19 Maggio 2020

“Era quello alto che gli piaceva Frank Zappa”: Gianluca Barbera dialoga con Marco Drago

Marco Drago è uno schietto, che non le manda a dire. A volte così diretto da risultare spiazzante, perfino offensivo. Per questo mi piace. L’ho incontrato una sola volta ma si può quasi dire che siamo amici. Lo stimo e lo rispetto. Mi piace come scrive e mi piace come persona. Non saprei dire perché. Ma è così. Ci sono persone con le quali abbiamo affinità. Tutto qua. E questo conta. Scrittore con all’attivo numerosi romanzi per importanti editori, come racconta nell’intervista, autore radiofonico e fondatore di una rivista mitica negli anni Novanta, Maltese Narrazioni, con Varbella, Galiazzo e altri eroici scrittori. L’ho intervistato in questi giorni di uscita dal letargo forzato.

Lui è Marco Drago (pare)

La vita riprende, le librerie ripartono. Il tuo futuro di scrittore? cosa bolle nella tua pentola?

Radio! Sempre radio. È da poco andato in onda su Rete Due della RSI “My name is Depero”, un radiodramma lungo due ore e mezza, diviso in dieci puntate, sui due anni americani di Depero e sua moglie Rosetta (dall’11 al 22 maggio alle 13,30 – puntate ascoltabili qui). Intanto sto scrivendo il copione per una nuova avventura radiofonica sempre per RSI, un adattamento da un libro poco noto di MarkTwain. Stavolta la produzione sarà tutta da remoto. Sono curioso di vedere come sarà, è la prima volta che facciamo un radiodramma senza restare tutti insieme chiusi per una settimana o più in studio. Lo scrittore lo faccio così, spero sia chiaro. I lettori di libri sono molto restii a seguire un autore che cambia mezzo espressivo. Infatti ancora oggi sono perseguitato da quelli che mi chiedono perché ho smesso di scrivere.

Qual è la tua idea di letteratura? 

Non ne ho idea. La mia istruzione è mediocre, non sono mai stato un granché come studente, ho riflettuto sempre molto poco sulla teoria della letteratura. Ho letto tanti libri, devo anche aver visto tanti film e poi ho scritto parecchie cose, senza mai ripetermi. Ho cominciato con i racconti, sono passato al romanzo, ai dialoghi radiofonici, ai radiodrammi, alle canzoni, alla nonfiction, alle biografie, ai libri scritti in segreto come ghost writer, ho sempre preso al volo le occasioni in cui mi sembrava di poter dire la mia. Quindi l’idea della mia letteratura è un’idea molto poco delineata, casuale, figlia del destino. Riconosco di avere alcune fissazioni e dunque ammetto di abusare del cliché. Non riesco a resistere, devo sempre frequentare il frasario già pronto del luogo comune. Il cliché è l’unica strada verso il sublime.

I tuoi autori preferiti?

Nella musica Frank Zappa, Brian Eno. Due geni molto diversi, a volte antitetici, ma che hanno poi finito per creare un catalogo di musiche e testi del tutto diverso dal cliché del rock: pochissime e mai serie le canzoni d’amore, così come quelle legate agli stati d’animo. Grande spazio all’ironia, al nonsense, alla critica sociale più o meno esplicita. Poi ho da tempo tre storie d’amore unilaterali parallele con Martin Amis, Bret Easton Ellis e William T. Vollmann.

Il libro che avresti voluto scrivere? il tuo libro migliore?

Avrei voluto scrivere il primo libro di Donna Tartt. “Dio di illusioni”. Il mio libro migliore è sempre l’ultimo, diciamo “La prigione grande quanto un Paese”. Seguito da “Domenica sera”, “La vita moderna è rumenta”, “L’amico del pazzo”, “Zolle”, “Cronache da chissà dove”. Ma cambio idea ogni giorno, quindi un titolo a caso.

Sei anche autore radiofonico, come ci sei arrivato?

Sono le cose che succedono per caso, o che succedevano per caso alla fine degli anni ’90. Grazie al primo libro, L’amico del pazzo, comincio a farmi conoscere un po’ dappertutto. All’epoca (circa 1999) Lorenzo Pavolini curava uno splendido progetto su Radio3. Si chiamava “Centolire” ed erano 5 puntate di circa 15 minuti l’una di radiodocumentario assegnate a uno scrittore. Credo che in un paio d’anni siano passati decine di autori bravissimi, nei “Centolire”. Io scelsi di documentare il mondo immaginifico del pallone elastico, uno sport antichissimo che raggiunge picchi di idolatria tra il Basso Piemonte e la Liguria Occidentale, più o meno l’area geografica da cui provengo io. Dunque andai a produrre le 5 puntate a Torino, dove conobbi Franco Vergnano, un programmista della Rai. Fu poi Vergnano che decise di puntare su di me come voce maschile di un programma che avrebbe esordito alla fine di gennaio del 2000. Gli era piaciuta la mia voce, ero un autore, potevo andare bene per affiancare la giornalista Antonella Fiori alla conduzione di “Candide”. La co-autrice di “Candide” era un’altra giovane giornalista, Barbara Frandino, con la quale ho lavorato in radio fino al 2002. Nel frattempo ho conosciuto il giovane enfant prodige della radio italiana, Gaetano Cappa, all’epoca fresco del successo di “Le avventure di Sam Torpedo” su Radio2. Con Cappa è scattata la scintilla e ormai sono quasi 20 anni che facciamo cose insieme.

Quali sono le cose più importanti che hai realizzato?

La rivista “Maltese Narrazioni” quando ero giovane. E poi la radio. I nove anni a Radio3 sono stati all’insegna dell’eccellenza, tutti i programmi realizzati con Cappa e l’Istituto Barlumen, “Remix”, “Leon”, “Razione K” (3 edizioni) e “La fabbrica di polli” (4 edizioni) erano dei bijoux. Un tipo di radio fuori da ogni cosa già sentita, sboccato ma raffinato, in un miracoloso equilibrio tra idiozia e acume. E poi tutto il contesto: Cappa è un fuoriclasse del montaggio audio ed è anche musicista, per cui da uno sketch nasceva una canzoncina ad hoc che finiva poi in trasmissione, durata 1 minuto e mezzo, tempo di realizzazione: 18 ore. Poi anche a Radio24 abbiamo portato una ventata di novità con le due edizioni e mezza di “Chiedo asilo”. Ogni giorno, alle cinque meno un quarto, la radio della Confindustria mandava in onda una decina di minuti di psichedelia a bassa tensione, con tanto di canzoni originali. Però se devo dire i progetti più interessanti che abbiamo fatto come Barlumen allora dico “Tritato di città”, “Pollycino”, Prix Italia 2011 e “My name is Depero”.

Come hai ricordato anche tu, sei tra i fondatori della rivista “Maltese Narrazioni”; che tracce lascia quella esperienza? L’epoca delle riviste è finita?

“Maltese” ha fatto un gran lavoro, quando non c’era ancora Internet le riviste svolgevano la funzione di network. Le idee passavano da una rivista all’altra, da un curatore di rivista all’altro. Si andava alla ricerca del racconto perfetto, come discografici che cercano la canzone pop perfetta. E ogni infornata di nuovi talenti corrispondeva poi a un’infornata di nuovi titoli per le maggiori case editrici del Paese. Ci sono stati anni in cui gli esordienti di Einaudi erano tutti passati prima da “Maltese” o da altre riviste. Gli editori leggevano le riviste e le usavano come una specie di library da cui captare una voce, un timbro, qualcosa che li attirasse. Poi i blog prima e i social dopo si sono presi la scena. A un certo punto fare la rivista stampata in 1000 copie da distribuire nelle catene ci è sembrata una cosa davvero di altri tempi. E abbiamo smesso.

Nelle settimane di lockdown hai realizzato una serie di video satirici, il supermercato alla fine del mondo, ce ne parli?

Bella la mia esperienza di scrittura sotto pressione in casa a Milano, bella l’esperienza degli attori che hanno registrato sotto pressione e dentro armadi, e bella l’esperienza di montaggio sotto pressione di Cappa sul Lago di Garda. 49 videini di un minuto, con l’altoparlante del Supermercato Acme, il supermercato alla fine del mondo, a promuovere i più assurdi prodotti figli del lockdown. Il primo video è stato pubblicato il giorno prima del mio compleanno, il 17 marzo, uno dei giorni più depressivi dell’intero periodo di isolamento. Bravi tutti, Cappa e gli attori Speziani, Fracasso e Timpanaro. Le cose a distanza si possono fare e diventeranno uno standard.

E la politica, entra nella tua vita? Come?

Me ne occupo sempre meno. Con questi ultimi due governi – anche mettendoci la buona volontà – ho preferito ritirarmi dall’agone. Prima ero radicale, adesso i radicali non esistono più, ci sono i liberali liberisti filonordici e un po’ ottusi di +Europa e poi una serie di sconosciuti dirigenti di Radicali Italiani che non riescono a essere invitati ai talk show televisivi e dunque nessuno sa che esistono. Quindi non voto quasi mai, non ho ideali per cui morire, mi basterebbe una sterzata in senso progressista di cose come l’eutanasia, le droghe, i modi di vivere la sessualità e la definizione di “famiglia”. Per il resto non ho nessuna fiducia. 5 Stelle e Lega e adesso 5 Stelle e PD hanno dato vita a due esecutivi che sono una presa in giro della democrazia rappresentativa. Gli elettori italiani hanno preso una sbandata pericolosa e spero irripetibile.

Hai paura della morte?

No.

Come vorresti essere ricordato? un tuo ipotetico epitaffio?

Era quello alto che gli piaceva Frank Zappa.

Gianluca Barbera

*Quello in copertina è Frank Zappa

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