicono che l’Algarve, al sud, dove pensavamo di andare, sia completamente imbiancata, nonostante la mimosa dovrebbe essere già fiorita. Sai che il New Yorker mi ha chiesto una “Lettera dal Portogallo”? Ieri ho incontrato il nostro addetto stampa, che mi è parso piuttosto bravo e abbiamo parlato di Platone. La cosa che mi colpisce di più qui è il fenomeno dell’Americanizzazione. Sono molto attivi gli interessi commerciali americani: Ford, Buick, International Telephone, TWA; per strada si vedono migliaia di automobili nuove e le vetrine sono piene di radio, frigoriferi, pentole a pressione, vasche per neonati; molte fra queste cose sono di fattura americana. La cosa più strana è trovare sulla Rua Garrett (la principale via di negozi) scatole di salatini Ritz avvolte nel velluto rosso; una vetrina intera solo per quelle e un’altra per le Tootsie Rolls. Vi è una sorta di pathos infantile o primitivo in questo; le loro confezioni e le loro torte sono così incantevoli, come ricorderai. E ovunque, nei sobborghi, ma persino nella città stessa, spuntano case popolari. Devo dire che le loro sono meglio delle nostre.

Dal punto di vista politico non so ancora nulla di questo paese. Sembra piuttosto sconcertante a livello economico, una strana miscela di prosperità e povertà. La prosperità deve essere piuttosto diffusa tra tutta la classe media della città, ma non riesco a comprendere da dove provenga. Nelle sale da tè e nelle caffetterie si accalcano uomini e donne ben vestiti, che negli Stati Uniti considereresti gente d’affari, o persino segretarie e rappresentati; tutta la classe media più giovane, a dire il vero, sembra molto americana, come se avesse modellato espressioni e modi di fare sulla base dei film; sono solo gli aristocratici e i poveri ad avere l’aspetto che io definirei portoghese. (Trovo che questa sia una grande differenza rispetto all’Italia o alla Francia). D’altro canto, i prodotti di fabbrica nelle vetrine dei negozi, ma anche nelle strade più rinomate, sono davvero scadenti – parlo di scarpe, borse, vestiti, camicie da uomo. Tutto sembra uscito da un magazzino di Gimbel o da una svendita dopo un incendio. E poi l’artigianato sembra non esistere per nulla, solo roba dozzinale, pacchiana e rozza, affatto autentica, il tipo di oggetto che potresti acquistare alla stazione ferroviaria come souvenir. Nei vicoli e nell’Alfama regna una sorta di povertà medievale, ricorda l’Africa, come hai detto tu, o le pagine più crude de I Miserabili o di Notre-Dame de Paris.

Ora devo interrompere. Si sta facendo buio e una cosa che non sono riuscita a procurarmi in questa pensione è una buona luce da lettura o scrittura. Ti manderò un altro resoconto tra non molto. Se hai un minuto, mandami due righe qui. Parliamo costantemente di te. Dove sei stata tu a Lisbona, mi domandavo. In che quartiere?

Domani incontrerò il numero due del Segretariato per la Propaganda. L’unica altra persona del posto che abbiamo conosciuto è un ballerino di danza classica, di cui ci aveva parlato sempre Leonid, domani sera ci porterà ad ascoltare il Fado all’Alfama.

Con tanto tanto affetto per entrambi,

Mary

*Da Between Friends: The Correspondence of Hannah Arendt and Mary McCarthy, 1949-1975, di Hannah Arendt, Carol Brightman, Mary McCarthy. New York, 1995; traduzione di Valentina Gambino

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