29 Gennaio 2020

“Meglio gli ideali di ieri dell’irriducibile mediocrità di oggi”. “Ma cosa dici! La nostra generazione ha perso e a Eco preferisco Veronesi”. Dialogo serrato tra Filippo La Porta e Gianni Bonina sul valore della cultura. Nel segno di Sciascia

L’anno scorso, per il trentennale della scomparsa di Leonardo Sciascia, nelle pagine culturali di “Repubblica” apparve un articolo di Filippo La Porta che diede spunto per uno scambio di email tra il critico letterario romano e il giornalista culturale catanese Gianni Bonina. Oggetto: il primato della cultura di oggi su quella di ieri sostenuto da La Porta e contestato da Bonina. Pubblichiamo il dialogo che si ebbe a distanza.

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Ciao Filippo, ho letto e apprezzato la tua nota su Sciascia: condivisibilissima, benché mi lasci perplesso l’idea che la sua eredità sarebbe stata raccolta dal migliore giornalismo d’inchiesta e che oggi il pensiero critico non alberghi in un individuo o in una casta ma sia per dire diffuso persino nei social. Sei ottimista e positivo, ma mi chiedo chi interpreti mai questo giornalismo d’inchiesta che non sia nondimeno fazioso e chi siano oggi i nuovi opinion-maker o grilli parlanti che a loro volta non costituiscano una nuova casta quale si vede nelle conventicole o cordate editoriali e nelle piattaforme web. Ad ogni modo, fornisci – come sempre – materia di riflessione.

Un caro saluto

Gianni

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Carissimo, grazie. Però la tua perplessità mi perplime (si dice?).

La mia è una reazione credo sacrosanta ai tanti amici che definirei ‘apocalittici integrati’ (tengono il broncio al nostro tempo, come diceva Musil, però lo abitano abbastanza confortevolmente), che pensano che finiti loro finisce il mondo!

40 anni fa c’era più pensiero critico nella società? Scherziamo! I miei maestri Rossana Rossanda e Lucio Magri inneggiavano alla Rivoluzione Culturale cinese (un milione di morti), Fortini parlava del Comunismo come della Città Celeste di sant’Agostino e i nostri discorsi erano infarciti di slogan. Gli eretici poi erano i più ortodossi di tutti. Oggi invece – parlo solo di minoranze ma sempre sono le minoranze a spingere la realtà – c’è un pensiero forse meno colto, più slabbrato e confuso, ma anche più libero, antidogmatico, anti-ideologico… Nei social trovo sia il narcisismo aggressivo e la supponenza degli asini, sia esperienze di condivisione e collaborazione che la mia generazione ha solo teorizzato!

Non rimpiango le inchieste di ieri, mentre oggi in Rete se hai buona volontà puoi raggiungere la verità su un qualsiasi fatto solo incrociando le fonti (come dice la filosofa Franca d’Agostini).

 F

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Caro Filippo, ho troppa stima di te e ho letto non poche cose tue, sempre con ammirazione, per non esprimertene di nuova circa la tua singolarità. Hai vissuto gli anni degli ideali e magnifichi quelli attuali ispirati alla più irriducibile mediocrità. E ora scopro che un intellettuale educato al vecchio credo inneggia al nuovo.

è vero quello che dici: furono anni apocalittici, ma per colpa della troppa ideologia messa in circolo. Tolta quella, come è successo, è rimasto il vuoto: colmato da pensatori i cui nomi sarebbe decisamente indegno accostare agli stessi che tu ricordi. Fortini, Fofi, certo, anche loro appaiono oggi dei mostri sacri, benché fossero allora detestabili e discutibili. Ma ci sono stati Sciascia, Pasolini, Calvino, Manganelli: letterati, Filippo, letterati pressoché in permanente conflitto col potere e su posizioni non certo di inferiorità, diversi dai pifferai che vedo oggi in giro. Chi eserciterebbe il pensiero critico? Saviano forse, Scalfari? La D’Agostini? Cacciari? Travaglio? Non ti viene da ridere?

Citi i social come nuova fonte della verità e io rabbrividisco. Credi davvero che, incrociando termini, si giunga alla conoscenza? Forse a una mera informazione da catalogo Vestro o da vecchio Leonardo degli anni Sessanta. Beato te, caro Filippo, che vedi a colori dove è solo grigio.

Gianni

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Caro Gianni, la stima è interamente ricambiata!

Sì, come metti le cose tu sembra che non ci siano vie d’uscita. Ma sei sicuro che quando muore uno scrittore o regista o poeta si debba necessariamente scrivere che è morto l’ultimo scrittore, l’ultimo regista, etc.? Manganelli è un gigante ma anche un romanziere semifallito, e sul piano del romanzo Veronesi gli è superiore. Calvino un intellettuale strepitoso ma, anche qui come romanziere Doninelli lo sopravanza. Gli ultimi libri della Ginzburg sono imbarazzanti. Se scorri i vincitori dello Strega degli anni ’60 e ’70 i più sono dimenticati o dimenticabili.

Le nuove generazioni: vedo i rischi di impoverimento culturale e linguistico, la perdita della memoria, la svalutazione della fatica (per raggiungere un risultato), il prevalere della fretta, etc. ma vedo anche che diffidano della cultura perché la cultura per la mia generazione è stata uno strumento di carriera e di potere, e soprattutto che danno più importanza alla relazione tra ciò che dici e ciò che fai. Per loro devi essere ‘credibile’. Ti pare poco?

Guarda che la cultura nel ’900 ha fallito: il nazismo è nato nella culla del romanticismo e nel paese più istruito d’Europa! Non ti fa venire degli interrogativi? L’umanesimo in sé ahinoi non umanizza!  Le nuove generazioni provano a sostituire l’umanesimo con una umanità concreta, la cultura libresca con esperienze di condivisione. Chi custodisce l’umanesimo della tradizione, i miei amici professori ordinari di letteratura italiana, sempre al sicuro e al riparo di tutto, impegnati a costruire le loro confortevoli carriere accademiche o i giovani che tentano – anche confusamente – di mettere in pratica il ‘ben fare’ di cui parla Dante (l’Italia è il primo paese in Europa quanto al volontariato)? La filosofa Roberta De Monticelli parla dei suoi colleghi universitari, impegnati a criticare il sistema dell’università ma complici delle “opacità” consortili e dei conformismi di quel sistema. Gianni, l’umanesimo preme su di noi con le sue domande e le sue promesse, dobbiamo sapergli rispondere.

La filosofa Franca d’Agostini (altro che Cacciari!) scrive in Introduzione alla verità che certo in Rete tutto risulta vero, ma il fatto che la verità non segnala mai con chiarezza la sua presenza lo sapevamo dal tempo dei sofisti, e anzi la circostanza interessante oggi è che sappiamo tutto ciò e sappiamo che da qualche parte il vero c’è “e possiamo fare una grande quantità di confronti incrociati per reperirlo”. Pensi davvero che 30 anni fa la situazione era più favorevole alla ricerca del vero?

Filippo

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Caro Filippo, “Ultimo scrittore” o “Ultimo regista” sono slogan dei maggiori giornali, in riferimento ad autori che appartengono alle generazioni passate per celebrare “il nuovo che avanza”. I danni che “la grande stampa” sta producendo sono incalcolabili. Veronesi, dici, superiore a Manganelli? Spero ti rendi conto, caro Filippo, che basta solo fare il nome di Veronesi (assurto a un barlume di visibilità solo grazie a un film su un suo libro di stentata sufficienza) o quello di Doninelli per capire che parliamo di persone sconosciute già oggi nel clou della loro attività, figuriamoci domani, mentre Manganelli e Calvino saranno noti anche dopodomani come lo sono tutt’oggi. I vincitori Strega degli anni Sessanta e Settanta li trovi ancora oggi nei manuali di letteratura e molti vengono ripubblicati, altro che dimenticabili. Oggi dominano le classifiche i Volo e gli influencer, i cuochi, i conduttori televisivi che scrivono romanzi e i ragazzini rap. Lo Strega lo vincono i Giordano e altri di un solo libro, tutti illeggibili, tutti già dimenticati.

La differenza tra ieri e oggi è che se la cultura è stata uno strumento di potere e di carriera – in parte cosa verissima e inevitabile nei meccanismi della civiltà occidentale: anche Platone venne a Siracusa per fare politica – oggi lo è lo spettacolo, l’intrattenimento, il talk show. Con la differenza che gli uomini di cultura di ieri diventavano statisti. Hai fatto caso che da vent’anni nessuno pronuncia più la parola “statista”? Non sarà perché è impossibile trovarne uno che possa esserlo?

La cultura del Novecento si è troppo imbevuta di postmoderno da essere chiamata “novecentismo”, ma senza il novecentismo non avremmo avuto nemmeno il Sessantotto, cioè l’immaginazione al potere. I “dominanti” di oggi sono quelli che hanno tradito lo spirito del Sessantotto e risposto al riflusso degli anni Ottanta, alle illecebre della società dello spettacolo e della globalizzazione. Ma viva comunque quell’età quando per strada noi, tu e io, scendevamo a marciare per ideali che nemmeno ci chiedevamo se fossero giusti o sbagliati, e tuttavia eravamo lì, con gli altri, in tutte le città, anche su schieramenti opposti, ma gonfi di valori e ideali. Meglio un ideale sbagliato che la mancanza anche del più misero. Oggi i giovani stanno su internet e hanno perso ogni ideale. Non leggono e vedono serie Tv. Protestano per il clima non perché ci credono ma per seguire una foga passeggera, non sanno nemmeno cos’è il sacco a pelo e non hanno né passioni né valori né hobby. Tutto in nome del pragmatismo imperante voluto dalla società postideologica che ha in odio pure la distinzione tra destra e sinistra, discrimine sul quale molte generazioni hanno speso la vita. Noi leggevamo romanzi all’età in cui mio figlio mi ha chiesto perché non impiegassi semmai il mio tempo a leggere un manuale su come riparare un lavandino, servendomi molto di più: non capendo che senza la letteratura non ci sarebbe stata la filosofia e senza la filosofia non ci sarebbero state le idee e dunque non ci sarebbe stata la storia e infine l’umanità organizzata.

L’umanesimo ha nutrito l’Europa per quasi sei secoli, così tanto da fare parte oggi del carattere continentale, degli italiani in particolare. Se oggi lo sguardo sul passato è stato distolto è stato per il prevalere del mito del presente, un totem che il mondo adora e i cui sacerdoti sono i pragmatici, ovvero gli opportunisti, i Salvini, i Berlusconi, i Di Maio, i Renzi, i Grillo: la “nostra classe dirigente”. Per fortuna, dico io, che l’umanesimo continua a fare da antidoto contro l’avvelenamento invalente anche del pupulismo e del sovranismo. Per fortuna che ancora c’è gente che guarda alla tradizione almeno con sentimento di rimpianto e la colpa di aver tentato di demolirla. Dici che è un bene che la cultura libresca sia stata sostituita da esperienze di condivisione. Dunque dovremmo approvare il primato di Internet e di facebook sul modello di cultura che da Aristotele in poi è stato alla base della nostra civiltà? Ti inviterei a leggere a caso qualsiasi libro dell’Ottocento e poi qualsiasi libro degli ultimi dieci anni, non solo di narrativa ma anche di saggistica, campo questo nel quale è del tutto impossibile trovare chi meriti un minimo di attenzione. Non c’è oggi un solo settore nel quale operi una sola eccellenza che non sia frutto del suo tempo effimero e che non durerà. Per fortuna, il vuoto totale di scrittori, di cantautori, di artisti, pure di calciatori, spinge a rinverdire e tenere presenti i nomi del passato, sicché si continuano ad ascoltare “i nostri” De Gregori e Venditti, si continuano a leggere Umberto Eco e Sciascia. Un solo merito concedo alle nuove generazioni della condivisione: il fatto che conoscano l’inglese. Ma quello che per la nostra generazione era visto come un vantaggio da conseguire per condividere cultura internazionale oggi è considerato un mezzo per stare nottate intere applicati nei giochi di ruolo.

Il fatto poi che i nostri riferimenti debbano essere le D’Agostino e i D’Agostino mi pare una eloquente chiave di interpretazione del tempo che viviamo. A me basta ricordarti una frase di Sciascia in fatto di ricerca epistemologica: “Che cos’è la verità? Sarei tentato di rispondere che è la letteratura”.  La letteratura Filippo, non la condivisione, il pragmatismo, il post-umanesimo e il post-ideologismo. E permettimi, non la letteratura dei Doninelli, che è l’equivalente della politica dei Toninelli.

Gianni

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Carissimo, mi fa piacere la tua – oggi insolita – volontà dialogica. I temi che sollevi sono molti, e cruciali. Certo, la pietas verso il passato culturale, l’amore per la tradizione, sapere di cosa siamo fatti, etc. ma nel momento in cui il passato culturale è diventato museo e accademia, repertorio di citazioni multiuso, oggi tendo a dare molta importanza alla parte migliore della cultura di massa, che tenta di rileggere criticamente quel passato: Caparezza che riprende genialmente Dante con “Argenti vive”, Woody Allen che rilegge Delitto e castigo, i Simpson che mettono in scena Shakespeare, i Coen e la letteratura yiddish…Va bene, il punto è non fermarsi lì, non fermarsi alla “mediazione” (la cultura di massa può essere solo un ponte) e dunque a un certo punto i classici prenderli in mano, leggerli direttamente. Però i classici dobbiamo pur farli parlare, dobbiamo esporci alle loro domande urgenti, drammatiche. L’arte moderna, è stato osservato, ha perso il pungiglione. Ecco, in che modo può ritrovare quel pungiglione? Forse deve anche percorrere strade meno istituzionali, meno prevedibili.

Quanto a Eco, e lo dico con tutto il rispetto verso il semiologo, beh il fatto che oggi si leggano con godimento i romanzi-videogame di Eco è per me – dovresti saperlo – quasi una iattura. Appunto: con il loro aroma culturale nobilitano i lettori e li fanno sentire più intelligenti senza sforzo. Un saggista messicano, Elizondo, scrisse un delizioso commento su una indigestione di Eco a Capodanno, dicendo che era una metafora della sua bulimica narrazione! Su Manganelli: lo adoro, mi leggo e rileggo i suoi strepitosi reportage e articoli, ha adoperato la nostra lingua con una creatività insuperabile. Ma come romanziere mi sembra fiacco, algido, privo di ritmo. è uno stilista, ha un talento retorico superbo, ma è come sigillato dentro la lingua, in modo claustrofobico, non sento attrito (curioso: sia Eco che Manganelli ebbero uno scontro feroce con Pasolini!). Nel genere del romanzo io preferisco gli affabulatori, appunto Veronesi o Doninelli, con i loro romanzi anche imperfetti o frananti, ma che comunque costruiscono un mondo credibile, in cui abiti per un po’. E non capisco la battuta sprezzante sulla D’Agostini, filosofa rigorosa e di grande energia argomentativa (assai meglio del liricizzante Agamben). E neanche quella su D’Agostino! Va bene, jolly rutilante dell’universo del gossip… ma sai che quando parla del costume è spesso più acuto dei sociologi delle prime pagine dei quotidiani?

Comunque sono convinto che il vero nemico della cultura è la cultura stessa, che ha tradito le proprie promesse e non il digitale o la Rete o il mercato o i videogiochi. Mio figlio legge pochissimo, ma ha una intelligenza meno dogmatica e meno ideologica di quella che avevo io alla sua età. Ha messo l’immaginazione al lavoro, per creare comunità, legame sociale, saperi condivisi, senza volerla “mandare al potere” (cosa per me raggelante). Non mi illudo sulla sharing economy o su un Terzo Settore che confina con il business, però vedo che mio figlio con amici e semplici coetanei si scambia in Rete, che so, anche i sottotitoli della fiction americana… Realizzano, senza proclami, tutto quello che la mia generazione si è limitata a teorizzare, predicare, raccomandare etc.: la condivisione, la messa in comune. Nel gruppo di lettura della biblioteca sotto casa – credo molto nei gruppi spontanei di lettura, in Italia ne sono stati censiti circa 400, è in essi e non nell’università o nella scuola che si forma un lettore più esigente e responsabile – i classici sono più amorevolmente coltivati rispetto a 30 anni fa. No, caro Gianni all’apocalisse preferisco la genesi!

Filippo

*In copertina: Leonardo Sciascia (1921-1989) a Racalmuto, photo Rcs Periodici/Dolcetti

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