08 Gennaio 2020

“I classici greci e latini sopravvivono comunque, sono e restano le sentinelle dell’Occidente”. Dialogo con Maria Grazia Ciani: ha tradotto Iliade e Odissea, ha dato nuova vita a Penelope

Forse perché Omero, l’esodo, l’esilio, il dolore di una infanzia fratturata, e infine il lampeggiare della vita, l’ha vissuto, l’ha sofferto, mi dico. Maria Grazia Ciani è nata a Pola, vive l’emigrazione istriana da bimba, uno squarcio, cresce in Veneto. Allieva di Carlo Diano, classicista all’Università di Padova, nel 1990 rivoluziona l’alcova accademica. Per Marsilio pubblica l’Iliade in prosa. Una prosa solenne, incisa sul ferro, bellissima. Frutto di una vita passata sullo scudo di Achille, sensibile al fiato omerico. L’editore, a proposito, ebbe una idea doc: pubblicare quella traduzione spaiata, in singoli capitoli (da L’ira di Achille al Riscatto di Ettore), con una introduzione suggestiva, a misura di lettore e non di specialista. I libri stavano nella tasca della giacca. Li si tirava fuori, ovunque, per gettarsi nella mischia, presso le mura di Ilio: l’Iliade come una fiction, come si legge, per dire, Il Signore degli Anelli. Nel 1994 la Ciani licenziò una altrettanto avvincente versione dell’Odissea. Bisognerebbe parlarne di continuo, penso, mentre leggo che nel mondo anglofono, con gergo femminista, si elogia con sfoggio di violini l’opera di Emily Wilson, 48 anni, tre figli, docente all’University of Pennsylvania, “la prima donna ad aver tradotto l’Odissea in inglese”. Alla Wilson l’hanno ricoperta di soldi – 625mila dollari, per la precisione, quelli assegnati dal MacArthur Fellowship a personalità di conclamato genio – noi a mala pena omaggiamo la Ciani (per non dire della brava Rosa Calzecchi Onesti, che per Einaudi tradusse entrambi gli omerici, su ispirazione di Cesare Pavese). L’anno passato, per altro, la Ciani si è rivelata una scrittrice sorprendente. Intorno a una “chiacchiera” tratta da Apollodoro, ha costruito un romanzo ‘per voci’, La morte di Penelope (Marsilio, 2019) che disintegra il cliché della fedele moglie di Odisseo, con tersa raffinatezza (“Misteriosa e sfuggente. Ma attraente e desiderabile tanto più quanto più si mostra dolente, piegata dai ricordi, costante nell’attesa”, la dice l’amante, Antinoo). La scrittura ha una quieta ferocia – pare di sentire il tono atavico della Yourcenar – e il romanzo convince più di tanti tentativi di scrittori ammantati di premi. Contatto la Ciani. Resta sempre reclusa in un originario pudore. (d.b.)

Nel 1990 pubblica la traduzione dell’Iliade. Cui seguirà, anni dopo, l’impresa dell’Odissea. Mi è sempre sembrato (forse sbaglio) che lei abbia più sintonia con il poema della guerra, che lo ‘senta’ di più: è così? In ogni caso, come è nata l’idea di avventurarsi negli omerici, un’impresa traduttiva titanica? E poi, perché la prosa? 

Ho sempre amato l’epica, di ogni paese. È stato quindi inevitabile, laureandomi in greco, dedicarmi poi in modo particolare a Omero. Tradurre mi piace e non mi affatica né mi annoia: mi fa compagnia. È vero, preferisco l’Iliade all’Odissea, per la struttura, il “passo” guerriero, la tensione continua, anche la lingua, più incisiva di quella dell’Odissea, anche se non sembra. Perché la prosa? Perché non sono un poeta, perché la traduzione verso per verso, adottata comunemente, non mi piace. Ho scelto la prosa con l’intento di dare comunque un ritmo, una cadenza. E confesso che, anche se la lettura risulta scorrevole e anche piacevole, ora penso di aver tolto qualcosa alla severa scansione dell’esametro, soprattutto per quanto riguarda l’Iliade, cioè appunto il passo guerriero, la bellezza degli enjambement, il valore delle pause a metà verso. Però allora la scelta fu inevitabile: consideravo l’esametro soprattutto un verso narrativo e quindi la prosa mi sembrò adatta alle mie possibilità.

Dal gorgo dell’Odissea ha tratto Penelope, offrendo una ‘variazione’ inattesa. Penelope non è più “angelo del focolare”, che con scaltrezza scansa le avance dei pretendenti, in una vita di attese, ma femmina e appassionata. Come le è venuta l’ispirazione?

Nessuna ispirazione, semplicemente ho letto i mitografi, che di solito vengono trascurati, e in Apollodoro ho trovato questa variante su Penelope: Odisseo l’avrebbe uccisa perché aveva scoperto che lo aveva tradito con uno dei Proci. Di varianti su Penelope e Odisseo i mitografi ne riferiscono molte, pur raccomandando cautela: ma è il loro mestiere, sono i giornalisti dell’epoca e devono dare conto anche delle “chiacchiere”. Da questa “notizia”, di una Penelope uccisa da Odisseo per adulterio, mi è venuta l’idea di un’“altra” Penelope e il resto è nato dall’immaginazione. Non amo le “riscritture” dei classici, ma per una Penelope che nell’Odissea non fa che piangere e lamentarsi, ho pensato a una donna che in segreto può coltivare anche altri pensieri e passioni. Anche suo malgrado.

Di quale altro personaggio omerico vorrebbe scrivere?

No, nessun altro personaggio, almeno per ora, credo che Penelope resterà un esperimento unico, anche perché non rientra nel mio modo di studiare e approfondire i mille misteri della civiltà greca. Ci sono personaggi che mi affascinano molto, ma proprio perché i Greci li hanno resi tali. Non vale la pena rimaneggiarli ancora. Anche per Penelope mi sono aggrappata a quanto riportato da Apollodoro, altrimenti credo che non ci avrei pensato mai.

Da grande classicista, che rapporti ha avuto con la Bibbia? Cosa ama e cosa la respinge di quel testo?

Ho avuto rapporti con i Vangeli ma pochi con la Bibbia, quindi non posso dire che cosa mi respinge e che cosa mi piace. Per ora posso dire che mi interessa anche per un confronto con il Corano. E forse è troppo tardi per incominciare adesso, ma i tempi lo richiedono, lo esigono. Per ora mi spinge la curiosità e il desiderio di sapere.

In diverse forme gli omerici, i “classici” in genere hanno nutrito la grande letteratura d’Occidente, fino a Joyce, a Broch, penso anche a Christa Wolf, a Christoph Ransmayr, a Derek Walcott. Oggi le sembra ancora così pervasiva la forza simbolica, l’energia ispiratrice degli omerici?

È difficile pensare anche solo alla letteratura europea senza la conoscenza dei classici greci e latini. Ma ora come ora si stanno allontanando sempre più, e le riscritture e i rimaneggiamenti dei registi per le tragedie ne sono una prova evidente. Il rischio è quello di deformare l’autenticità del messaggio degli antichi, confonderlo con quello delle altre civiltà che solo ora impariamo a conoscere. Ma anche questo fa parte della nuova epoca che stiamo vivendo. È importante che, anche con minore forza ed energia, i classici greci e latini sopravvivano comunque, che non se ne perdano le tracce. In fondo sono e restano le sentinelle dell’Occidente.

Quale personaggio mitico è disponibile a svariate “variazioni”, è ancora del tutto attuale, rappresenta l’oggi. Quale, al contrario, resiste in una sua ignifuga solitudine?

Domanda difficile. Variabile resta sempre Odisseo e forse anche Edipo e personaggi minori di cui poco si sa e si può lavorare di fantasia. Solitario per me è Achille e forse anche Socrate, dietro la maschera ambigua di Platone.

*In copertina: John William Waterhouse, “Penelope e i Pretendenti”, 1912 

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