02 Agosto 2020

“Non chiedetemi quando pubblico il mio romanzo, perché non lo pubblicherò. Se vi interessa leggerlo mandatemi un messaggio, passate da me in spiaggia. Se mi siete simpatici ve lo regalo”

A volte gli amici (amici, dal latino, quelli che mi si inculano) fanno domande tipo “Allora quando lo pubblichi il libro che stavi scrivendo?”.

Allora insabbio la questione, sposto il discorso da un’altra parte. La verità è che di mio non scrivo nulla da secoli. Non mi va. Ormai da molti mesi ho terminato un romanzo – non un ghostwriting. Un romanzo – a mio parere fighissimo, dato che ci ho sputato sangue per anni – che tengo salvato nel computer. Soltanto lì. Non ho fatto backup, non ho fatto niente. Spero solo che il computer si rompa. Tanto per chiuderla con questa storia.

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Ogni volta che apro un social vedo la stessa cosa: vendite. Dalle vendite di pensiero – e in questo molti personaggi editoriali sono davvero miseri –, alle vendite fisiche (foto dei culi). Poi eventi, prodotti e servizi. Quantomeno questi ultimi sono onesti. I culi sono come le facce: fregano anche in foto. E dove sono le persone? Ognuno fa qualcosa, tutti dicono “Bravo!” all’altro per mantenerselo buono come cliente.

Le riflessioni piccole in una società digitale hanno sempre meno eco. Soprattutto d’estate. Così come il primo risultato di Google si determina in base alla quantità di individui che lo hanno già consultato – quindi il parere di cento cretini è più autorevole della certezza di un esperto – la diffusione di un messaggio è ampia quanto il numero delle persone che seguono il suo portavoce. Democrazia? Ben venga Dicker, ben venga Beyoncé. Sono artisti che diffondono messaggi competenti e positivi. Accessori di massa utili quanto un paio di forbici: indispensabili senza essere un capolavoro.

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Non che mi lamenti di questo (per scrivere scrivo, scrivo per lavoro). Eppure la mia roba non riesco a venderla. Mi sembra di mendicare. Vendo gli altri ogni giorno: scrivo di argomenti che non conosco. Robe di cui non ne ho un’idea. Mi tocca studiare. Studio. Cerco di capirci qualcosa. Alla fine mi piace parecchio scrivere per gli altri. Poi li vedi che sono contenti. E farlo fa sentire bene anche me. Forse è uno dei migliori lavori che possa fare. Sono felice. Per contrappasso, quella che può essere la mia narrativa non trova spazio nemmeno in me stesso.

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Prendiamo il libro a cui ho partecipato con un racconto: “Aut libri aut liberi”, uscito a maggio per De Piante. Compratelo su IBS.it. Perché se lo chiedete a me è roba che ve lo regalo. Lo stesso discorso vale per il romanzo che ho scritto. Non chiedetemi quando lo pubblico, perché non lo pubblicherò. Se vi interessa leggerlo mandatemi un messaggio, passate da me in spiaggia un week-end e possiamo parlarne. Mi offrite un caffè e in cambio ve lo invio per e-mail. Ma solo se mi state simpatici. E se mi state simpatici potete offrirmi pure il pranzo. Ma non chiedetemelo già stampato, perché è roba che non mi faccio nemmeno ridare i soldi della copisteria. E poi – cosa ancora più importante – non c’ho voglia di andare in copisteria.

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Alla fine di me, della letteratura che posso fare – ammesso che possa farne –, chissenefrega. A me no di certo. Sarà mica presunzione, mi chiedo. Stasera potrei andare al supermercato, prendere un vassoio di sushi e una bottiglia di Ca’ Del Bosco come se fossi Francesco Piccolo in vacanza a Favignana con Chiara Gamberale. Butta via. La piadina la mangio a pranzo. Non è forse questa la felicità? Vorrei stare sempre così, avere cose pratiche in testa. Cenare in spiaggia insieme a mio fratello di undici anni. Fargli guardare Rick & Morty. Alla fine piace più a me che a lui. Sapete come ho guadagnato i soldi per la cena, per la macchina nuova e anche quelli dell’affitto per l’appartamento in cui vivo? Per non parlare dei dieci euro al mese di Netflix. Scrivendo la pubblicità della sfiga. Sveglia! Poteva andare peggio. Avrei potuto seguire il consiglio di una nota agente letteraria: “Nicolò per scrivere le tue cose devi farti Instagram, sii furbo. E una volta che avrai tanti follower saranno le case editrici a venire da te!”. Ordunque scaglio il mio anatema: Non mi leggerete mai! Scherzo. Piuttosto ve lo regalo. S’intitola “Isabella o scomparire”.

Nicolò Locatelli

*In copertina: Buster Keaton (1895-1966)

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