14 Agosto 2018

Lolita non è una ninfetta vergine, ma una ragazza sessualmente assassina, che usa Humbert a suo piacimento. Ecco perché il romanzo di Nabokov continua a turbare…

“Signori della giuria, non sono stato neanche il primo”. Già, Lolita non era vergine quella notte in hotel, quando finì tra le braccia di ‘papà’ Humbert. O fu lui a finire intrappolato tra le sue gambe? Ecco l’osceno, quello che non si può pensare né mai e poi mai dire, pena l’inferno. Povero Humbert, rammaricato da non essere maestro a letto, lui che smaniava dal possedere quel corpo acerbo, creduto innocente, da giostrare a suo insindacabile piacere. Humbert uomo tra i più banali, come gran parte dei suoi simili di ogni tempo, pronti a sfuggire al confronto tra amanti, una vergine come un trofeo sennò sai che smacco non essere i più bravi, i soli a farti toccare l’estasi. Quanto si sbagliava Humbert, e quanti si sono sbagliati dal 1955, quando Lolita vide la luce pubblicato da un editore di romanzi pornografici: ritenuto tale cominciò a passare furtivamente di mano in mano, ad essere letto di nascosto, in sfida alla propria, personale rettitudine. La realtà non è mai stata quella che Humbert pensava fino a renderlo folle: lui non è stato il carnefice, ma la vittima di una ragazzina sessualmente assassina. Ogni tesi inversa è scorretta, fuorviante, dovuta al fatto che la voce narrante del libro è una sola, maschile, e suo lo sguardo sui fatti. Per una volta, proviamo a vederla con gli occhi di Lo? Chi più adatto, un lettore uomo, da Lolita immancabilmente sedotto, o una lettrice preda di inevitabile femminile competizione, che quella ragazzina vorrebbe come minimo strozzarla?

LolitaNon siamo mai puri, ogni volta che prendiamo in mano Lolita: vi ci accostiamo condizionati della nostra educazione, schiavi dei nostri pregiudizi. Pochi accettano di farsi ‘violentare’ dalle sue parole, e rivoltare l’anima da quello che è capace di scardinare. Ma la vera letteratura è proprio questo, è abbandono e rottura di ogni sicurezza. La vera letteratura se ne infischia dei nostri sentimenti, della nostra morale, va al di là del bene e del male, non potrebbe esser tale se non lo facesse. E noi lettori, che cerchiamo in Nabokov? Perché lo leggiamo avidi, non abbandonandolo dopo le prime abominevoli righe? Vi inseguiamo quanto di più orribile e lontano da noi, l’illecito, lo scabroso. La nostra morale ci fa vedere Lolita come non è, una ragazzina traviata e contaminata, inesorabilmente rovinata da mani sporcaccione. Nabokov è così potente da farci dimenticare che Lolita non è reale, bensì un personaggio, una proiezione, il frutto della mente di uno scrittore. È una ninfetta, quindi creatura non umana, un corpo da bambina con un cervello da strega. Se non una donna, certo un’adolescente fatta e finita, di un’intelligenza diabolica, calcolatrice. Lolita nella penna di Nabokov è femmina viva, palpitante, lo è tra le braccia di Humbert, come ai nostri occhi che la leggono. È nutrimento dei nostri sensi, linfa che ne irriga le più nascoste terminazioni, è cibo ghiotto seppur indigesto, stimolo della parte (in)coscia più oscura che abbiamo. Quella che ci fa più paura. Cosa amiamo in Lo se non i suoi aspetti più luciferini e perversi? Ci piacerebbe lo stesso se fosse davvero una vittima?

Pagina dopo pagina, è Lolita a condurre il gioco, non quell’illuso di Humbert. È lui il bambino, non Lo. Chi seduce per primo? Chi bacia per primo? Prima di Humbert, Lolita sperimenta il sesso con un coetaneo e una coetanea. È Lo ad insegnare a Humbert cosa le piace, e come. Humbert si innamora dell’idea che si crea di Lo, non della Lolita vera, perché di Dolores ha paura. E sicuramente Lo non ama papà Humbert, lo usa finché le serve: dopo le prime volte, gli si concede solo per denaro, fermando la magia sul più bello per alzare la tariffa. I suoi obiettivi sono altri, è lo ‘zio’ Quilty, e alla fine del libro è Lo a umiliare Humbert, rivelandogli quanto Quilty l’abbia fatta godere molto più di lui. Humbert ha rubato l’innocenza a Lo? Davvero credete a questa versione? Lo è tanto scaltra da dire no a Quilty, che la vuol filmare mentre uomini e donne ne armeggiano il corpo. È Lo, risoluta, a dirgli: “Io quelle cose non le faccio”. Dove la vedete la ragazzina tremebonda? Non c’è pagina in cui Lolita non decida del suo percorso di donna e amante. Tradendo, brigando, usando chi più le conviene. Lolita è una ragazzina con dentro un demone, il più terribile, quello che rovescia il bene nel male, e ce lo fa adorare. È dentro talmente donna che sa che il suo corpo è un’arma: è lei ad incitare Humbert – e noi su pagina – a rotolarsi in quelle calde lenzuola, che saranno le sue prigioni mortali. Lolita dà forma concreta ai nostri più reconditi timori. Per questo leggiamo il libro, cioè le diciamo sì: per mettere alla prova i nostri limiti, varcarli, andare oltre. Tocchiamo e ci masturbiamo col Male, per uscirne purificati.

LolitaLa vera letteratura non conosce moralità. È lì a svelare i nostri lati più bui, immondi. Non saremo dei mostri nella vita reale, ma nelle nostre fantasie sì, al riparo della mente possiamo essere irrazionali e liberi e quanto più sporchi e depravati vogliamo. Mentalmente possiamo flirtare col Male. Non lo saprà nessuno, quanto siamo lerci. È questa la forza di Lolita, che resiste integra e splendente a chi periodicamente le bela contro la sua indignazione: il fango di cui viene ricoperta è balsamo, rinnovo della sua lussuria.

Se non siete d’accordo con me, chiudete il libro, e distogliete lo sguardo dalle immagini che Kubrick e Lyne vi hanno ricavato. Così sarete salvi. Intatti e puliti. Ma io non credo che lo farete.

Barbara Costa

*Barbara Costa è l’autrice di “Pornage. Viaggio nei segreti e nelle ossessioni del sesso contemporaneo” (il Saggiatore, 2018). Collabora con “Dagospia” e in questo articolo reagisce a quanto “Pangea” ha pubblicato qui.

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