04 Marzo 2020

E se la vera letteratura, oggi (e ancora, come sempre), fosse il giornalismo? Ecco perché il libro più bello tra i 54 candidati allo Strega è “Grand Hotel Scalfari”

E se la vera letteratura, oggi, fosse (ancora una volta) il giornalismo?

Sì, è vero. Chi scrive è un giornalista, e può sembrare che voglia difendere la categoria per amore di penna, persino per partito preso. Ma noi non siamo narratori. Quindi liberi di sostenere l’insostenibile (ma mica tanto…), di provocare per gusto dello sberleffo, persino di buttare lì una verità…

È qualcosa che ci ronza in testa da tempo, che ogni tanto ci capita di (ri)scrivere, di ripetere nelle chiacchiere con amici e colleghi (giornalisti). Ah, quando c’erano Orio Vergani, Manlio Cancogni, Paolo Monelli, Emilio Cecchi, Ugo Ojetti… Discorsi che non riguardano soltanto la vecchia, cara, retorica ex Terza pagina, dove il giornalismo era letteratura, e viceversa: riguardano la “nera” (ah, quando c’era Buzzati…), la cronaca e la polemica politica (i Montanelli, i Biagi, i Bocca, la Fallaci), i reportage (Egisto Corradi chi lo legge più?), il “costume” (tantissime firme, senza scomodare Irene Brin e la Cederna), lo sport (quando Pratolini andava al Giro d’Italia)… Sì, lo sport… Ai Mondiali di calcio del 1982 – è un esempio un po’ troppo facile, lo sappiamo, ma fa sempre effetto ripeterlo – in Spagna andarono: per Repubblica Gianni Brera, per il Corriere della sera Mario Soldati, per il Giornale Giovanni Arpino e per la Stampa Oreste Del Buono. E avere una “cronaca” di Soldati e Brera non è la stessa cosa che avere un pezzo di Gramellini o Riotta. Con tutto il rispetto per Soldati e Brera.

Se ci pensiamo, al netto di tanti scrittori riciclatisi mestamente in giornalisti e tanti giornalisti convinti a torto di essere scrittori, la relazione pericolosa tra grande giornalismo e grande letteratura ha prodotto risultati straordinari. Seguono i nomi, a scelta e a caso, di Malaparte, Parise, Enzo Bettiza, i due Viola (Beppe e Sandro: più diversi tra loro non si potrebbe, ma entrambi grandi), senza dire di Pier Paolo Pasolini, i cui scritti giornalistici – Lettere luterane e Scritti corsari – sono oggi l’unico Pasolini che resta (i romanzi sono ormai illeggibili, le poesie grondano ideologia, a parte quelle in friulano, illeggibili per altri versi, il teatro è irrappresentabile, il cinema inguardabile…). E ci fermiamo qui, per evitare l’effetto nostalgia.

Ed ecco l’idea. Anzi, un’idea e una domanda. Prima, l’idea: oggi, ma lo diciamo sommessamente, forse servirebbero più giornalisti-scrittori, mossi dalla volontà di raccontare il mondo con l’occhio allenato del cronista ma con lo stile riconoscibile del letterato, e meno giornalisti-romanzieri, spinti dall’ambizione di presentare il loro nuovo libro in tv col sottopancia dell’editorialista di giro (una volta l’aspirazione massima di chi faceva il mestiere era firmare un elzeviro sul Corriere della sera, oggi è presentare il proprio romanzo a Che tempo che fa). E per seconda, la domanda-provocazione: e se la narrativa contemporanea italiana fosse (senza offendere nessuno) qualcosa di già scritto e già letto, libri da bancone delle novità e da premi in giro per la Penisola, e invece la vera letteratura fosse il giornalismo? Chi può rispondere?

Esempio. Ieri è stata chiusa la rosa dei candidati al premio Strega (54 libri in gara), dalla B di Ballestra, Silvia (La nuova stagione, Bompiani) alla V di Villalta, Gian Mario (L’apprendista, Sem). E volete saperlo? Nel nostro personalissimo, opinabilissimo tabellino, il titolo più originale e più nuovo, al netto dell’età del protagonista, è il “romanzo” della vita di Eugenio Scalfari scritta da due giornalisti-scrittori, anzi scrittori-giornalisti: Antonio Gnoli e Francesco Merlo: Grand Hotel Scalfari (Marsilio), una vera epopea, volete mettere col noiosissimo Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari, candidato al premio da Feltrinelli (che chissà come mai, quest’anno, dopo anni di “gran rifiuto”, ha deciso di tornare allo Strega…).

Comunque, tornando a Grand Hotel Scalfari. Non a caso, a proporre il libro (che è molto più di un romanzo) è il nostro maggiore scrittore-giornalista, Pietrangelo Buttafuoco, che col suo nuovo pamphlet Salvini e/o Mussolini (PaperFIRST) se la gioca niente che con l’Ezra Pound di Jefferson e/o Mussolini… E leggete qui con quale motivazione lo ha proposto: Grand Hotel Scalfari oltrepassa i recinti delle maniere (risulta di fatto essere più ricco di personaggi e storie di tante narrazioni della novella vaghezza dei nostri anni) e della cosiddetta ‘lingua’ come nessun cosiddetto scrittore ombelicale in Italia saprebbero fare oggi, offrendosi come capolavoro di vera letteratura. Frutto della capacità di ascolto e dell’arte del racconto di due esempi diversissimi eppure installati nella più pura tradizione del giornalismo del nostro paese, Antonio Gnoli e Francesco Merlo, è più di un pretesto per il racconto di un mondo perduto che ha le parvenze della nostra recente vicenda nazionale, una cronaca in prima persona esuberante e malinconica, mediata da uno sguardo complice e da una sontuosa messa in scena del privato, è allo stesso tempo un libro che rappresenta Scalfari più di quanto il suo protagonista sarebbe riuscito a fare. Se di genere qui si tratta forse si applica come richiamo il romanzo di cavalleria, al modo di un Don Chisciotte e di un Sancho Panza: senza cautele e senza censure, gli autori svelano a se stesso il loro stesso creatore facendone infatti un personaggio totale, un don Eugenio de Cervantes ovviamente irriconoscibile agli occhi degli stessi scalfariani, che mai e poi mai saprebbero pensarlo libertino tra le delizie di un bordello o tra Casinò fin de siecle, in camicia nera, a braccetto con Indro Montanelli o alle prese con il suo ormone femminile”.

Per noi (che lavoriamo da una vita al Giornale!), basta così. Grand Hotel Scalfari ha già vinto.

Luigi Mascheroni

*In copertina: Curzio Malaparte (1898-1957), già direttore del quotidiano “la Stampa”, grande scrittore

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