31 Agosto 2018

“La sinistra farebbe bene a rileggere Marx piuttosto che cazzeggiare con twitter”: dialogo con Vittorio Emanuele Parsi su migranti, Salvini, salvezza dell’Europa

Vittorio Emanuele Parsi qui tocca un punto fondamentale. Lo dice quasi per caso, quasi non ci si fa caso. Riguarda la dinamica tra ‘essere’ e ‘avere’, ridotta, di solito, alla solita solfa che riguarda l’ego idolatrato. Ribatto le parole di Parsi: “Il problema della politica oggi non sta negli annunci, ma nel fatto che nessuno trova più collocazioni e connotazioni ideologiche così forti e persistenti da comporne l’identità, così da fornire attraverso l’essere una compensazione all’inevitabile frustrazioni dell’avere”. Eccolo qui, il punto centrale della post-democrazia. Fieri di avere fatto un falò delle ideologie, ora non abbiamo più idee né identità. L’identità – la tutela dei propri confini, ad esempio – è ridotta al denaro, allo stipendio, al lavoro ‘che gli altri ci vengono a rubare’. Non c’è altro oltre l’avere, perché l’essere – l’essenza di un popolo, di uno Stato, la ragione che regge l’Occidente rispetto al resto – è tramontato, è smorto. La dico in modo romantico: quando l’essere è forte – so chi sono e a quale terra appartengo e quale identità contraddistingue la mia terra, l’Italia – dell’avere posso fare a meno, ogni sacrificio è lecito, perché rende sacro, appunto, l’essere. Ma se l’essere scema, rimane la pancia, la fame, vince chi è famelico. Torno a noi. Parsi è uno dei più lucidi osservatori di ciò che accade nel tempo presente, da tempo: leggete quanto scrive riguardo al ‘sovranismo’, di cui è moda blaterare. TitanicParsi, professore di Relazioni internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel recente Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale (Il Mulino, 2018), offre una analisi convincente – e che non ha timore di guardare alla complessità planetaria del problema – del ‘tramonto’ occidentale. “Si tratta della crisi della leadership americana e dell’emergere delle potenze autoritarie di Russia e Cina, della polverizzazione della minaccia legata al terrorismo jihadista, della deriva revisionista degli Stati Uniti di Donald Trump e dell’affaticamento delle democrazie schiacciate tra populismo e tecnocrazia. Sullo sfondo, la crisi dell’Europa, che può ancora salvarsi e dare il suo contributo decisivo al ristabilimento della rotta originaria, se saprà riequilibrare al suo interno la dimensione della crescita e quella della solidarietà, facendo della sorveglianza e difesa dei confini europei una responsabilità comune, e così fornendo un nuovo e più ampio respiro alla questione della gestione del fenomeno migratorio e della ripartizione dei suoi oneri, ritrovando la capacità di armonizzare le sovranità degli Stati membri nel rispetto del disegno della casa comune europea”. Quanto a me, ho interpellato Parsi sugli ultimi fatti, che riguardano antichi temi: migranti, politica ‘urlata’ – e non ‘da urlo’ – fragilità dell’Europa, sull’orlo di sbriciolarsi. (d.b.)

Caso ‘Diciotti’: lei è stato piuttosto critico nei confronti dell’azione del Ministro Salvini. Qual è la giusta ‘ricetta’ (posto che esista) per gestire il flusso migratorio?

Credo che il punto più importante sia chiarire che, fermo restando la possibilità di richiedere asilo ove ricorrano i requisiti, il “diritto” ad arrivare in Europa non può essere né venduto dai trafficanti alle loro vittime, né amministrato da soggetti privati di qualunque genere e al di là delle buone intenzioni. Occorre cioè uscire dalle retoriche contrapposte, ugualmente inutili e dannose, dell’“accogliamoli tutti” e “non entra nessuno”. Per quanto riguarda i migranti economici, più i flussi vengono bloccati vicino ai luoghi di origine, meno soldi fanno i trafficanti, meno si alimenta un’economia nera ancillare, più vite si salvano. I Paesi su cui intervenire non sono però quelli di origine, ma quelli di transito. Per i primi, i flussi delle rimesse dei migranti (regolari e non) sono di gran lunga superiori a qualunque tipo di contributo dovessimo versare noi per contrastare il fenomeno. Per i secondi, il discorso è diverso e contributi finanziari e di formazione per il controllo delle loro frontiere possono incentivare a un maggior rigore. Sui rifugiati politici, dovremmo accoglierne quantità programmate, ma seguendo l’esempio canadese, che ne ha “scelti” 30.000, selezionandoli nei campi profughi libanesi, privilegiando persone con elevato titolo di studio, sposate e con figli ed escludendo i giovani maschi celibi e poco acculturati (i più difficili da integrare e quelli più soggetti a radicalizzazione). Deve comunque essere ribadito che arrivare senza visto non conferisce alcun diritto automatico all’accoglienza, velocizzare i tempi di valutazione delle posizioni singole e che le persone in attesa che le procedure vengano espletate non sono libere di muoversi per il territorio.

A suo avviso è utile dialogare con il primo ministro ungherese Viktor Orbán, costruendo una specie di Europa ‘altra’ o sarebbe meglio per il nostro Paese tenere i rapporti con l’Europa che c’è, franco-tedesca? So che lei è un sostenitore dell’Europa, ma a questo punto non è bene che ciascun Paese faccia da sé? O richiamo l’implosione?

È opportuno dialogare con qualunque capo di Stato o di governo. Di Orbán non mi preoccupa la politica dura sull’accoglienza, ma la violazione delle libertà costituzionali dei cittadini ungheresi in Ungheria. Se l’Europa fa finta di poter gestire un problema nuovo con regole vecchie pensate per gestire i flussi intraeuopei degli anni Novanta è lei che si pone ai margini delle possibili soluzioni. Stesso discorso vale per le aree SAR, concepite per gestire i naufragi come eventi eccezionali della navigazione e non quelli di massa e programmati dagli scafisti. Si parla tanto di sovranisti contro europeisti, ma, ancora una volta, siamo alla retorica contrabbandata per realtà. Ovviamente non si può tornare a un concetto ottocentesco di sovranità. Ma altrettanto ovviamente, questa Europa per come si sta realizzando serve molto più gli interessi del grande capitale internazionale che quelli dei cittadini e dei lavoratori. E lo testimonia l’eclissi e lo stato confusionale della sinistra, che farebbe bene a ripassare Marx invece di cazzeggiare con twitter.

Gli Stati Uniti fanno patti economici con il Messico, tagliando fuori la matrigna Europa. Noi… come dovremmo comportarci? Posto che, mi dica se ho ragione o torto, la politica si fa più a colpi di spot che per risolvere i problemi reali.

La politica dell’annuncio è più vecchia di Renzi, Salvini, Berlusconi, Trump, Erdogan e Macron messi insieme. In Italia se ne parlava già negli anni ’80…. Per cui smettiamo di fare le vestali offese e chiediamoci di andare  anche oltre gli annunci. Questi ultimi servono per colmare il gap tra i tempi lunghi necessari ad affrontare sfide complesse e anche nuove e quelli iper rapidi della comunicazione, della finanza e dello scontento. Il problema della politica oggi non sta negli annunci, ma nel fatto che nessuno trova più collocazioni e connotazioni ideologiche così forti e persistenti da comporne l’identità, così da fornire attraverso l’essere una compensazione all’inevitabile frustrazioni dell’avere.

Dall’‘attacco’ all’Iran alla criptovaluta venezuelana alla ‘fame’ cinese: quanto conta l’Europa nel contesto mondiale, che cambia a velocità fulminea?

Conta molto poco, anche perché ha per troppo tempo rimosso la dimensione drammatica della potenza inevitabilmente connessa al potere politico. In parte è il frutto della sconfitta collettiva patita con le due guerre mondiali, della Guerra Fredda e della rinuncia a esercitare una sovranità (nazionale o continentale che sia). E così si è trovata indifesa ad affrontare sia il potere degli altri che continua ad esistere e manifestarsi, sia il potere che assume le vesti economiche e finanziarie per poter sfuggire ai meccanismi di separazione e controllo previsti dalle costituzioni liberali e socialdemocratiche.

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*Vittorio Emanuele Parsi è tra i protagonisti del ciclo “Hybris. Discorsi sulla tracotanza e sul tramonto” organizzato da Pangea al Museo della Città di Rimini: il suo intervento, dal titolo “L’Occidente balla sul Titanic”, è previsto per mercoledì 12 settembre alle ore 18

 

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