24 Gennaio 2018

La famiglia tradizionale serve solo ad alimentare le trasgressioni. Anzi. Non serve a nulla. E non è affatto sacra

Non c’è nulla di più scontato che attaccare la famiglia. Per questo la difendo

Niente è più scontato dell’attaccare un’istituzione in decadenza. Metterla alla berlina. Tacciare i suoi sostenitori usando la carta sporca del non essere al passo con i tempi. Dare del reazionario a qualcuno è così politicamente corretto, le conseguenze sono facilmente prevedibili. L’infamia, da quel momento, lo perseguiterà come la sua ombra. Questo è quanto accade a chi difende la famiglia tradizionale. E in effetti è molto semplice accanirsi contro. Spesso i sostenitori, di famiglie, ne hanno più di una. Altre volte si limitano a una convivenza. I più ipocriti, poi, gridano all’apocalisse, pur essendo dei conclamati puttanieri. In realtà, la coerenza a cui richiamano i presunti progressisti è poco più dell’arte di essere ottusamente lineari, alieni alla grandezza di spirito che conosce l’intima lacerazione. Insomma, idioti che cercano di nobilitarsi facendo credere che un’adesione assoluta a sé stessi dia prova di qualcosa, qualcosa che non sia semplicemente la loro monodimensionalità.

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Matteo Fais è sempre più rompipalle…

Dove starebbe il senso nel difendere un modello così palesemente distante dai nostri modernissimi costumi? E che significa che una famiglia è tradizionale? La tradizione non è natura, ma cultura, sovrastruttura. Così come si è costruita può tranquillamente tramontare. Questo è certo. Ciò non toglie che una simile struttura forte sia necessaria, non fosse altro che per provare ancora la gioia di prenderne le distanze attraverso la trasgressione. Contrariamente a ciò che si vorrebbe far credere in questo tempo di pacificazione universale, è nello scontro e nell’attrito che un essere costruisce sé stesso. La famiglia a questo serve, a garantire che il soggetto abbia dei paletti che lo limitano, un sistema di valori monolitico a cui scegliere se aderire, o reagire. È al cospetto del padre, famoso medico di successo e uomo brutalmente realista, che lo apostrofa dicendo “Marcel è un abulico, perde solo tempo e nella vita non concluderà mai niente”, che Proust decide di scrivere Alla ricerca del tempo perduto. Se la sua figura paterna fosse stata una di queste blande versioni light che circolano oggigiorno, siamo sicuri che Marcel sarebbe diventato Proust? Invece, lo scrittore francese ha dovuto lottare, uccidere metaforicamente il padre dimostrandogli che il suo essere un perdigiorno era appunto la sua più grande dote. La dimensione asfittica della famiglia, da tutti violentemente avversata, è la sola forza che spinga a una positiva fuga.

L’idiozia più grande sta proprio qui, nel pensare che la famiglia, come la società, più tradizionale, con il suo carico di vincoli e repressioni, sia mortificante. Proprio per niente, anzi è vivificante. La storia della sessualità ne è un chiaro esempio. Sono proprio le culture più bigotte, chiuse, e religiose, quelle in cui, malgrado non ci si scambi un bacio in pubblico, in camera da letto non si finisce di lavorare prima dell’alba. La nostra società odierna è più sessuofobica di quella che uscì dalla Seconda Guerra Mondiale. Tanta è la libertà da non contare più niente. Tanta è la libertà che non ci sono più limiti da infrangere. Il piacere maligno e iconoclasta di violare è svanito. Persino scoparsi la moglie di un altro è divenuto un atto poco intrigante. Non ponendo limite all’autodeterminazione della donna, non volendola costringere nel ruolo di moglie e madre, l’amarla carnalmente non ha più alcuna valenza liberatoria, se non per i propri testicoli – ma allora, davvero, una vale l’altra, se tutte sono libere di essere senza limiti, se nessuna è più moglie di qualcuno. Il cristianesimo in tal senso è stato intelligentissimo perché ha reso praticamente invivibile l’esistenza dei suoi seguaci. Ha posto un divieto su ogni ingresso, inducendo così il credente a varcarlo. La Chiesa, maestra dell’ironia, non ha fatto che parlare di sesso, teoricamente cercando di contenerlo, ma riuscendo così a trasformarlo nella questione principale che tormenta il pensiero del fedele. Qualunque uomo di mondo sa infatti che oramai l’unica scopata decente che si possa fare è con una ragazza cattolica. Il godimento sarà direttamente proporzionale al suo senso di colpa verso gli atti impuri. Al di là della propaganda dei soliti quattro cialtroni, dunque, la famiglia tradizionalmente intesa dovrebbe essere uno dei punti nodali della campagna elettorale. Ci vorrebbe addirittura un partito in difesa del libertinaggio e, quindi, a favore di questa stupenda struttura di repressione.

Matteo Fais

 

L’uomo non è fatto per sposarsi, fare figli e crescerli sotto un tetto. L’uomo è fatto per dissipare se stesso

La Sacra Famiglia, come si sa, è la dissacrazione dell’istituto familiare. Un vecchio che si sposa una quattordicenne ai tempi nostri andrebbe in gabbia per direttissima. Per altro, il vecchio si fa fottere la giovinetta da un tizio d’angelica bellezza: poi lei gli arzigogola l’arcana bugia, gli dice che è vergine, anche se è incinta. Davvero, l’ironia ebraica è sconfinata. Cosa voglio dire? Che è un gioco idiota appellarsi al cristianesimo per sacralizzare l’istituto della famiglia, roba da cristalleria basso-borghese. I primi cristiani, d’altronde, quelli che prendevano alla lettera la virginità della Vergine e del suo figliolo, pensavano che dopo il Crocefisso tutto fosse finito, cauterizzati i tempi, dissipati i giorni, suppurata la speranza. Andavano in giro, a gruppi, maschi e femmine, seminudi, praticando e predicando l’astinenza. Dicevano che non bisognava fare più figli dopo la morte del Figlio, perché il mondo come era stato fatto ora era finito. Ireneo di Lione e Clemente alessandrino li chiamano encratiti. Ovviamente, furono detti eretici dai teologi a cui prudevano le pudenda. Cosa voglio dire? Che la famiglia è un istituto sociale come un altro, l’ennesimo patto, per arginare la natura umana. Che è natura anarchica e vagabonda per antonomasia. L’uomo non è fatto per sposarsi, fare figli e crescerli sotto un tetto. L’uomo è fatto per dissipare e disseminare se stesso – compreso il suo seme – in ogni contrada del pianeta, fino a che le forze non lo piagano, e l’eretto si piega, prega, muore, olè, avanti il prossimo.

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Davide Brullo secondo Tanzio da Varallo

La famiglia però fa comodo a tutti – a preti e a parlamentari, ai lacché di Dio come ai passacarte del Senato – perché frena i desideri, raffredda i bollenti spiriti, è l’equivalente del posto fisso e dello stipendio sicuro. Stai buono perché hai gambe aperte a letto e piatto pronto sul tavolo. Poi devi accudire i figli, che sono notoriamente idioti. Poi devi badare le voglie della moglie, che è moglie perché desidera proprio quello che tu non sai dargli. Messa all’angolo la tua individualità, è ovvio che alla fine ti scopi la vicina di casa o la ragazza del tuo migliore amico, giusto per galvanizzare un po’ la noia, scoprendo, però, che tali ‘botte di vita’ non fanno altro che aumentare il tuo desiderio di morte, sono una casseruola di frustrazioni sott’olio di ricino – perché ogni relazione umana è un problema, ricordatevelo, è come comprare una macchina, devi pagare il bollo, l’assicurazione, mettere la benzina, saldare le rate e gli arretrati. Ergo. La famiglia è la porzione essenziale del patto sociale. Ma io ai patti non ci sto. Non è questione di cretina egolatria, badate. Il fatto è che io è un altro, io non ho un io, lo devo inseguire lungo la giungla dei meridiani e dei paralleli, usando l’equatore come l’asta del gondoliere. Stesso posto dove vivere, stesso posto di lavoro, stessa donna per la vita – con il bonus di qualche voluminosa amante – sono un modo meschino per disinnescare quell’esplosione che è l’essere umano. Quanto ai figli, se i padri non ci sono non devono prendersi la briga – nevrotica – di ucciderli. I padri gli fanno il favore di uccidersi, continuamente, perché la vita non è stasi, ma metamorfosi, non è cemento armato, ma pioggia.

Davide Brullo

 

 

 

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