29 Gennaio 2020

“Quella giovane pazza che improvvisa la sua poesia, danzando, l’anima divisa da se stessa”: Margot Ruddock, la poetessa che diventò folle per amore

Alla questione estetica si fonde quella fisica, per così dire. Nel 1934 William B. Yeats va per i 70 e decide di risolvere il problema, ricorrente, dell’impotenza. Etereo, cristallino, il poeta si fa operare da Norman Haire, medico di fama, autore di Rejuvenation, a Londra. Pare che l’operazione sortisca gli esiti sperati: al rinvigorimento del corpo segue una specie di giovinezza poetica. “Il poeta, che trascorre il giugno del 1934 a Rapallo e l’autunno a Roma, sente tornare il vigore dell’ispirazione e intraprende, con il tacito consenso della moglie, nuove relazioni sentimental-erotiche: dall’ottobre, con l’attrice ventiseienne Margot Ruddock; dal dicembre con la romanziera Ethel Mannin; dall’estate del 1935 con la più anziana Lady Dorothy Wellesley… Più tardi, Yeats prenderà in affitto un piccolo appartamento a Londra per intrattenere in privato” (così nella Cronologia dell’Opera poetica di Yeats raccolta nei ‘Meridiani’ Mondadori, 2005). Ethel Mannin, nata nel 1900, donna libera e volitiva, libertina e anarchica, fu l’amante di Yeats e di Bertrand Russell, aveva simpatie sovietiche, scrisse moltissimo – alcuni suoi libri sono editi in Italia da Castelvecchi –, visse a lungo (fino al 1984). D’altra parte, Lady Wellesley, duchessa di Wellington, classe 1889, era ricca, nobile, ben equipaggiata, poetessa di pregio, socialista snob, editor presso la Hogarth Press. A me interessa l’altra, la più giovane.

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Margot Ruddock era un talento grezzo, pura ispirazione, un elisir di nuova vita per Yeats. Nel 1937 Yeats scrisse una partecipe introduzione al primo – e unico – libro di poesie di Margot. “Ero a Maiorca, facevo la colazione a letto, erano le 7.30 quando mia moglie annunciò la visita di Margot Collins – una donna a cui, due anni prima, avevo divinato la tragedia di un genio frustrato. Voleva fondare un teatro di poeti. Viso meraviglioso, era un’attrice di provincia, ma di successo: giunta a Londra, cercava un palco adatto al proprio talento… Il cognome di suo padre era Ruddock e lei voleva farsi chiamare così, da poeta, Margot Ruddock… La sua poesia mi apparve appassionata, piena di caotiche improvvisazioni, di una potenza che surclassava l’assenza di cultura letteraria. Criticai la veemente incoerenza di alcuni suoi testi. Altri, piuttosto, mi sembravano alludere all’intensità di Emily Brontë”. Quando Yeats scrive l’intro, eccitato dal senso di colpa, Margot è precipitata nella follia. La relazione con il poeta è finita, lei lo tempesta di lettere, lui le ordina di smettere: lei va fuori di testa e viene ricoverata in una casa di cura a Madrid. Tra le lettere, il poeta riceve un manipolo di poesie, che costituisce l’osso del libro, “pubblico sotto la mia responsabilità… nonostante alcune imperfezioni, io vedo una statura nobile, il pregio della stranezza in queste poesie”. Yeats morirà poco dopo la pubblicazione del libro, The Lemon Tree. Nell’introduzione, Yeats dà esempio della poesia della pupilla:

Cielo duro, vento che soffia gelido
Pianura di pietra ripida
La mente è ferita e sanguina
La mente si scinde al vento.

Per tutti tutto è vero
Perché tutto ciò che è è vero
Ma la Verità non è
Essere la Verità non è essere.

Il dolore non è Verità
La Verità nel dolore deve vivere il dolore
Ma io non conosco il dolore
La verità è una prova contro tutto
Non per se stessa…

Ho numerato ciò che può accadere
E non accadrà
Ho detto ciò che sarà
Ma non lo sarà.

Alcuni malignarono che ci fosse il verbo di Yeats tra le spirali verbali di Margot.

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Vengo a conoscere Margot Ruddock, in realtà, tramite Cristina Campo. Quando, nel 1953, la Campo redige per Casini la scheda sul fatidico “Libro delle ottanta poetesse”, tra Saffo e Ildegarda di Bingen, tra Caterina da Siena e Emily Dickinson, Anna Achmatova, Virginia Woolf, Catherine Pozzi c’è anche lei, Margot Ruddock. Il libro della Ruddock, però, stampato da J.M. Dent nel ’37, non è più riedito. Probabilmente la Campo legge la poetessa stipata nell’Oxford of Modern Verse 1892-1935, raccolta, invece, notissima (e criticatissima), curata da Yeats per la Oxford University Press, dove appaiono Chesterton e D.H. Lawrence, Oscar Wilde e Tagore, Auden e Thomas Hardy, Gerard Manley Hopkins e Joyce, Ezra Pound, un poco di Eliot, Stephen Spender e lei, Margot. “Sto studiando Eliot e la sua scuola. Non intendo dargli molto spazio nella mia antologia e devo precisare le mie obiezioni, capire perché i lavori giovanili di T.S. abbiano stupito così tanto”, scrive Yeats a Margot, il 25 febbraio 1935. Poi la concupisce raccontandole la favola. “C’è un episodio delle Mille e una notte che mi diverte, potrebbe essere un motto per un libro progressista sull’educazione dei bambini. Dunque: Sheherazade, la regina dei narratori, dice al marito che sta raccontando alcuni aneddoti i quali ‘per quanto morali, potrebbero sembrare licenziosi’. Il re risponde, ‘Non celarli, ma forse è bene che mandi via la tua sorellina, che sta giocando tra i cuscini’. Sheherazade dice di no, ‘non c’è niente di vergognoso nel parlare di ciò che accade sotto la nostra cinghia’. La mia vita al momento è fatta di Balzac e delle Mille e una notte. Quando poggio il libro, guardo le cinciarelle blu sul davanzale, che mangiano il pane. I pezzi migliori di Balzac e delle Mille e una notte sono come quegli uccelli, per questo non li dimentichiamo mai. Forse desidero ammirare ancora la tua bellezza per lo stesso motivo con cui, irragionevolmente, desidero contemplare le cinciarelle blu”.

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Margot non scriverà più. Si era sposata troppo giovane, con un tizio di nome John. Aveva avuto un figlio, Michael, seguì il divorzio. La relazione con Yeats mise in crisi, definitivamente, il suo secondo matrimonio, con l’attore caratterista Raymond Lovell. La vastissima filmografia di Lovell si conclude nel 1953: ha una piccola parte ne I vinti di Michelangelo Antonioni (se vi leggo la lista degli sceneggiatori impallidite: Bassani, Diego Fabbri, Roger Nimier, Turi Vasile, Susi Cecchi d’Amico). Dai due scaturisce una figlia, Simone, che avrà un qualche successo come attrice per la tivù. La sua nascita, nel 1934, coincide, tuttavia, con la nascita della relazione tra Margot e Yeats. Effettivamente, Margot impazzì d’amore. L’ultima volta, vide Yeats che lavorava con il maestro indù Shri Purohit Swami alla traduzione di alcune Upanishad (edite da Faber nel 1938). Nel 1971, con il titolo Ah, Sweet Dancer, fu pubblicato l’epistolario tra Yeats e Margot. Sweet Dancer è il titolo della poesia, scritta nel gennaio del 1937, che Yeats dedica a Margot:

La ragazza si muove danzando
Sul prato d’erba seminata,
Appena rasa, liscia, del giardino;
Evasa dall’amara giovinezza,
Sfuggita alla sua folla,
O alla sua nuvola nera.
Ah, danzatrice, ah, dolce danzatrice!

Se venissero estranei dalla casa
Per ricondurla via,
non dite che è felice perché è pazza;
Gentilmente sviateli,
Lasciatele finire la sua danza,
Lasciatele finire la sua danza.
Ah, danzatrice, ah, dolce danzatrice!

*

Margot è la sirena, l’incantata ispiratrice dell’ultima stagione poetica di Yeats, che coincide con i New Poems. “Le tue storie selvagge sono il principale ristoro della mia mente. Senza di loro impazzirei”, scrive Yeats a Margot. Il retroscena di Sweet Dancer è ricostruito da Ariodante Marianni (in: W. B. Yeats, Le ultime poesie, Bur, 2004) che ricalca una lettera di Yeats a Olivia Shakespear, da Palma di Maiorca, il 22 maggio 1936: “Il giorno dopo si recò a Barcellona e lì impazzì, s’arrampicò fuori da una finestra, cadde attraverso il tetto di una panetteria, si ruppe una rotula, si nascose nella stiva di una nave, continuando quasi tutto il tempo a cantare le sue poesie. Il console britannico a Barcellona mi mandò a chiamare e George e io andammo lì, la trovammo che aveva recuperato la ragione… era in una clinica e stava scrivendo un resoconto del suo momento di follia. Si dimostrò impossibile ottenere un’adeguata copertura finanziaria dalla sua famiglia, così accettai di farmene carico io e lei venne rimandata in Inghilterra e adesso non potrò permettermi vestiti per un anno… Quando sarò a Londra probabilmente mi nasconderò, perché voglio mantenermi a distanza da una tragedia in cui non posso essere di nessun ulteriore aiuto”. Secondo la testimonianza di Robert McHugh, Margot “fu internata in un manicomio; restò in una specie di solitario crepuscolo della mente fino al 1951, quando morì a Epsom. Non aveva che quarantaquattro anni”. La ragazza che impazzì d’amore è radiosa nell’opera di Yeats, che nel 1936 scrive A Crazed Girl. “Quella giovane pazza che improvvisa la sua musica,/ la sua poesia, danzando sulla spiaggia,/ l’anima divisa da se stessa”. Sembrava quasi godere, il poeta, di una gioia sinistra. (d.b.)

*In copertina: John William Waterhouse, “Ofelia”, 1889

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